Il conflitto nella scrittura
Si dice che senza conflitto non esista una storia da raccontare.
Ma c’è conflitto e conflitto…
Oggi sul blog c’è un post che parla di guerra? No, non credo che potrei mai scriverlo; ma il conflitto è un motore fondamentale della narrativa, il presupposto degli eventi che mettono in moto i personaggi nel loro percorso. Se il protagonista desidera fortemente qualcosa e non c’è niente a ostacolarlo, come autori abbiamo ben poco da raccontare.
Ma c’è conflitto e conflitto. Come nella vita reale è diverso litigare con il coniuge per un tradimento o per la scelta del ristorante, così nella storia esistono conflitti adatti a farle da pilastro e conflitti capaci al massimo di reggere una scena. Se i primi vanno chiariti e coltivati, perché generano gli eventi della trama e mostrano di che pasta siano fatti i personaggi, i secondi stanno benissimo nei loro confini. C’è proporzione tra importanza e spazio occupato, in una storia ben scritta.
Ultimamente mi capita di vedere i telefilm della serie NCIS – non per mia scelta, alla sacra ora di cena! – e ci trovo un ottimo esempio di conflitti secondari in eccesso. In ogni episodio, oltre alla vicenda centrale più o meno avvincente, vengono riproposti a raffica sempre gli stessi microconflitti, come l’agente Di Nozzo che tormenta il “pivello” McGee e il supervisore Jethro Gibbs che chiede aggiornamenti ai membri della sua squadra e si arrabbia nel ricevere risposte divaganti e inutili. C’è davvero bisogno di riproporre con tanta frequenza gli stessi battibecchi, utili solo a tratteggiare il carattere dei personaggi? Secondo me no, ma lo giustifico in un telefilm, che viene visto anche da spettatori occasionali; in un romanzo, per quanto leggero, mi disturba proprio la lettura.
Per capire cosa sia un Conflitto con la maiuscola, possiamo procedere per esclusione.
Litigare, discutere e persino combattere non sono necessariamente conflitti. In guerra si è autorizzati a uccidere, perciò si può farlo (almeno in teoria) senza esserne troppo destabilizzati. In contesti più quotidiani, si può litigare per un niente, e d’altra parte è possibile esprimere i sentimenti più mortiferi senza nemmeno alzare la voce.
Contrattempi e ostacoli non creano di per sé conflitti importanti. Il personaggio può raggiungere l’obiettivo con ritardo rispetto alle sue intenzioni, ma non per questo deviare di una virgola dal suo percorso umano.
I problemi di comunicazione possono essere superficiali. Fraintendere, saltare alle conclusioni, ragionare per pregiudizi, pronunciare per rabbia parole che non si pensano, sono comportamenti comuni a tutti gli esseri umani e non abbastanza intensi da essere al centro di un romanzo.
Inseguimenti, incidenti, catastrofi naturali possono coinvolgere i personaggi solo come difficoltà pratiche da risolvere.
Ma se non sono questi elementi oggettivi a definire il conflitto di serie A, quale indizio possiamo cercare, come autori?
Il coinvolgimento di valori importanti per i personaggi.
È un meccanismo che tutti riconosciamo: quando percepiamo qualcosa come importante, vederlo minacciato, o anche solo messo in discussione, scatena in noi sentimenti e reazioni che spesso vanno oltre la ragionevolezza. Questo qualcosa può essere la famiglia, l’ambizione, la sopraffazione nei confronti dei deboli, l’ordine, una collezione di francobolli. Sono valori del tutto personali, che a seconda del nostro carattere possono coincidere con quelli riconosciuti dalla società in cui viviamo, ma anche scostarsene o sfociare nel patologico.
Le parti in causa possono essere le più disparate: il personaggio può trovarsi in conflitto con un antagonista, con la natura, con la società o i propri desideri inconsci; ma si può sempre vedere il conflitto come scontro tra valori diversi e incompatibili, uno scontro che mina l’interiorità dei personaggi e non si limita a metterli in difficoltà. Forse anche questo può contribuire alla “potenza” di cui parlava Herman Melville.
