Scrittura

Scrivere l’emozione: la depressione

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Il personaggio affetto da depressione è una sfida per l’autore

La depressione non è un’emozione, diciamolo subito; viene infatti annoverata tra i disturbi dell’umore, tecnicamente parlando. Se però parliamo di vita, la depressione porta con sé tali turbamenti da meritare un posto tra le problematiche psicologiche che rendono travagliato il percorso dei nostri personaggi, e purtroppo anche delle tante persone che ne soffrono. Si calcola infatti che un individuo su sei attraversi nel corso della vita almeno un periodo di depressione.

Vediamo più da vicino quali sono le caratteristiche del personaggio depresso, in modo da renderlo credibile anche agli occhi del lettore che ha studiato psicologia. Sottolineo che questo è il preciso contesto; le informazioni sono semplificate per i nostri usi.

Cos’è la depressione?

La depressione è un’alterazione del tono dell’umore caratterizzata da tristezza, senso di vuoto e appiattimento emotivo, associati a mancanza di fiducia nel futuro e nelle proprie capacità. Non si tratta delle normali “giornate storte” che capitano a tutti, ma di uno stato che si protrae per settimane, mesi, a volte anni, e ha un impatto invalidante su chi ne soffre. Per darvi un’idea grossolana, il medico diagnostica una sindrome depressiva quando i sintomi principali sono presenti ogni giorno, per quasi tutto il giorno, per almeno 15 giorni consecutivi.

Quali sono i sintomi della depressione?

La persona depressa non riesce più a provare interesse e piacere nelle attività che prima la interessavano e la facevano stare bene. Le è difficile lavorare o studiare, iniziare e mantenere relazioni sociali e affettive. Si sente sempre stanca, demotivata e/o irritabile, e si dibatte tra pensieri negativi. Percepisce la vita come dolorosa e priva di significato. Può soffrire di disturbi dell’appetito e del sonno, e ha difficoltà a concentrarsi e prendere decisioni. Il soggetto si sente “sbagliato” al punto da odiarsi e talvolta covare pensieri di morte (si stima che il 60% dei suicidi sia dovuto a sindromi depressive).

Chi soffre di depressione?

Tutti possono soffrire di depressione, bambini inclusi. La maggiore incidenza si ha tra i 25 e i 44 anni di età, due volte più spesso nelle donne adolescenti e adulte che nei coetanei maschi.

Cosa causa la depressione?

Nella genesi della depressione concorrono il fattore biologico, per cui alcuni hanno una maggiore predisposizione genetica verso questa malattia, e il fattore psicologico, per cui le esperienze (in particolare quelle infantili) possono portare a una maggiore vulnerabilità. Per questo, a parità di situazione, c’è chi viene colpito da depressione e chi no.

Chi si ammala ha spesso delle ricadute nell’arco della vita. Mentre nei primi episodi il motivo scatenante è facilmente individuabile in un evento esterno (un lutto, un abbandono, un licenziamento senza preavviso, l’adattamento alla recente maternità), negli episodi successivi il fattore scatenante resta spesso ignoto. Ci sono addirittura persone che cadono in depressione a seguito di eventi positivi (depressione da successo).

Quali sono le conseguenze della depressione?

In assenza di cura, la vita della persona depressa viene progressivamente limitata nelle attività e nei rapporti. Possono insorgere patologie legate al compromesso funzionamento del sistema immunitario.

Come si cura la depressione?

Il trattamento è di solito farmacologico e psicoterapico insieme. I tentativi di familiari e amici per stimolare il soggetto a non piangersi addosso e a “darsi una mossa” sono non solo inutili, ma dannosi, perché lo fanno sentire ulteriormente colpevole e inadeguato.

La depressione disegnata da Nicoletta Ceccoli
Illustrazione di Nicoletta Ceccoli

Quali segnali si manifestano nel personaggio depresso?

