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I consigli di Beppe Severgnini

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Per studenti, giornalisti e scrittori

Mi capita spesso di soffermarmi sui consigli (non solo di Beppe Severgnini) e sulle frasi di chi in qualche modo – anche molto alla lontana – parla di scrittura. Di solito esco dalla lettura con un’impressione positiva, anche quando l’autore è quanto di più lontano da me si possa immaginare; anzi, credo che i meccanismi siano due: con alcune persone mi sento in sintonia, perciò mi riconosco nelle loro parole; altre persone simboleggiano bene la faccia della medaglia a me oscura, quella che io per carattere tendo a non cogliere, e proprio per questo le loro parole risultano stimolanti.

La comune passione per la scrittura è sempre un potente fattore unificante, che mi fa vedere come simili tutti coloro che si occupano di scrittura. Un po’ come succede ai bambini quando si incrociano per strada, magari tenuti per mano dalle rispettive mamme, e si scambiano sguardi di conferma: ti riconosco, siamo della stessa specie.   In questo caso il mio ispiratore è Beppe Severgnini, giornalista e saggista che in realtà conosco appena per averlo intravisto su qualche talk show.

Ai suoi dieci consigli, pensati come consigli ai ragazzi in procinto di scrivere il tema dell’esame di maturità, sono affezionata per motivi personali. Avevo da poco iniziato a scrivere quando, in un raid famelico su Internet alla ricerca di qualcosa di nutriente per la mia nuova passione, mi imbattei in un articolo che riportava i consigli di Severgnini. Allora esisteva qualche lavoratore della parola intenzionato a condividere con me ciò che sapeva! Fu un bel momento.   Ed eccoli qui, i dieci consigli in questione, corredati dalle spiegazioni di Severgnini stesso e dai miei (spero utili) commenti.

scrivania a contatto con la natura
Vi dispiace se mi siedo a scrivere qui?

1 – Avere qualcosa da dire.

C’è chi comincia a scrivere e decide strada facendo cosa dirà. Da evitare. Prima di partire, è bene sapere dove si vuole arrivare.

Aggiungerei: in narrativa ci serve il “qualcosa da dire”, ma anche il “come dirlo”. Da un lato non possiamo limitarci a riciclare idee, trame e personaggi già triti, aggiungere qualche tocco personale e sperare che questo sia sufficiente; dall’altro dobbiamo anche domandarci quali siano le scelte giuste (narratore, punto di vista, persona, tempo verbale eccetera) perché la storia renda al massimo delle sue possibilità.

2 – Dirlo.

Se avete deciso che intendete dire A, non scrivete B perché suona bene.

Fantasticare, pianificare, organizzare, rimuginare, parlare, sono tutte azioni che fanno parte del “dietro le quinte” della nostra storia. La storia vera, però, inizia soltanto quando ci sediamo al computer e la scriviamo. Tutta intera. Prima, è soltanto aria. E ciò che diciamo deve essere ciò che vogliamo dire, non una sua versione riveduta e corretta per agganciare un editore.

3 – Dirlo brevemente.

Non c’è bisogno di essere telegrafici. Basta essere asciutti. Pensate ai Dieci Comandamenti: solo quarantanove parole.

Ma come, un po’ di prosa fiorita…? Quella scena così simpatica…? In narrativa c’è il momento di sviluppare e il momento di tagliare, lo sappiamo bene. L’uno e l’altro, però, devono restare funzionali alla storia. Non possiamo vagolare raccontando quello che ci viene in mente anche quando con la storia non ha niente a che vedere.

4 – Non ridirlo.

Il lettore non è stupido. Se ripetete, si scoccia.

Se chi legge non ha colto l’informazione che gli stiamo trasmettendo tra le righe, se non ricorda quello specifico evento nel passato del protagonista, in linea di massima significa che abbiamo sbagliato qualcosa. Pensiamoci bene prima di ripetere il già detto.

5 – Dirlo chiaro.

Periodi brevi, poche secondarie, mai più di un ‘che’ in un periodo. Dopo avere scritto, tagliate. Scrivere è come scolpire: bisogna levare.

Fa parte del rispetto verso il lettore: il fatto che possa apprezzare appieno la storia viene prima, molto prima della nostra soddisfazione nel mostrare la nostra competenza tecnica o il nostro stile stratosferico. Quanto al numero dei “che” in una frase, ho di che meditare…

6 – Dirlo subito.

E’ bene far capire qual è l’argomento (e il vostro punto di vista).

