Scrittura

I rapporti familiari nella scrittura

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Il personaggio non nasce sotto un cavolo.
Come autori, possiamo ignorare la sua storia familiare?

Nell’articolo della settimana scorsa, dedicato al “calderone” della storia, ho citato tra gli ingredienti approvati quelli che chiariscono rapporti e relazioni, e aiutano così il lettore a conoscere meglio il personaggio. Questa affermazione abbastanza ovvia mi ha fatta riflettere: quanta importanza attribuisco alle dinamiche familiari nella storia?

Un’importanza vitale. Nessuna delle storie che ho amato leggere trascura questo aspetto, e spesso proprio le storie che mi hanno lasciata indifferente ne erano carenti. È il caso di James Rollins, famoso autore di romanzi d’avventura, che però mi lascia più congelata di un iceberg dal punto di vista emotivo. Il fatto è che i personaggi, privati della trama di rapporti che li rende ciò che sono, mi sembrano dadi buttati sul tavolo da un bussolotto invisibile. Sintonizzarmi sulla loro lunghezza d’onda mi è quasi impossibile.

L’importanza delle dinamiche familiari la ritrovo quando scrivo, a maggior ragione adesso che mi sto occupando di romanzi per adolescenti. Nell’ottica della credibilità del personaggio non esiste modo più convincente di spiegare la genesi di scelte, pensieri, traumi, convinzioni, incoerenze e tratti della personalità, ovvero quel magma che permette alla scintilla dell’incidente scatenante di produrre un’esplosione capace di dare vita alla storia. In che modo?

rapporti familiari

I rapporti che intercorrono tra il personaggio e i membri della sua famiglia d’origine gli plasmano per buona parte il carattere, almeno nella fase che va dall’infanzia all’adolescenza. I bambini raccolgono dai genitori paure, interessi, aspettative e comportamenti che conserveranno nel tempo o cui si ribelleranno, venendone in ogni caso modificati. Questa impronta è particolarmente forte, perché spesso viene trasmessa non da un insegnamento aperto e razionale, ma da un infiltrarsi silenzioso di osservazioni, esperienze ed esempi che vengono poi trattenuti, spesso a livello subconscio.

In famiglia ci si imbatte in idee su cui riflettere e si può sviluppare la sensibilità a determinati temi e problematiche. Chi ha vissuto con un familiare alcolista probabilmente diventerà un adulto con idee chiare in merito. D’altra parte la presenza nella famiglia di forme di sopraffazione, viste o subite, può creare una predisposizione a riproporle nel nucleo familiare creato da adulti.

In generale si può dire che il microcosmo della famiglia è una palestra per i rapporti umani. Con genitori, figli e fratelli si esercitano i meccanismi di base della sopravvivenza fisica ed emotiva, che verranno poi messi alla prova nel mondo esterno, non sempre (per fortuna!) con lo stesso coinvolgimento profondo. Inoltre la famiglia è il sottofondo costante del quotidiano, un’atmosfera capace di modificare la colorazione emotiva di eventi ed esperienze.

Fare capire al lettore da cosa nascono le azioni e reazioni del personaggio, anche in modo appena tratteggiato, mi sembra il modo più efficace per creare empatia. Il tessuto familiare è patrimonio comune di tutti o quasi, e ciò che non si riesce a cogliere nella sua intensità per somiglianza, lo si coglie per differenza. Immedesimarsi è facile, se comprendiamo le motivazioni.

La gamma di sfumature nei rapporti familiari è infinita, e può essere un accompagnamento alla storia come pure il suo tema centrale. All’interno della coppia, tra genitori e figli e tra fratelli, troviamo di tutto: armonia, odio, dipendenza psicologica, dominanza; ma anche possessività, conflitto (aperto o celato), indifferenza, anaffettività, violenze domestiche, permissività, competizione, atteggiamenti di sfida e desiderio di emancipazione… e tutto il resto. Il quadro è senza dubbio molto ricco.