Come sempre, attingo a The Emotion Thesaurus di Angela Ackerman e Becca Puglisi:

– aspetto trascurato (capelli in disordine, unghie lunghe, stessi abiti indossati per giorni)
– ammiccamento rallentato
– scarsa reattività agli stimoli
– postura cascante
– pianto
– espressione vuota
– movimenti letargici
– labbra curvate in giù
– disturbi dell’alimentazione
– disturbi del sonno
– mancata igiene nella persona, casa, stanza, ufficio
– bocciatura agli esami, licenziamento
– isolamento, scelto e subito
– rinuncia alle attività praticate
– incapacità di concentrazione
– insensibilità verso gli altri, inclusi i familiari
– occhiaie
– invecchiamento prematuro
– scarse capacità di conversazione
– incapacità di osservazione
– dipendenza da farmaci
– pensieri ossessivi
– pensieri di morte
– fissarsi le mani
– trascinare i piedi
– restare a letto, senza trovare motivi per iniziare la giornata
– dimenticare impegni e conversazioni

Scrivendo questo articolo, mi è difficile liberarmi delle sensazioni cupe legate all’argomento. Non è il fastidio verso qualcosa di genericamente negativo, ma il peso della vicinanza. Credo che molti di noi abbiano vissuto periodi di questo genere, forse in chiave minore e senza pensare a medici e cure. È sufficiente qualche pallida esperienza per dare un assaggio di questo inferno, che purtroppo vedo attraversare a persone che conosco. La scienza trova criteri, confini, definizioni per separare il normale dal patologico – deve farlo, o non sarebbe possibile alcuna diagnosi – ma quei confini sono troppo labili perché si possa dire “a me non potrebbe mai capitare”.

Parlando di una situazione di grave disagio, il rischio come autori è evidente: il personaggio depresso è pesante. La sua presenza può aumentare le complicazioni della storia e rendere l’atmosfera più drammatica, ma questo effetto positivo può essere vanificato dalla frustrazione che il personaggio produce nei colleghi, nell’autore e nel lettore. Il vero depresso è apatico e spesso passivo, mentre nella storia serve vitalità, anche in senso negativo. La tematica però è importante e interessante. Scriverne può essere terapeutico, soprattutto per chi ha avuto esperienza del problema, diretta o ravvicinata.

Non mi è mai capitato di prendere in considerazione un personaggio affetto da depressione patologica per una delle mie storie, ma se lo facessi, avrei bisogno di renderlo interessante sotto qualche aspetto, o dubito che riuscirei a rendergli giustizia. Forse gli darei una personalità particolare, che farei emergere a sprazzi, oppure cercherei di rendere la sua situazione più toccante nei rapporti con i familiari. Facendo qualche giro sui blog di oltreoceano, ho trovato due suggerimenti che mi sembrano abbastanza validi: primo, rendere il personaggio consapevole del suo stato e mostrare la sua lotta contro la malattia, piuttosto che fargliela subire del tutto passivamente; secondo, conservare nella sua vita almeno un aspetto positivo che gli sia di conforto, come la musica o il giardinaggio. Queste soluzioni sono piccole forzature narrative, ma può essere necessario agire in questo modo per trasmettere la storia.

Avete mai pensato di inserire in una vostra storia un personaggio depresso? Se sì, come ve la siete cavata? Se no, come affrontereste questa prova?

Il commento di Mattia mi spinge a specificare: esistono forme più o meno gravi di depressione, e molte persone che ne sono affette conducono una vita normale. Quelle che definivo piccole forzature da parte dell’autore in realtà non lo sono, e non rendono il personaggio meno credibile. Un grazie a Mattia, che mi ha anche precisato come la terapia farmacologica non sia priva di rischi e vada valutata attentamente.

39 commenti

  • Francesca

    Sì, l'ho fatto. Era ispirato a una persona reale, un lontano conoscente che per una serie di motivi mi aveva molto colpito. Mi sembrava un buon racconto ma non ha avuto successo. Il personaggio era tratto da un uomo reale, la storia invece era inventata. Credo di avere sbagliato sul piano della coerenza del personaggio. Prima di scrivere avevo letto testi di divulgazione su quella malattia e avevo appreso che talvolta può guarire all'improvviso così come improvvisamente può comparire, apparentemente senza ragione. Mi attirava molto questa ipotesi, su cui avevo basato il racconto, ma probabilmente avrei dovuto svolgerla con maggiore verosimiglianza.