I saggi maestri di scrittura consigliano di sviluppare insieme, nella storia, un conflitto esterno e uno interno al personaggio, che si intreccino e talvolta si intralcino a vicenda, alzando così le poste in gioco. Trovo che sia un ottimo modo per dare spessore a ciò che raccontiamo, perché in fondo è proprio così che viviamo la nostra vita reale, tra desideri, esigenze e timori diversi e spesso contrastanti. I conflitti importanti devono poi trovare una giusta risoluzione entro la fine della storia, perché il lettore si aspetta – giustamente! – che ogni punto interrogativo suscitato dalla lettura abbia un significato, e non sia semplicemente un pretesto per le manovre dell’autore.
Nel mio romanzo Due vite possono bastare, Goran vive il conflitto interiore tra il desiderio di riprendere il suo posto nella società e nella famiglia e il cambiamento avvenuto in seguito all’amnesia. La lacerazione è così profonda da diventare intollerabile e dare il via alla sua ricerca di risposte alle domande che lo tormentano. Il personaggio non può evitare il conflitto, ma è costretto ad affrontarlo. Questo senso di necessità mi sembra importante all’interno di una storia. Al conflitto centrale si sovrappongono quelli con la moglie Irene, il socio in affari e altri personaggi di cui non vi racconto, perché… bè, perché spero che leggiate il romanzo, naturalmente!
Quali scontri di valori avvengono nelle vostre storie?
Siete mai tentati di dare troppa importanza ai conflitti secondari?
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
30 commenti
Anonimo
Sono una grande fan del conflitto, senza conflitto davvero non c'è storia, il lettore vuole rogne, problemi e desidera fare il tifo per il suo eroe che alla fine, si spera, sconfiggerà il nemico. Nemico che, può essere anche un dramma interiore, non necessariamente chissà cosa. Personalmente i miei conflitti sono familiari: perdere il lavoro, un tradimento, una malattia, uscire dallo stato di single e trovare finalmente l'amore… Sandra
Grazia
Il conflitto è nemico della noia. Se vivessimo tutti vite perfette, temo che invece di leggere ascolteremmo concerti di arpe e flauti ("temo" per la sorte dei libri, non perché mi siano antipatici arpe e flauti!).
Chiara Solerio
Anche io ho un conflitto esistenziale, con il protagonista che cerca il proprio post nel mondo e non conosce l'identità di suo padre, affiancato a conflitti circoscritti a determinati momenti nella storia: difficoltà a staccarsi dal contesto di origine, problemi economici, brutte frequentazioni, eventi improvvisi… Stesso principio vale per gli altri personaggi.
Grazia
Anche tu non ti fai mancare niente!
Chiara Solerio
Tendo a strafare, l'ho sempre detto.
Patalice
il conflitto è tanto vitale, quanto distruttivo…
nella vita, anche quella quotidiana, per natura, lo ricerco quasi spasmodicamente
Grazia
In passato forse l'ho fatto anch'io, ero molto reattiva e non mi tiravo mai indietro quando c'era da discutere e polemizzare. Ora non è più così, e non mi dispiace affatto. Tre quarti delle cose che mi facevano scendere in campo non valevano neanche un millesimo delle energie che sperperavo a quel modo. Per l'altro quarto, invece, valeva la pena di battagliare.
Cristina M. Cavaliere
Di recente ho assistito a una delle mie assurde conferenze di Storia, e la relatrice dava una definizione delle battaglie parecchio interessante: "Non sono solamente due eserciti che si affrontano, ma due opposte mentalità". Mi è venuta in mente leggendo la tua frase: "Il coinvolgimento di valori importanti per i personaggi"!
Nei miei romanzi di solito ci sono grandi conflitti, e conflitti sotterranei e apparentemente secondari che prima o poi esplodono rivelando tutta l'antipatia che alcuni personaggi covano per altri… e quindi diventano principali.
Grazia
Ah, un upgrading dei conflitti minori… non ci avevo pensato!