Già dall’incipit il lettore dovrebbe intuire che tipo di storia sta per leggere, le atmosfere che lo aspettano e la nostra voce, nei limiti del possibile. Se invece parliamo di informazioni, in narrativa “dirlo subito” è spesso la scelta peggiore, perché impedisce al lettore di lavorare di fantasia e ci fa giocare tutte le nostre carte senza sfruttarne il potenziale di tensione.

7 – Dirlo in modo interessante.

Il lettore vi può mollare in qualsiasi momento. Trattenetelo. Logica,
fantasia, intuizione, sorpresa, umorismo: tutto serve. L’unica colpa
imperdonabile, per chi scrive, è la noia.

C’è altro da dire? Forse sì: in un tema per l’esame di maturità si possono sfruttare queste tecniche un po’ a caso, pur di movimentare il testo; in un romanzo bisogna preoccuparsi di posizionare e dosare ogni cosa, almeno durante la revisione.

8 – L’aggettivo è radioattivo.

Un aggettivo in una frase è potente. Due sono interessanti. Tre si
annullano. Quattro annoiano. Cinque uccidono (l’articolo, il tema e
l’attenzione del lettore).

Non solo: meglio sceglierli bene, quegli aggettivi. Un termine o un altro può fare la differenza.

9 – Metafore: occhio alla muffa.

Non si può scrivere ‘Ci sentivamo precari come foglie d’autunno’. Le
foglie hanno smesso di cadere dopo Prevert e Ungaretti. Occorre
inventarsi qualcos’altro. L’unica metafora buona è la metafora nuova
(‘Ci sentivamo precari come supplenti e sottosegretari’).

Ma certo, le metafore sono una spezia potente. Se l’abbiamo lasciata esposta all’aria per qualche secolo, che aroma pretendiamo che aggiunga alla pietanza? (Lady Metaphora, sarà d’accordo!)

10 – Citazioni: poche ma buone.

Diceva Ralph Waldo Emerson: ‘I hate quotations. Tell me what you know’. (Odio le citazioni. Dimmi quello che sai). E’ una citazione: ma rende l’idea.

In narrativa si cita poco, ma qualche volta capita. Che la citazione sia buona è sicuramente meglio.

Cosa ne pensate di questi dieci consigli?
Ce n’è qualcuno che va a toccare un tasto dolente?

23 commenti

    • Grazia Gironella

      Solo dei grandi? Non sai cosa ti perdi a non leggere anche i piccoli, ogni tanto…
      Riconosco che un racconto scritto bene può lasciare il segno più di un romanzo, proprio perché è concentrato; però non leggo racconti, nonostante scriverli sia stata una bella esperienza. Preferisco letture più corpose.

    • Grazia Gironella

      L'unica cosa che ho scritto di quella lunghezza è il racconto fantasy "Tarja dei lupi". Chissà se cederai alla tentazione, oppure il fantastico fungerà da deterrente. Purtroppo (per me) succede!

    • Enzo Pallotta

      No,
      ho letto anche De Silva (Mancarsi) e non ti nascondo che sono tentato di leggere te e un'altra scrittrice. Ma romanzi/racconti medi, diciamo sulle 90 pagine.

    • Grazia Gironella

      Non che io scriva solo fantasy, ma hai parlato di novanta pagine… A parte il manuale di scrittura, ho pubblicato "Due vite possono bastare", che è un romanzo di lunghezza normale (e non fantasy), non un racconto.

  • Cristina M. Cavaliere

    Beppe Severgnini ha il pregio di istruire e divertire, infatti nella mia serie di post sulla punteggiatura ho preso qualche spunto anche dal suo "L'italiano – Lezioni semiserie".

    Sono d'accordo su tutto, specie sul punto 8, l'aggettivo. La stessa cosa era stata detta da Benigni citando Dante. Dante usa pochissimi aggettivi nel suo poema, ma quando avviene… c'è un effetto potenziato. Ad esempio fa dire a un dannato "il dolce mondo", e quel "dolce" non ha niente di mieloso, anzi, è carico di significati: nostalgia, tristezza, ricordo. Come se troppi aggettivi si contraddicessero e indebolissero la frase. Ricordo che un tempo ne mettevo davvero troppi.

    • Grazia Gironella

      Credo che abbondare con gli aggettivi sia normale quando si inizia a scrivere. Sei convinto che per trasmettere la storia a chi legge sia necessario dire molto, specificare, dettagliare, o il messaggio non arriverà, o arriverà alterato. Con il tempo ti accorgi che non è proprio così. Basta dire il giusto al momento giusto e nel modo giusto, e se il lettore non vede esattamente ciò che vedi tu… non importa.

    • Cristina M. Cavaliere

      Hai ragione, all'inizio si ha paura di non essere abbastanza incisivi.
      E non solo il lettore può vedere in maniera diversa dalla tua, ma addirittura sei tu a vedere in modo diverso quello che hai scritto, a seconda dei momenti!