Anche se le problematiche familiari dei personaggi sono sempre presenti nelle mie storie, non le ho mai rese centrali. Ho l’impressione che dedicare loro troppo spazio mi farebbe mancare l’aria. In effetti i miei personaggi cercano spesso di emanciparsi dalle pastoie psicologiche che li bloccano a un certo punto della propria evoluzione. Se per superare l’empasse hanno bisogno di capire e perdonare, è più per passare oltre che per rinsaldare i rapporti critici.

Considerato che in teoria ho avuto una vita familiare serena, questo fatto mi dà da pensare. Del resto le famiglie perfette non esistono, perciò in quale terreno migliore possiamo deporre i semi della storia che vogliamo raccontare?

Che il personaggio perda di spessore se privato del suo contesto familiare è solo la mia opinione. In realtà dipende dal genere, dalla singola storia e dalle propensioni dell’autore-lettore. In ogni caso, domandarci come autori non solo cosa fanno i personaggi, ma perché lo fanno a livello profondo, può dare soltanto un contributo positivo alla narrazione. Sempre che non ci venga la tentazione di raccontare vita, morte e miracoli di ogni singolo personaggio, perdendo così il filo portante della storia…

Nei vostri scritti quanta importanza rivestono i rapporti familiari?
Trovate un nesso tra le storie che raccontate e le vostre esperienze di vita?

34 commenti

  • Tenar

    È difficile da dire.
    Raramente i rapporti famigliari sono il cuore della mia narrazione, ma ovviamente i miei personaggi hanno una famiglia, o l'hanno avuta, e questo determina il loro presente.
    D'istinto direi che mi ispiro di più a dinamiche altrui, magari molto vicine a me ma non mie (anche perché grazie al cielo la mia infanzia e la mia adolescenza non pullulano di traumi, mentre a molte persone a me care non è andata altrettanto bene). Poi però il mio vissuto inevitabilmente filtra nei miei personaggi. Il riconoscersi, spesso con fatica, nei propri genitori, biologici o adottivi che siano torna spesso nei miei scritti. Forse questo ha a che fare col fatto che mi rendo sempre più conto di assomigliare a mio padre, anche quando vorrei invece essere diversa?

    • Grazia

      Credo che trattare delle dinamiche familiari altrui sia più piacevole in ogni caso, perché il distacco permette una comprensione meno inquinata. Qualcosa però filtra. Io non ho avuto figure femminili carismatiche in famiglia, perciò nelle mie storie le madri-mogli tendono a essere tutte deboli e un po' insulse, salvo riscattarsi entro la fine.

  • Giulia Lù

    Che bello questo tuo articolo e mi trova pienamente d'accordo, i rapporti familiari possono certamente delineare la personalità dei personaggi.
    In Fine dell'estate parlo di due adolescenti e la loro personalità è fortemente influenzata dalla loro storia familiare.
    Claudio ha i genitori divorziati e ciò lo ha portato ad essere insofferente e a saper contare soprattutto su se stesso. Silvia ha perso suo padre da bambina e non si sente amata da sua madre, ciò la porta ad essere molto insicura, molto di più di una normale adolescente in fase di crescita.
    Riguardo al nesso con le mie esperienze di vita, qualche influenza c'è sempre, non riesco mai ad astrarmi del tutto, c'è sempre un po' di me o di qualcuno che ho conosciuto e che è stato importante per me.

    • Grazia

      Succede anche a me. Non è facile entrare in relazione con personaggi del tutto lontani dalla nostra esperienza per raccontarli.

  • Marco Freccero

    Flannery O'Connor diceva che chi sopravvive alla propria infanzia, ha materiale sufficiente per scrivere. Siccome siamo tutti qui devo dedurre che ne abbiamo di storie da raccontare!
    A parte questo è impossibile scrivere senza avere qualche esperienza vissuta che finisce dentro le storie. Ma devo dire che per quanto mi riguarda, le mie esperienze sono sempre state lontane dalle mie storie. Forse perché sono mie, le conosco, e preferisco avventurarmi su percorsi differenti, ignoti, e per questo più interessanti?