    • Grazia

      Non ho letto la storia, ma le tue parole mi hanno fatto venire in mente un consiglio dei maestri: la vita reale può essere incredibile, ma la storia non può permettersi di esserlo. Forse la tua diagnosi è corretta.

  • Mattia L.

    Eccomi! Il protagonista della mia storia è sicuramente depresso, e probabilmente sarà lo stesso anche per i romanzi che seguiranno. E' inevitabile non solo perché associo la depressione a una forma di dipendenza, tema centrale in questa "serie" che ho ideato, ma anche perché, essendo depresso da quando mi ricordi, penso che farei fatica a immaginarmi un personaggio che non lo sia. Non parliamo poi di uno ottimista, verrebbe soltanto una macchietta .

    Se posso aggiungere due piccoli appunti, basati sulla mia esperienza, comunque: ho notato che la miglior cura per la depressione è il parlare (possibilmente con un esperto) e cercare una soluzione ai propri problemi. Personalmente invece non sono molto favorevole ai farmaci, visto che a me hanno fatto solo danni (ma sono forse solo un caso specifico), nemmeno troppo lievi. Oltre a questo, secondo me non è una forzatura che un depresso abbia una vita con dei lati positivi. Io ho una bella vita sentimentale, ho degli hobby che mi piacciono, tengo il mio blog quasi con gioia, scherzo e faccio battute: sono solo giù di corda e ansioso la maggior parte del tempo, ma come dici tu spesso non c'è un motivo (o ce n'è uno molto vago) per essere depressi, semplicemente è uno stato di sofferenza psicologica persistente che è lì chissà perché . (E, per finire, spero che nessuno si deprima leggendo il mio commento )

    • Grazia

      Ho sentito diversi pareri critici rispetto ai farmaci, che pure sono molto (troppo?) diffusi. Per fortuna esistono anche psicologi che seguono percorsi diversi. (Grazie delle specifiche, che ho subito inserito a fine articolo. Poteva sembrare che le persone depresse passassero tutte le loro giornate a piangere chiuse nel ripostiglio. ;))

    • Mattia L.

      Grazie per avermi citato, anche se vorrei precisare che le mie non sono specifiche da esperto, ma solo da semplice persona con una personale esperienza di depressione. E' anche vero che quando ho scritto sul mio blog, qualche mese, fa, un articolo sulla depressione, un mio amico psicologo mi ha dato abbastanza ragione su tutto, però di sicuro io personalmente non sono un grande esperto in materia .

    • Grazia

      La tua voce di diretto interessato è un contributo interessante e molto gradito. Gli Esperti con la maiuscola da qui non passano.

  • Maria Teresa Steri

    Grazia, sembra proprio che ci siamo messe d'accordo! Anche io oggi ho parlato di depressione da me, ma sicuramente di entità più lieve e per questioni ben specifiche
    E' un argomento delicato, e come sempre sei stata brava a parlarne. Per rispondere alla tua domanda finale, sì, ho avuto a che fare con un personaggio che soffriva di depressione, anzi proprio la protagonista. E' stata dura identificarmi e allo stesso tempo mantenere le distanze, ma a volte la pesantezza è inevitabile. C'è però da dire che si trattava di uno stato d'animo motivato, mentre credo che la forma peggiore di depressione da vivere sia quella esistenziale, non legata a circostanze particolari.

    • Grazia

      Vado a leggermi il tuo articolo, allora! Sapessi quante volte mi capita di leggere post sull'argomento che sto per preparare… certe volte mi sembra di essere un antenna che capta vibrazioni in giro. La pesantezza ci sta, deve esserci, quando è il momento.

