Scrivere senza cliché? No, grazie.
Tra gli spauracchi dello scrittore, il cliché occupa un posto importante. O no?
Esaurita la sfilza delle festività, eccomi qui. Non posso dire di sentirmi più carica, ma sicuramente ho recuperato qualche ora di sonno persa qua e là. Spero che il vostro bottino sia più ricco!
Ogni tanto passeggio ancora per blog di scrittura. Lo faccio meno di una volta, così come leggo meno manuali, ma i blogger statunitensi offrono spesso spunti interessanti, nonostante i loro consigli non sempre si adattino alla nostra situazione.
È così passeggiando che mi imbatto in un post sul blog Ink and Quills, dal titolo 10 Worn-out Cliches in YA. Si parla di originalità, e precisamente quella che manca nella maggior parte delle storie per adolescenti. Interessante, visto che ultimamente scrivo proprio Young Adults! Ho già la penna che scalpita per prendere appunti.
Vediamo cosa c’è nell’occhio del ciclone (ooops, frase fatta – meno dieci punti per me).
Il prologo oscuro. Il romanzo inizia con una scena criptica, un frammento di azione incomprensibile, un sogno o una visione; comunque un elemento che lascia il lettore con un punto interrogativo sulla fronte stile fumetto.
Il triangolo amoroso. Sono in due ad amare l’eroina. Lei chi sceglierà? Pare che di solito lo capiscano tutti fin dalle prime frasi del romanzo – tutti meno l’eroina in questione, ovvio.
La bellezza cieca. Questo cliché è tutto al femminile (vogliamo domandarci perché? Meglio di no.) L’eroina passa tre quarti del romanzo a sentirsi uno scorfano. Tutti, tra familiari e amici, le dicono che dovrebbe partecipare a Miss Mondo, ma lei nemmeno osa guardarsi allo specchio mentre si lava i denti. Questo fino a quando Mr. Principe Azzurro non cade ai suoi piedi, e allora persino lei arriva a trovarsi passabile.
Ricevuto: dimentichiamo il prologo oscuro, il triangolo amoroso e la bellezza cieca. Ma non è finita.
L’amore a prima vista. Lui e lei si incontrano, gli sguardi s’incrociano e… bam, secchi tutti e due. Si giurano amore eterno e sono disposti a morire l’uno per l’altra, anche se non conoscono ancora i rispettivi nomi.
Alto, affascinante e perfetto. È fatto apposta perché l’eroina non incontri l’ombra di un dubbio nello sceglierlo come l’uomo della sua vita.
Il bel tenebroso. Somiglia molto al tizio alto, affascinante e perfetto, con la differenza che il Bad Boy ha un tragico lato oscuro, di solito derivante dal suo ancora più oscuro passato. In tutta questa oscurità, è comprensibile che la protagonista finisca con l’essere attratta dall’introversione del personaggio, che gli dà (blogger dixit) “la gamma emotiva di un cucchiaino”.
Okay, okay. L’amore a prima vista è banale; i classici belloni, buoni e cattivi, anche. Abbiamo altri crimini da giudicare, Vostro Onore? Ma certo!
La scoperta della regalità. È lei la principessa, ma non ne aveva il minimo sospetto. Credeva che i suoi genitori fossero due barboni, e invece…
Poteri ignoti. Il personaggio ha vissuto con se stesso per qualche lustro, ma non si è mai accorto di saper fondere le gomme da masticare con lo sguardo. Che vuoi farci, non ci si conosce mai abbastanza.
Problemi con i genitori. Possono essere morti, alcolizzati, negligenti, violenti… normali, proprio no.
La trilogia. La storia, che volentieri occuperebbe trecento pagine, viene allungata, stirata e ritoccata – aggiunta di qualche scena, descrizioni più approfondite, font ingrandito, margini di quattro centimetri – fino a trasformarsi in una bella trilogia.