    • Grazia

      L'istinto di esplorare lo sento anch'io. Pur non avendo subito traumi particolari, provo comunque un certo fastidio all'idea di riproporre nelle mie storie la mia situazione familiare. Se lo faccio, è a frammenti molto mascherati.

  • Andrea Cabassi

    Probabilmente dipende dal'importanza della psicologia dei personaggi. Leggendo alcuni autori pare che se fosse per loro i personaggi nemmeno li userebbero (penso ad esempio a Clarke)

    • Andrea Cabassi

      Scrive tremendamente bene. Ti cito un passo da una delle sue opere più note ("Incontro con Rama", secondo come notorietà solo a "2001: Odissea nello spazio"): "In tutto il corso della sua carriera aveva considerato l’universo come un’arena per la lotta delle titaniche e impersonali forze di gravitazione, del magnetismo, delle radiazioni; non aveva mai creduto che la vita potesse recitare una parte di primo piano nello schema delle cose, e ne considerava l’apparizione sulla Terra, su Marte e su Giove come un’aberrazione accidentale."

    • Grazia

      Prendo nota. Leggo raramente fantascienza, ma al momento sto leggendo "I reietti dell'altro pianeta", di Ursula Le Guin, quindi è il momento buono.

    • Andrea Cabassi

      L'ho letto (e recensito) di recente, ma non aspettarti niente del genere
      Clarke è il classico esempio di fantascienza hard: poco spazio a introspezione (ma non a riflessioni), azione e relazioni fra personaggi, e tanti aspetti scientifici (ma non da risultare pesante/palloso). Spero ti piacerà

  • Mattia L.

    Nella storia che ho scritto attualmente, ho delineato abbastanza nella mia mente la storia familiare dei due personaggi principali. Non credo tuttavia che a fine scrittura apparirà più di qualche accenno qua e là: al centro della trama c'è ben altro, quindi non voglio approfondire particolari che nel mio caso non sono molto influenti, e possono essere tagliati. Nel libro che ho in mente dopo di questo però probabilmente un rapporto familiare sarà più importante, e vedrò di svilupparlo perciò con più attenzione.

    Per quanto riguarda il nesso con il vissuto, in questa storia ho messo parecchio della mia storia, familiare e non, anche se un po' estremizzato e reso più interessante (dubito che la storia vera possa interessare a qualcuno). Nonostante alcune cose, vissute in prima persona, siano state dolorose e io le trovi sbagliate, cerco però di guardare l'intera storia senza nessun pregiudizio verso nessuno: voglio infatti essere obiettivo, e far si che saranno i lettori, in futuro, a giudicare se il protagonista ha avuto genitori buoni o cattivi, e se lui è stato un bravo figlio o meno .

    • Grazia

      Anche quando nella storia compaiono pochi dettagli della vita familiare del personaggio, secondo me che l'autore la conosca fa una grossa differenza. E' importante quello che dici: estremizzare, rendere più interessante. Gli elementi autobiografici sono quasi sempre migliorabili.

  • Gloria Vanni

    Non scrivo storie ma la famiglia è l'intreccio su cui si basano molte delle microstorie di un blog come il mio. Come giustamente hai rilevato, ognuno di noi è (anche) frutto di ciò che riceve e poi elabora, rifiuta, fa proprio. È un patrimonio di esperienze la famiglia e lo sarà per tutta la vita. Credo che solo grazie alla continua voglia di rinnovarsi si possano "gestire" relazioni a volte ingombranti e profondamente estranee a ciò che uno sente di essere. Ma… è la famiglia, bellezza!

    • Grazia

      Voglia di rinnovarsi… sì. mi piace! A volte bisogna venire a patti con tante cose per riscattare i rapporti. Per fortuna, spesso ne vale la pena.

  • M.