  • Marina

    Lo sono stata e lo è diventato il personaggio della mia storia. La mia depressione, ovviamente, era una di quelle passeggere e non patologiche, dovuta a insoddisfazione, incapacità di venirne fuori in qualche modo; quelle cose tipo inadeguatezza, senso di colpa, odio verso se stessi, ecco, parlo di quelle. Con l'età sono andate via e non ho nemmeno paura di ricascarci: diciamo che è stata una fase "fisiologica" della mia vita!
    Ho trovato estremamente gratificante riversare tutte le mie sensazioni nel protagonista del mio romanzo, in vesti e forme diverse, ma mi è stato utile; forse la persona depressa dovrebbe "parlare" del proprio stato d'animo in qualunque maniera: io ho scritto, il mio personaggio disegnava fumetti, trovare un modo per non tenere tutto dentro di sè.

    • Grazia

      Sì, penso anch'io che parlarne sia fondamentale. E' difficile osservare il proprio materiale interiore per capirlo e guarirlo, se non lo si fa uscire.

  • Gloria Vanni

    Che meraviglia questo tuo post che viaggia dalla scrittura alla vita e viceversa, Grazia!
    Parli di depressione con la tua semplicità che amo ogni giorno di più. Tocco con mano la depressione con il mio ex marito, anche se nessuno ha mai usato quella parola quando lui ha iniziato a rompere il nostro progetto di famiglia. E di curarsi, quindi, neanche a parlarne. È uno di quei vicoli ciechi, la depressione, in cui devi avere la fortuna di trovare una mano pronta a stringere la tua e ad aiutarti a iniziare un cammino diverso. Sempre che tu voglia affrontarla e superarla, però. Cosa che non è poi così scontata

    • Grazia

      Non lo è, Gloria, e quello è il lato più arduo del problema. Chi è depresso fatica a farsi aiutare. Quando vive un periodo brutto, non se la sente di parlare con nessuno, non prende iniziative di nessun tipo; quando vive un periodo discreto, non ha voglia di ripensare ai momenti neri e preferisce minimizzare. E' un circolo vizioso.

  • Nick Murdaca

    Grazia, come sai non sono uno scrittore quindi non riesco ad immaginare quali intensità possa provare chi scrive un racconto, e sceglie di "dare vita" ad un personaggio depresso. Tuttavia, forse per empatia, escludo che sia un'esperienza immune da un coinvolgimento emotivo. Leggendo l'articolo, così ben approfondito, in cui descrivi le caratteristiche della malattia, come funzionali ad una storia, mi ha ricordato Manzoni e la sua vita segnata dal male oscuro. In questo caso, oltre che il personaggio, in qualche modo anche un autore potrebbe far parte potenzialmente della storia che scrive: come fosse un gioco di specchi in cui il riflesso è il turbamento che si riflette all'infinito.

    • Grazia

      Sono convinta che tu abbia ragione, non si può raccontare un personaggio depresso senza calarsi a fondo nei suoi panni e portare il suo stesso peso. Anche per questo è difficile scrivere di personaggi completamente diversi da se stessi; ti vengono a mancare i riferimenti, sei al buio.

  • CogitoErgoLeggo

    Per diverse ragioni, conosco bene questa malattia.
    In passato ho creato un personaggio affetto da depressione ma non c'era nulla che smorzasse l'angoscia o il tormento. Diciamo che l'avevo creato a fini terapeutici e non certo perché la storia fosse letta da qualcuno, quindi andava bene così.
    Per quanto riguarda il discorso dei familiari, nessuno capisce davvero la sofferenza di chi è depresso, anzi, spesso una parola di conforto si trasforma in una mazzata sui denti.
    Inoltre, chi si trova in una fase di depressione, perde interesse per tutto, nemmeno le sue attività preferite riescono a scuoterlo, nemmeno se dovesse vincere un milione di euro. Poi magari nel caso di una depressione lieve (sia essa reattiva o endogena) funziona diversamente, ma non ci metterei la mano sul fuoco.
    Se si vuole parlarne in una storia, adottando il punto di vista del personaggio depresso, conviene forse trattare una sindrome bipolare (se t'interessa l'argomento, ti consiglio "una mente inquieta", di Kay Redfield Jamison), in questo modo puoi alternare la depressione alle fasi di mania (o ipomania, nel caso di bipolarismo lieve, di cui si parla ne' "la belva", di Camelia Ciuban).
    Insomma, credo comunque che, se si ricerca il realismo, non si possa in alcun modo "indorare la pillola".