Il prescelto. Il/la protagonista, che magari fatica a prepararsi il caffelatte, è l’unico/a poter salvare il mondo. È uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare. Del resto lo ha detto la profezia…
OKAY!
Anzi, per niente okay.
Mi sono stufata di queste giaculatorie sugli orribili cliché, da evitare pena la morte o, peggio, l’impubblicabilità eterna. Nella mia non breve vita mi sarò cuccata almeno… quante, trecento, quattrocento storie? infarcite di questi cliché, e sapete cosa? Molte di queste storie mi sono piaciute.
Cosa ne deduco?
– Esistono tipi diversi di lettori, vivaddio! C’è chi davanti al cliché mormora “vade retro”, chi sorvola e bada al resto, e chi nemmeno ci fa caso.
– La storia si valuta nel suo insieme, non focalizzando l’attenzione sui suoi singoli elementi. A meno che non si legga per criticare, invece che per dilettarsi. Certo, se l’autore riempie di cliché il romanzo e non ci infila niente di originale a controbilanciarli, il disastro è certo.
Resta comunque il fatto che i cliché nascono con l’essere umano e affondano le loro radici negli archetipi. Non a caso possiamo “copiare” anche… senza saperlo! È naturale che la nostra immaginazione di scrittori-lettori ritorni sui temi che più sentiamo importanti e sui personaggi e gli eventi che tipicamente li accompagnano, gli stessi che abbiamo assorbito da tanti libri e film rimasti stampati nella nostra memoria.
Non voglio dire che l’originalità valga zero, ma mi rifiuto di considerare la lotta ai cliché come uno dei must dello scrittore, anzi, vorrei organizzare una campagna di vero e proprio riscatto: i cliché offrono al lettore appigli emotivi certi, gli evitano una navigazione disturbante e troppo piena di imprevisti; per l’autore sono naturali e comodi, quasi una garanzia di successo. Dite di no? Eppure basta guardarsi intorno in libreria. Ci sono sì autori dalle idee stranamente personali, ma sono una ridotta minoranza. Chi vuole far parte di una minoranza?
Perciò cercherò di inserire nella mia storia per adolescenti tutti i cliché del genere, sperando di essere perdonata se ne mancherà qualcuno. Evitarli tutti mi sarebbe comunque impossibile: non avrei materiale sufficiente per la storia!
Perché ho la sensazione che non sarete d’accordo?
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
38 commenti
Michele Scarparo
Non ci sono medaglie senza rovescio: scrivere testi origilani è rischioso: non sono molti i lettori disposti a fare il "salto nel buio" (ops! )
D'altronde, scrivere rispettando i cliché (e mi vengono in mente gli Harmony, che ne hanno fatto un marchio e che hanno un mercato stabile) è difficile: essere noiosi è un attimo.
Dunque? Meglio seguire la strada che trovi più congeniale!
Grazia
Ognuno deve trovare la sua via, hai ragione.
Sonia Ognibene
Alla fine nei cliché ci cadiamo tutti, anche se c'è chi lo fa con maestria impareggiabile (perché non usa solo cliché) e chi con una goffaggine senza speranza (perché ne abusa). E poi, come "Il viaggio dell'eroe" ci insegna, in fondo le storie che scriviamo sono riconducibili a una soltanto, per cui…
Grazia
Meglio metterci l'anima in pace (e via altri dieci punti…) e confidare che comunque il risultato sarà in una certa misura originale, perché lo siamo noi come individui.
Francesca
Giusto, come ha detto Michele Scarparo: gli Harmony e il romanzo rosa in genere pullulano di cliché. Ma non solo: già Omero e tutta la letteratura epica! I cliché rimangono impressi nella memoria del lettore, delineano i personaggi, li rendono mitici!
Bisogna trovare il giusto equilibrio tra cliché ed originalità.
Gli scrittori più abili ti rifilano il cliché senza che tu nemmeno te ne accorga!
Grazia
E' vero, dallo scrittore capace ci lasciamo fare di tutto.