    Bella riflessione, su cui mi trovi completamente d'accordo. Sia come autrice che come lettrice mi piace saperne un po' di più sui personaggi, sul loro trascorso. L'ambiente in cui sono cresciuti spesso spiega alcuni atteggiamenti che possono andare dall'estrema gentilezza alla totale chiusura. In alcuni casi, invece, le dinamiche famigliari non c'entrano proprio niente con ciò che è il protagonista, e mi piace vedere pure quello, cioè come, alle volte, le persone diventino ciò che sono indipendentemente dal loro vissuto.

  • Cristina M. Cavaliere

    Quando ho letto il titolo del tuo post, per un attimo ho pensato alle dinamiche nella famiglia dello scrittore, con disperati tentativi di ricavarsi spazi vitali per scrivere e conseguenti lanci di coltelli!

    Ritornando sul pezzo, sì, direi che la famiglia ha un ruolo fondamentale, perché nessuno è un'isola, come diceva qualcuno. Quella famiglia può essere anche un orfanatrofio o la strada, purtroppo, ma da qualche parte, e con qualcuno, si è trascorsa l'infanzia. Nel mio primo romanzo "Una storia fiorentina" la famiglia era pressoché assente, vuoi perché si trattava di un romanzo breve vuoi perché non sarei riuscita a gestire una narrazione più complessa.

    Invece, ultimamente ho notato che la famiglia ha assunto un ruolo di grandissima importanza, forse perché i miei romanzi sono diventati sempre più corali. Anzi, la parte centrale del "Libro II Le strade dei pellegrini" vede come protagonista la famiglia dei castellani di Saint-Omer.

  • Lisa Agosti

    Io cerco sempre di dare una giustificazione per il carattere dei personaggi, additando la famiglia d'origine come colpevole dei vari difetti e turbe psichiche. Aiuta a identificarsi col personaggio e a perdonargli le peggio cose, secondo me.

    • Grazia

      Sono d'accordo. A volte serve anche a rendere credibili certi eccessi e stranezze del personaggio, che magari servono a noi autori, ma potrebbero sembrare forzati.

  • Francesca

    Il fatto di non avere potuto diventare madre mi ha creato un senso d'inferiorità anche riguardo alla scrittura: sì, la questione dei rapporti familiari del personaggio è focale, sono d'accordo. Ho l'impressione di essere tagliata fuori dalla possibilità di capire i rapporti genitori-figli, cioè una parte così essenziale della realtà da rendermi quasi impossibile scrivere. In questo post e nei suoi commenti, tuttavia, mi conforta la sensazione che siate quasi tutti orientati a trarre materiale di scrittura più dalla vostra infanzia, più dal vostro essere o essere stati figli che dal fatto di averne. Da tempo sto cercando biografie di scrittori che non abbiano avuto figli, soprattutto italiani contemporanei, ma fatico a trovarne. In compenso ne ho trovati che hanno avuto diversi figli ma non scrivono mai o quasi mai sulla genitorialità.

    • Grazia

      Quello che dici vale sicuramente, anche se non ci avevo mai pensato: sono nei panni di figlia, quando vivo i problemi familiari dei personaggi, oppure di partner; mai in quelli di madre. Forse perché le esperienze dell'infanzia lasciano segni più profondi? Oppure perché non la sento come un'esperienza conclusa, da cui si possano prendere le distanze abbastanza da scriverne? Nel qual caso, le distanze non le prenderò mai, spero! Hai detto una cosa che mi fa davvero riflettere.

  • Marina

    Sai che, pensandoci, il personaggio del mio romanzo vive i suoi conflitti interiori anche "per colpa" della famiglia? Questo perché sono fermamente convinta che la vita di ciascuno di noi risenta della formazione (educazione, principi, valori, conflitti) ricevuta fra le pareti domestiche, credo sia inevitabile.
    E quel mio personaggio vive un forte senso di colpa, che lo induce a fare scelte sbagliate, perché sa di avere deluso la sua famiglia.

    • Grazia

      Credo che siamo in molti a conoscere la sensazione di non essere all'altezza delle aspettative della famiglia. Succede sempre, no? Puoi deludere i genitori perché non fai le scelte che ritengono migliori, oppure semplicemente perché il tuo carattere non è quello "giusto". Io sto cercando di essere una mamma alternativa in questo senso, ma è davvero molto difficile rispettare anche i difetti di un figlio che cresce.