    • Grazia

      Indorare la pillola, di per sé, non può dare buoni risultati sul piano del realismo. Se però esistono forme più o meno gravi di depressione, allora esiste anche la possibilità di scegliere quella più adatta alla storia che si vuole raccontare, inclusa eventualmente la sindrome bipolare, che lascia aperte più possibilità per l'autore. (Mi fa impressione parlare di un problema che fa soffrire tante persone come se fosse un semplice elemento di trama, ma in fondo anche le storie possono avere una loro utilità nel far conoscere il problema e le sue possibili soluzioni.) Grazie del contributo!

    • Grazia

      Avevo letto solo il primo commento, ma vai pure a rate, non intasi niente! Sì, credo che tu abbia reso bene la sensazione. In fondo ogni problema contiene in sé dei germi di crescita per chi li vive, e ci sono persone che con se stesse non si incontrano mai.

    • CogitoErgoLeggo

      Con "indorare la pillola" intendevo per il lettore.
      E mi sono accorta di essermi dimenticata una cosa.
      Se si vuole parlare di depressione in un romanzo e dare un po' di respiro al lettore, si può parlare di quei momenti in cui termina la fase depressiva.
      Chi soffre di depressione, spesso è contento della sua malattia (una volta terminato il periodo più critico, spesso a rischio suicidio) perché attraverso il dolore e l'angoscia della depressione si arriva a conoscere se stessi a un livello di profondità tale da non essere concesso a chi è malato. Non so se riesco a spiegarmi, ma è una sensazione del tipo "ho attraversato l'inferno, ne sono uscito e mi conosco come nessun altro conosce se stesso".

  • Lisa Agosti

    Non ho mai creato un personaggio depresso, non mi è proprio mai venuto in mente, forse per lo stesso limite che mi porta a non creare personaggi cattivi: scrivo per rallegrarmi, fatico a scrivere scene tristi o negative.
    Ne va del mio umore: stamattina per esempio ho scritto la scena del "primo bacio" e sono stata allegra tutto il giorno.
    In futuro conto di sperimentare personaggi di ogni tipo e terrò sicuramente presente questa scheda utile e esaustiva sulla depressione, tema fulcro dei litigi internazionali tra psicologi, che non riescono a decidere quanto di questa malattia sia inevitabile e quanto sia invece indotto dalla società moderna.

    • Grazia

      Forse tu, per la tua formazione, di depressione ne hai sentito parlare abbastanza. La negatività nelle storie che scrivo la accetto perché la vedo in prospettiva (che per me è sempre positiva), ma sfrondo volentieri tutto il resto, tanto ne è già pieno il mondo. Mi rallegra pensare che esistono mille tipi di storie, e non esiste un obbligo per lo scrittore di cimentarsi in quello che detesta.

  • Cristina M. Cavaliere

    Direi che i miei personaggi non sono mai depressi… alcuni spesso tristi e addolorati, ma non afflitti da un vero e proprio spleen.I tuoi consigli su come rendere al meglio un eventuale personaggio depresso sono, per questo, preziosissimi!

    Personalmente soffro di periodi di depressione, ma del tutto nella norma. Da ragazza ho avuto dei gravi esaurimenti nervosi, ma credo che quelli siano altra cosa rispetto alle depressioni vere e proprie.

    • Grazia

      Controllando in rete, vedo che l'esaurimento nervoso pare in parte correlato alla depressione. Non capita più tanto spesso di sentirlo nominare, vero? Una volta era più… di moda. Mia madre lo diceva a me: "Mi fai venire l'esaurimento nervoso!". E sì che ero quasi un soprammobile…

  • Giulia Lù

    Io ho vissuto un momento di depressione nella mia vita, avevo circa 25 anni ma era in forma lieve per fortuna, mi sono salvata con lo sport, su consiglio del mio medico curante mi sono iscritta a un corso di nuoto. Non so come ma mi ha fatto bene. Da allora sono stata bene e cerco sempre di fare qualche sport perché muoversi fa bene al fisico e allo spirito.
    Se parlassi di un personaggio depresso probabilmente saprei cosa scrivere, conosco bene la sensazione. In realtà avevo anche pensato a una storia tempo fa in cui c'è un personaggio depresso ma secondario, ma al momento ho una storia diversa da scrivere, di cui sento più l'urgenza.