Marina
Quanti argomenti originali possiamo scovare che non siano stati almeno una volta trattati o soltanto sfiorati? È normale, secondo me, cadere in qualche cliché; ciò che fa apprezzare o mal tollerare una storia, ciò che la rende unica o noiosa è la capacità (o l'incapacità) dell'autore di salvare il cliché con pennellate di genialità, di scansare il rischio di renderlo copia conforme di narrazioni trite e ritrite.
Grazia
Eh sì, qualcosa nella storia (o nel modo in cui viene raccontata) deve suonare nuovo, fosse anche un'impressione infondata.
Giulia Lù
Qualche cliché si può anche accettare, in fondo se il principe azzurro è uno scorfano diventa difficile immedesimarsi nell'innamoramento folle della protagonista…
Io credo che una buona scrittura sia il giusto mix tra realtà e fantasia.Forse.
Grazia
Una buona scrittura è davvero un punto di equilibrio tra tanti opposti. Ho un post in mente su questo.
Tenar
La questione è complicata. Il Cliché esiste, va riconosciuto e usato come tale.
Se lo si sta usando e si è consapevoli farlo bisogna rendere il nostro cliché particolare, la nostra eroina bella che si sente racchia diversa da tutte quelle che l'hanno preceduta per qualche motivo. Inoltre dipende quanti cliché vogliamo mettere dentro. Due? Tre? Ok. Dieci? Ehm… Forse troppi!
E il cliché a volte aiuta, ad esempio per caratterizzare i personaggi secondari o per ribaltarlo all'ultimo momento. Insomma, è un elemento da usare con consapevolezza, come tutto il resto…
Grazia
Dici che mirare all'en plein è una cattiva idea? Forse hai ragione…
PattyOnTheRollercoaster
Trovo questo post interessantissimo, perché io personalmente ho sempre guardato male il cliché. Però devo ammettere che qualcuno ogni tanto non guasta affatto, anzi ci aiuta subito ad avvicinarci alla storia e ai personaggi.
Penso che l'importante sia, per un autore, essere consapevole di star usando dei cliché e quindi dosarli e cercare di renderli originali, o di non portarli troppo all'estremo.
Comunque bel post, complimenti!
L'ho trovato originale perché difende qualcosa che solitamente tutti gli autori e i lettori considerano un neo nei romanzi, e mi hai fatto considerare un nuovo punto di vista
Grazia
Parlando seriamente, la penso anch'io così: consapevolezza, giusto dosaggio e lo sforzo di metterci almeno un tocco originale.
Glò
Concordo, da lettrice – lo rammento sempre Non esiste nulla che possa impedire la riuscita di un buon libro, tutto dipende da COME lo scrittore sa dosare e maneggiare storia, stile, inventiva… Ma, dall'altra parte, c'è chi sarà il destinatario del romanzo: la recezione dipende da molti fattori, personali sicuramente, ma forse anche per "genere" letto. Voglio dire che le ostilità maggiori penso verranno da chi ne legge uno (o quasi) soltanto e si interessa più alla "storia" tout court.
Grazia
Il lettore ha sempre ragione, perché è lui a completare la vita della storia; nessuno gli può dire come deve giudicarla. Quel COME è il fulcro su cui ruota tutto.
Daniele
Do ragione a Tenar, bisogna inserirli consapevolmente e non per scarsa fantasia o pigrizia. Si può poi lavorare sul cliché per renderlo… meno cliché.
Grazia
La pigrizia non è mai una buona consigliera. Alla fine la consapevolezza è la chiave di tutto: se non ce l'hai e non riesci a creartela, hai poco margine di miglioramento.
Celeste Sidoti
Forse è scontato che io sia d'accordo ?
Come è già stato detto da molti, è un po' difficile evitare i clichè, perchè spesso replichiamo cose già scritte senza saperlo, ed è un bene, perchè è la comprova che siamo in grado di intenderci – la massima originalità sarebbe incomunicabilità completa, un obiettivo che credo nessuno scrittore voglia ottenere.