    • Marina

      Succede sempre, hai ragione. E poi da figlia, spesso, mi sono sentita inadeguata alle aspettative dei miei genitori per via di visioni diverse della vita (diciamo così), ma da madre, adesso, capisco che non è sempre facile capire cosa vogliono veramente i figli e assecondarli senza cadere in errore.

  • CogitoErgoLeggo

    La tentazione di raccontare vita, morte e miracoli dei miei personaggi è sempre in agguato ma mi pongo un contegno.
    La famiglia, nelle mie storie, riveste sempre un ruolo centrale nelle azioni dei personaggi e nel loro carattere. A volte compare direttamente, altre volte inserisco, tramite sogni o flashback, momenti di vita familiare che hanno inciso positivamente o negativamente sulla vita del personaggio. A prescindere dalle modalità con cui lo scrivo, il nesso tra il vissuto familiare del personaggio e le sue azioni è sempre abbastanza evidente.

  • Maria Teresa Steri

    Leggendo questo post mi sono resa conto che la famiglia, intesa come famiglia di origine, è quasi sempre in secondo piano nei miei romanzi, tranne alcuni casi particolari. Questo soprattutto a livello di trama e personaggi, però sicuramente è presente come ruolo "formatore" di carattere ed esperienze. Credo che in effetti il background familiare sia importante per dare maggiore spessore alla personalità dei protagonisti. Ultimamente ho letto un bel romanzo che dava ampio spazio ai legami familiari, addirittura attraverso varie generazioni, e l'ho trovato di una profondità unica. Insomma, hai pienamente ragione sull'importanza della famiglia

    • Grazia

      Certi autori sono maestri in quel campo. Secondo me il fatto che l'autore abbia in mente la situazione familiare del personaggio arricchisce automaticamente la storia, anche quando la famiglia in questione resta dietro le quinte.

  • Daniele

    Dipende, secondo me. Di certo qualche problema in famiglia aiuta a creare delle sottotrame. Ma aiuta anche a caratterizzare meglio i personaggi. Secondo me dipende comunque dal tipo di storia che scrivi, anche dal genere narrativo. Holmes e Watson hanno funzionato alla perfezione pur senza aver praticamente introdotto nulla della loro storia familiare (Holmes ha un fratello apparso due volte in tutte le sue avventure e Watson è stato sposato, ma la moglie credo sia apparsa una sola volta).

    • Grazia

      E' vero, alcuni generi non richiedono che si parli dei rapporti familiari. Lo stesso penso che immaginare la famiglia dei personaggi principali aiuti a scrivere meglio, anche se le informazioni le tieni per te.

  • Chiara Solerio

    Nel romanzo che sto scrivendo, le dinamiche familiari sono fondamentali.
    Ciascun personaggio ha alle spalle una storia ben precisa, spesso poco edificante per quel che riguarda l'autostima e l'apertura verso gli altri. Anzi: dopo la prima progettazione ho dovuto inserire almeno qualche personaggio con una situazione "normale", perché il mio romanzo sembrava una comunità di recupero per disadattati. Basta pensare che, dei tre protagonisti, uno è di estrazione umile e non ha mai conosciuto il padre, l'altra, ceto medio, ha subito maltrattamenti e il terzo è benestante, ma orfano di madre. Infatti non sono persone molto equilibrate, ed è anche questo che mi consente di mandare avanti la storia!
    Credo che l'assenza della figura paterna sia strettamente legata alla mia esperienza personale. Trattare questo tema, mi sta aiutando a guarire molte parti di me…

    • Grazia

      Mi è venuto da ridere nel leggere il tuo commento: "comunità di recupero per disadattati", appunto! Scrivendo l'ultimo romanzo mi sono dovuta fermare un attimo per decidere a tavolino dove infilare una famiglia normale. Sono riuscita solo ad avere un genitore come si deve, non di più.

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