  • Chiara Solerio

    Per quel che riguarda il punto 1, sono d'accordissimo (proprio per esperienza personale) sul fatto che una storia vada progettata. Io, tuttavia, prima di scrivere fisso solo i punti fondamentali. Il resto, lo definisco in seguito, se è il caso fermandomi.

    Il 4 credo sia una bestia nera un po' per tutti, ma per fortuna si può lavorare di fino in fase di revisione. Per il numero 8, io adoro gli aggettivi ma cerco di fare in modo che siano coerenti e aiutino la visualizzazione della scena. I "che" non li sopporto, e riesco fortunatamente ad evitare questa ridondanza!

    P.S. off-topic: nel weekend ho portato un po' avanti la lettura del tuo manuale (ho quasi finito i "dialoghi") e vorrei scriverti per parlarne, se ti va

    • Grazia Gironella

      E' sempre così, no? Sembra impossibile riuscire ad applicare anche i consigli più sentiti. Poi, batti una volta, batti due, batti tre… ti ritrovi che un certo errore non lo fai più, oppure lo fai, ma poi te ne accorgi e lo correggi. Io la vedo così: è difficile imparare singolarmente certi principi, ma restandoci a contatto poi filtrano.

  • Francesca

    Sul punto 1: mi è capitato di recente di ideare una trama che mi piaceva moltissimo, avevo in mente anche i personaggi, avevo ricevuto pareri positivi da alcune persone di fiducia a cui avevo esposto la mia idea…ma poi mi sono accorta che ciò che sarebbe inevitabilmente risultato da una storia del genere…semplicemente non volevo dirlo! E ho lasciato perdere.
    Il punto 4: ripetere, spiegare, ridire…purtroppo si tratta di un’abitudine che viene dalla formazione scolastica, è dura a morire! Per evitarlo mi avvalgo dei consigli di persone dalla scolarizzazione limitata: loro riescono a dirmi quando lo sto facendo.
    Sul punto 9: ci sono arrivata solo di recente, prima mi piaceva considerare le metafore come dei luoghi comuni sempre verdi, come quei cliché di cui tu parlavi in un post di gennaio, ma poi ho notato, in particolare nella letteratura coeva, che molti autori trascorrono probabilmente la metà del tempo a escogitare metafore originali, solo apparentemente semplici, ma che in realtà devono essere costate un lavoro immane!

    • Grazia Gironella

      Sai che anch'io per tanto tempo ho considerato normali le metafore e le espressioni fatte di uso quotidiano? Non ci vedevo nulla di male, anzi, soprattutto nei dialoghi mi davano una bella sensazione di realtà vissuta. Diverse persone, in ruoli diversi, mi hanno segnalato questo come problema, e alla fine ho iniziato a pormelo. Me ne scappano ancora, naturalmente, ma faccio la recensione con le cesoie in mano…

  • Lisa Agosti

    Mi piace il punto numero 9, sulle metafore. Io amo le metafore, e l'idea di cercare metafore nuove che riflettano il mondo attuale è un buon consiglio. Io cerco sempre di rifarmi a idee oniriche e romantiche, ma forse potrei concentrarmi su qualcosa di più tagliente e incisivo. Da oggi, meno foglie più supplenti!

    • Grazia Gironella

      Lo temevo! No, ancora non c'è la versione cartacea. Sottolineo "ancora", non perché l'editore stia per farmi questo bel regalo, ma perché ho tutte le intenzioni di arrivarci, in un modo o nell'altro. Grazie comunque per l'idea.

  • Eli Sunday Siyabi

    Dimenticavo: mi piace molto la citazione di Ralph Waldo Emerson 'I hate quotations. Tell me what you know'. Ne farò tesoro per i miei brevi post su Facebook

  • Anonimo

    Mi piace Severgnini, e trovo questo decalogo utile e stuzzicante. Dallo spirito molto British, lì in università ne facevano una legge di vita: essere chiari, brevi, diretti, al punto (e studiavo economia mica lettere), guerra agli aggettivi inutili. E comincerò una ricerca per metafore nuove, e chi ci aveva mai pensato prima? Perché poi io mi debba sempre imbattere in Eli (che mi precede in tutto) resta per me un profondo mistero….

    • Grazia

      Eli non è solo viaggiatrice, è pure ubiqua! La ricerca delle metafore giuste è uno degli aspetti della scrittura cui presto attenzione. Quando lessi questo decalogo, mi colpì molto quel "occhio alla muffa". Fino a quel momento non avevo mai pensato che le metafore trite fossero… trite.

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