E sì, sono d'accordo che chi si sofferma sui segmenti di un romanzo senza guardare la cosa nell'insieme lo faccia solo per il gusto di trovare difetti
Come è già stato detto, l'importante è evitare di inserire clichè in serie solo per prigrizia, perchè "si fa così", e questo secondo me è un po' troppo frequente nello YA (e in tanti altri generi).
Forse la cosa migliore è scrivere quello che ci preme davvero scrivere, dimenticandosi tutta la storia dell'originalità o non originalità.
Grazia
Credo che sia la soluzione migliore. Studiando le basi della scrittura creativa si rischia fin troppo di passare il tempo a dibattersi tra opposti solo apparentemente inconciliabili: "show" o "tell", pianificare o improvvisare, talento o lavoro… l'originalità la lascerei fuori dalla battaglia.
Gloria Vanni
Un cliché qui, uno là e, poi, senza rendercene conto è un "tour tra cliché di 8 giorni/7notti", tutto incluso, anche acqua e vino ai pasti. Come sempre, il buonsenso, aiuta nella scrittura come nella vita. E, come diceva Charles Darwin, "Adoro gli esperimenti folli. Li faccio in continuazione". Quoto, Grazia, e so che mi piacerà molto leggerti nella versione Young Adults!
Grazia
Ma vedi che bello, il cliché tour in versione professionale! Appena prodotto (e magari pubblicato, per dire), il mio Frankenstein sarà nelle tue mani.
Virginia Rainbow
Io sono d'accordo con te e con quanto hanno scritto gli altri lettori. Secondo me sarebbe impossibile inventare tutto dal nuovo, evitare completamente i glichè. Ne verrebbe fuori una storia talmente strana da essere assurda e poco godibile. Io penso che bisogna sapere dosare i glichè in modo corretto e mischiarli in modo da creare qualcosa che è, comunque sia, nuovo. Come le combinazioni di un gioco, gli elementi sono più o meno quelli, ma le combinazioni possono essere infinite. Tra tutte le blogger e i lettori che hanno letto la mia trilogia, una sola blogger ha parlato di glichè e non aveva torto. Eppure tutti gli altri hanno rilevato invece elementi di originalità. Come mai? Sembra una contraddizione, invece non lo è.
Grazia
Proprio come succede in cucina: non ci mettiamo a inventare la farina, le uova, lo zucchero e il resto, ma combiniamo gli ingredienti a modo nostro. Alla fine, originale o no, se il piatto è buono nessuno avrà da lamentarsi.
CogitoErgoLeggo
Ma che bello questo post, finalmente leggo qualcosa di diverso
Ho letto tanti di quei post che demonizzano l'inserimento dei cliché in una storia da non poterli più soffrire.
Per colpa loro, ogni volta in cui faccio uso di un cliché, mi sento un mostro, manco avessi assassinato grammatica, ortografia e decenza umana in un colpo solo.
Nella mia storia ci sono almeno due cliché piuttosto noti ma ci sono affezionata e trovo che stiano bene lì dove sono. Non ci vedo nulla di male nel farne un uso moderato, anzi! Da lettrice, sono la prima ad apprezzarli
Grazia
Spesso i mostri della scrittura non lo sono affatto, ma è utile criticarli, perché chi scrive potrebbe essere tentato di scegliere sempre la via più facile. Quando lo hai capito, è ora di recuperare i mostri dalla spazzatura e rimetterli a fare il loro lavoro.
Cristina M. Cavaliere
Mmmm, non sono d'accordo con l'enumerazione dei cliché, altrimenti si butterebbe alle ortiche la maggior parte di tutti i romanzi che abbiamo letto, anche da ragazzini. Per fare un esempio, "Senza famiglia" oppure "Oliver Twist" contengono due cliché enormi: "La scoperta della regalità." D'accordo, i loro veri genitori non sono di sangue nobile, ma non sono dei poveracci di sicuro e ben provvisti di mezzi. "I Promessi Sposi" contiene un altro cliché: "lui, lei, l'altro" dove l'altro è il bel tenebroso don Rodrigo.