Giulia Lù
I miei personaggi sono pieni di conflitti interiori, in Fine dell'estate i due adolescenti hanno i conflitti tipici della loro età a cui aggiungo i conflitti oggettivi esterni legati alla loro situazione familiare, genitori divorziati e mancanza del padre. A tutto ciò si aggiunge, a un certo punto della storia, un evento che porterà un conflitto ben più grave che è quello che poi ridimensionerà gli altri conflitti. In effetti un romanzo senza conflitti non ha ragione di esistere, io mi concentro su quelli importanti per il protagonista, sulla loro risoluzione verte tutta la storia, i conflitti secondari magari fanno da contorno e sottolineano la rilevanza di quelli davvero importanti.
Grazia
Mi sembra interessante questa situazione: conflitti importanti che vengono comunque messi in ombra da un problema maggiore. Con i personaggi così sotto pressione, l'effetto drammatico è sicuro. (Non mi piace parlare così dei personaggi. Non mi starò convincendo che siano reali, sia i miei che quelli degli altri? Bah.)
Giulia Lù
Vero! Per me diventano quasi reali …
Lisa Agosti
Che bella domanda!
Devo ammettere che nel mio romanzo la protagonista è risucchiata in un conflitto che non le appartiene e il mio problema più grande adesso è proprio trovare uno scioglimento in cui lei abbia senso di esserci.
Ho anche notato che tendo a "saltare" le scene di conflitto, preferendo quelle di passaggio, meno emotive e quindi più semplici da scrivere. Per esempio, se una sera due ragazzi litigano per amore e si prendono a pugni, invece di vivere la scena, faccio cominciare la scena dal mattino successivo: "E lui si svegliò e provò un forte dolore al pugno destro, e gli tornò in mente che la sera prima…"
(Spero che si capisca cosa intendo.)
Grazia
Oh sì, si capisce! Sai quante volte mi sono accorta anch'io di avere bellamente saltato a quel modo il clou della scena? Certe volte bisogna inchiodarsi alla sedia per non scappare…
Francesca
Ciao Grazia, molto interessante per me questo post anche perché mette in discussione (e questo mi fa piacere, è stimolante!) non solo le mie convinzioni letterarie ma anche relative alla vita reale! Problemi di comunicazione e contrattempi sarebbero conflitti secondari? Può darsi, a volte però mi conducono sull'orlo del divorzio!!
Mi riconosco nel sentire come una necessità la compresenza di un grosso conflitto esteriore e di un altrettanto importante conflitto interiore. Credo di averli sempre introdotti in maniera spontanea, senza rendermene conto, forse perché è uno schema letterario molto "istintivo". Ripensando ai miei due racconti che sento come più importanti: una donna maltrattata ha come conflitto interiore elevare la propria autostima, esteriore: la necessità di sottrarsi all'uomo che la maltratta. Un uomo depresso: guarire dalla depressione e conquistare la donna amata, migliorando la propria vita.
Bisogna stare attenti – hai ragione – a non risolvere questi conflitti d'un tratto, in maniera poco coerente, con la bacchetta magica, per così dire. E' una tentazione cui è difficile resistere, ma riconosco che è tipicamente dilettantesca.
Grazia
I problemi di comunicazione non sempre sono secondari (si chiama incoraggiamento al divorzio, questo?). La risoluzione veloce l'ho "praticata" anch'io, soprattutto quando ho iniziato a scrivere. Un po' come accadeva con le scene di lotta, mi sbrigavo perché erano parti difficili.
Tenar
Mi è piaciuto molto questo post!
Il conflitto ineludibile è alla base dei miei scritti, anche quando sono gialli, c'è sempre in ballo qualcosa che ha a che fare con l'interiorità dei protagonisti.
Nel romanzo che è in valutazione entrambi i protagonisti sono a un bivio. Lui ha visto la propria vita rivoltata come un calzino da una malattia improvvisa, lei ha un fidanzato che le intima di scegliere o lui o il lavoro. Su questi conflitti si inseriscono poi quelli di trama, legati alla parte gialla, in una sorta di cattedrale gotica di conflitti sovrapposti.