  • Tenar

    Io sono incline alla malinconia, alla paranoia e all'ansia, ma alla depressione grazie al cielo no. Come tutti ho giornate (settimane?) storte, ma, a meno che non ci sia qualche oggettivo problema esterno che mi causa tristezza, al peggio poi mi faccio una piangiata (come i bimbi piccoli), prendo atto che che cosa c'è che non va e riparto.
    I miei personaggi, invece, spesso sono depressi perché è accaduto loro qualcosa di brutto e ce ne sono alcuni inclini ad accarezzare pensieri suicidi (anche più che pensieri, almeno in un caso). Quando scrivo di loro sto male. Di solito evito di farlo se so che dopo la sessione di scrittura rischio di rimanere sola in casa per ore, perché il loro malessere mi penetra fino al midollo. C'è da dire che si tratta sempre di depressione post traumatica, in seguito a un lutto o a qualche altra perdita importante. Poi si danno una scossa e vanno avanti. La depressione patologica pura e semplice non mi affascina gran che e non è mai entrata nelle mie storie.

    • Grazia

      Nel dolore in seguito a un problema reale è più facile riconoscersi, secondo me, sia per l'autore che per il lettore. Certo che la partecipazione alla vita emotiva dei personaggi può essere pesante, a volte.

  • Andrea Cabassi

    Per dare una piccola svolta allegra alla discussione vi cito i personaggio di Marvin, il robot depresso de "Guida Galattica per Autostoppisti". La depressione di Marvin ha sempre risvolti comici. Cito da Wikipedia: «Marvin è un androide a bordo della nave spaziale Cuore d'Oro. Costruito dalla Società Cibernetica Sirio come un prototipo di robot CPV (Caratteristiche da Persona Vera), è costantemente depresso. La sua mente "è troppo vasta per essere riempita da qualsiasi occupazione" e passa il tempo a lamentarsi della vita irritando tutti i membri dell'equipaggio o costringendo al suicidio i computer delle navi spaziali. Memorabile "tagline" : Ho il cervello grande come un pianeta e mi fanno unicamente raccogliere un pezzo di carta.»

    • Grazia

      Che bel personaggio! Quasi quasi mi fai riprendere in mano il libro, che ho abbandonato dopo poche pagine qualche anno fa. E' che le storie surreali e strane spesso mi scatenano lo sbuffo intollerante… è più forte di me.

    • Andrea Cabassi

      Capisco. Purtroppo (o per fortuna) la saga è davvero tutta così!
      E' uscito un film una decina d'anni fa ma non è stato all'altezza del romanzo. Tanto per coniare un neologismo, il film è "Godibilino" (un misto fra godibilissimo e carino)

  • Chiara Solerio

    Il mio protagonista attraverserà nel corso del romanzo alcune fasi depressive (due, per l'esattezza, di cui una all'inizio del romanzo) in seguito a circostanze particolari ma si tratterà di periodi piuttosto circoscritti, in primis perché lui ha un'indole piuttosto reattiva, in secondo luogo perché non voglio connotare la storia, già drammatica di per sé, di storie troppo tetre. Stessa cosa accadrà ad altri personaggi, che nel corso di quindici anni potranno avere dei momenti di "down". Ho anche una sindrome post-traumatica da stress!

    Ti consiglio di leggere "Se mi vuoi bene" di Fausto Brizzi: un romanzo in cui la depressione è affrontata in modo ironico e piacevole, seppur talvolta con una punta di eccessivo buonismo.

    • Chiara Solerio

      Anche io la vedo buona. L'eccesso di miele però è banalotto e inverosimile.
      Ciò nonostante, è un romanzo che mi è piaciuto molto, pur nella sua (o forse proprio per questo) eccessiva semplicità.

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