Secondo me è sempre questione di sfumature… non di grigio ;-)… più ne metti più distogli lo sguardo del lettore dall'eventuale "anima da cliché" – bel titolo per un post, a proposito. Sempre a proposito di bei tenebrosi, mi ha fatto molto ridere "la gamma emotiva di un cucchiaino”, perché l'ho subito applicata a Ghassan.
Grazia
Resterebbe molto poco sugli scaffali, se fossero state pubblicate solo le opere che non contengono cliché. Sfumature, proprio così! Servono a dare l'illusione della tridimensionalità, anche in pittura, no? (Non avevo pensato a Ghassan come esempio del "cucchiaino"… sarà che mi piace tanto! Però un po' cucchiaino forse lo è. :D)
Cristina M. Cavaliere
Direi che Ghassan è cucchiaino solamente fuori, ma dentro è un vulcano in eruzione. Ecco, se l'avessi descritto solo come bel tenebroso con il ricciolo tirabaci e il baffetto da sparviero, sì che sarebbe stato un cliché. Si è salvato in corner, poveretto!
Grazia
Ghassan è un personaggio tanto intenso che non potrebbe essere cliché nemmeno volendo. Pensarlo con il baffetto da sparviero mi fa impressione!
Salvatore
Dovresti leggere Romanzo rosa di Stefania Bertola. È un meta-romanzo, che spiega piuttosto bene le dinamiche e i cliché del romanzo sentimentale; quasi un manuale, è allo stesso tempo un romanzo godibile.
Grazia
Penso che potrebbe piacermi. Tra la'ltro sto proprio leggendo un manuale sul romanzo rosa, pur non essendo intenzionata a scrivere romance, per ora. Mai dire mai!
Seme Nero
Ma il cliché VA usato. È la mano che tendi al lettore, che lo accompagna e lo culla… prima di spingerlo giù per la discesa a velocità folle! È uno strumento narrativo che va usato, purché non sia il cardine della storia. È il trampolino per l'elemento di spicco, per la novità.
Grazia
Mi piace molto questa tua definizione: il cliché come base, come sfondo che fa risaltare il suo superamento.
Chiara Solerio
Alcuni fra i cliché che hai citato mi fanno venire i nervi. Altri, se gestiti bene, possono essere quasi tollerabili.
L'idea di amore a prima vista, secondo me, può funzionare se ha una base psicologica e spirituale solida. Molti romanzi il cui autore è vicino alla filosofia buddhista, per esempio, frutta questo archetipo in relazione ai rapporti karmici: i due personaggi appena si vedono si riconoscono, perché le anime sono già legate. Certo, in casi come questi il rapporto fra loro viene affrontato con profondità, e non con toni banalotti da commedia americana.
Idem per i rapporti con i genitori: un genitore problematico può essere fondamentale per la crescita e l'evoluzione del personaggio, ma questo impatto sulla sua psicologia deve essere ben visibile. Il cattivone con la risata diabolica ha fatto il proprio tempo ormai…
P.S. Anche io ultimamente bazzico pochissimo sulla blogosfera…
Grazia
Credo che l'entusiasmo per la blogosfera sia bello e naturale, ma lo è anche il bisogno di trovare un equilibrio. Le giornate hanno 24 ore per tutti!
Nick Parisi.
Di solito sono contrario all'utilizzo dei cliché però più vado avanti con l'età mi rendo sempre più conto che i cliché sono ovunque anche nei romanzi più insospettabili.
P.s
Riguardo alla blogosfera, ti capisco: è bella ma dispersiva. Mi dispiace che passi meno anche da me però ti capisco.
Grazia
Dispiace anche a me. Seguirei il doppio dei blog che seguo, se assecondassi una parte di me, ma poi l'altra parte mi darebbe lo sfratto.