Grazia
Valuterei volentieri il tuo romanzo, così a occhio… aspetto speranzosa.
Marina
Il pregiudizio è l'elemento su cui pongo l'accento nel romanzo, quello che è alla base di parte dei tormenti del mio protagonista. In lui c'è una conflittualità continua: prima di tutto con se stesso, poi nei rapporti sentimentali e in quelli familiari. Credo che giocare sul conflitto, in una storia, serva a tracciare un percorso interessante; renderlo efficace, invece, può essere difficile.
Grazia
Hai ragione, il conflitto è necessario, ma di per sé non garantisce il coinvolgimento profondo del lettore. C'è sempre una fetta di imponderabile nella riuscita di una storia, un cocktail che le "regole" non possono ricreare a tavolino.
Renato Mite
Ciò che apprezzo di più nei conflitti che si svolgono nella letteratura è la loro risoluzione, nel senso che come autore posso creare un lieto fine.
Il valore principale che genera conflitti nelle mie storie è la ricerca della verità, questo è un tema che tocca la trama del nuovo romanzo che sto revisionando, non solo perché è un giallo, e ancor di più nel primo romanzo. In Apoptosis la ricerca della verità è una costante, anche se messa in discussione da Matt che ritiene di poter giungere solo alla realtà delle cose, e pervade non solo il conflitto principale ma anche diversi conflitti secondari come i battibecchi fra Matt e Liz o le diversità di vedute fra George Tobell e Richard Neghson o ancora i rapporti fra Grace Rowelk e Jason Stemberg.
Si tratta di un tema filosofico che sento molto e credo farà sempre parte in una certa misura delle mie storie.
Grazia
E' una tematica che sento anche nelle mie corde, così come la propensione al lieto fine, che naturalmente non deve essere posticcio. Può sembrare una forzatura dare una risoluzione positiva, ma in realtà non è così, se la storia è pensata per quell'esito naturale.
Renato Mite
Infatti l'esito positivo deve essere parte della storia o ci si deve impegnare a trovare fra tutte le difficoltà una risoluzione positiva valida, i deus ex machina hanno fatto il loro tempo. Spesso trovare un lieto fine è più difficile che narrare finali aperti o tragici.
La spettinata
Leggere queste parole alla luce di quanto successo a Parigi… beh… non posso essere piu' d'accordo. C'e' conflitto e conflitto.
Grazia
Questo è un livello di conflitto che certo non avevo in mente. Difficile pensarlo in ambito narrativo.
Daniele
NCIS lo vedo anche io, lo trovo rilassante la domenica sera
Quei conflitti nella serie servono eccome, come in ogni serie TV. Fanno parte del carattere dei personaggi, quindi devono esserci.
Altrimenti dovresti togliere anche il sotterraneo di Gibbs e i suoi attrezzi di falegnameria o la musica e il look della moretta nel laboratorio.
Anche in un romanzo bisogna tenere conto di questi piccoli conflitti, perché rendono la storia più viva e credibile.
Grazia
Come spettatore assiduo, sinceramente mi sembra che questi battibecchi siano troppo ripetuti, ma è una questione di gusti. E' vero che in un telefilm devi anche soddisfare lo spettatore occasionale, che ne ha bisogno per capire in poche battute il carattere dei personaggi. Anche in narrativa può esserci spazio per i conflitti minori, ma starei più attenta alle proporzioni, ecco.
Salvatore
Non ho molto da aggiungere o osservare in quello che hai scritto, condivido tutto. Mi pare anche che tu abbia spiegato bene la differenza tra un conflitto che è più simile a un incidente di percorso e che serve a far avanzare la storia o a tratteggiare i caratte, e un conflitto vero, importante. Tempo fa, alla Holden, ricordo che ci dissero che i conflitti "importanti" rientrano in due solo categorie: morte e amore. Naturalmente, queste, sono due macro categorie, all'interno delle quali, come fai notare, ci può essere di tutto: famiglia, onore, riscatto, ecc.
Grazia
Morte e amore. Forse ci aggiungerei identità, ma per il resto sono d'accordo.
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