Incontro con Vincent Van Gogh
Un grande pittore? Sì, ma anche una persona da conoscere.
Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole – qualcuno che non ha posizione sociale né potrà mai averne una; in breve, l’infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno. […]
È vero che spesso mi trovo nello stato più miserando, ma resta sempre un’armonia calma e pura, una musica dentro di me. Vedo disegni e dipinti nelle capanne più povere, nell’angolo più lurido. E la mia mente è attratta da queste cose come da una forza irresistibile.
Era l’estate del 2014 quando il mio viaggio con la famiglia nel Nord Europa mi portò ad Amsterdam.
Bella città! Rilassata, direi quasi gioiosa. Da un po’ di tempo dei luoghi che visito mi colpiscono più le atmosfere che le attrazioni, e Amsterdam mi comunicò vibrazioni molto positive nonostante il mio soggiorno sia stato breve e per niente approfondito (niente battute sull’erba, non sono il tipo!). Se in una grande città trovo strade alberate, case belle e ben tenute, e le persone intorno a me sono gentili, sorridono, leggono e chiacchierano, lo considero degno di nota (e di stupore, visto che di solito io e le città siamo incompatibili).
Tornando all’argomento del post, ero ad Amsterdam. Come avrei potuto perdermi il Museo Van Gogh?
Come forse sapete, sono una fruitrice di arte ignorante e superficiale… ma chiamiamolo approccio istintivo, che suona meglio. Non mi documento in anticipo sulle mostre che visito (poche), spesso mi irritano le opinioni dei critici, e in generale le mie opinioni vanno poco oltre il “che meraviglia!” o il “non mi dice niente”.
Nel caso di Van Gogh, quando visitai l’esposizione avevo in mente soltanto alcuni dei suoi quadri più famosi e il fatto che in seguito a uno screzio con Gauguin ci aveva rimesso un orecchio. Non molto, se pensate che da bambina avevo persino provato a imitare il suo stile, perché mi piaceva la sensazione di movimento che trasmetteva.
La visita al Museo Van Gogh mi lasciò vagamente delusa. Avevo rinunciato al Rijksmuseum per lo scarso tempo a disposizione, ma non ero convinta di avere fatto un buon affare. Allo stesso tempo, circondata da quel pubblico folto e attento, che ascoltava fino all’ultima parola dell’audioguida e studiava i dipinti centimetro per centimetro, mi sentivo anche in colpa. Cosa mi stavo perdendo? Forse Van Gogh aveva qualcosa da dire anche a me, ma io ero sorda e cieca?
La mia curiosità reclamava soddisfazione. Tornata a casa acquistai Lettere a Theo, una raccolta delle lettere scritte da Vincent al fratello Theo tra l’agosto 1872 e il luglio 1890, quando morì suicida dopo due giorni di lucida agonia. Non mi interessava sapere cosa gli altri pensassero di lui; volevo conoscere il Vincent-persona, ancora prima che il Vincent-artista. Cosa c’era di meglio che leggere direttamente le sue parole?
La lettura, dopo l’ottima introduzione di Karl Jaspers, si rivelò faticosa. Lottai per settimane con quello che mi sembrava uno sterile ripetersi degli stessi argomenti – la richiesta di denaro al fratello Theo e il rapporto con il padre, per citarne solo due – tenendo duro soltanto per gli sprazzi illuminanti che trovavo qua e là, briciole di un tormentato Pollicino.
Soltanto verso la fine del libro, quando già si intravedeva l’avvicinarsi della drammatica uscita di scena, mi resi conto di sentirmi vicina all’autore di quelle lettere come di rado mi è capitato. Era come se Vincent fosse diventato anche mio fratello, se posso usare una piccola esagerazione.
Come fratello, Vincent è molto diverso da come lo avevo immaginato basandomi sul gossip letterario. Da lui ho imparato cose importanti: che si può vivere con una sola priorità, eppure essere uomo tra gli uomini, non riconosciuto ma partecipe della vita del mondo; che si può convivere con le proprie anomalie, anche quando sono fonte di sofferenza costante, mantenendo la propria luce interiore – quella luce che più di tutto mi è rimasta dentro a lettura finita.
Lungi da me l’idea di proporvi un’analisi approfondita delle opere di Van Gogh e della sua vita. Non ne sarei in grado, e in un certo senso la stessa intensità dei sentimenti che ha risvegliato in me lo rende difficile. Vorrei però condividere con voi alcuni spunti tratti da questa lettura, che mi sono sembrati importanti anche in relazione alla scrittura.
Il Vincent-persona è il Vincent-artista. Non c’è distinzione tra l’uomo e la sua arte. Si potrebbe dire che dipingere è il suo modo obbligato di rapportarsi alla realtà – un obbligo cui non desidera sottrarsi, perché lo vive come vocazione (Van Gogh aveva uno spiccato senso religioso, non imbrigliabile nei dogmi e riti di una Chiesa). Dove noi vediamo persone, fiori e frutta, paesaggi, Van Gogh vedeva già soggetti con i loro sfondi, effetti di luce, colori.
Van Gogh era sempre insoddisfatto dei risultati del suo lavoro, non in termini di successo di pubblico, ma per la corrispondenza imperfetta tra le sue visioni interiori e ciò che riusciva a produrre. Per tutta la vita si impegnò per migliorare, esercitandosi, copiando altri artisti e sperimentando, sempre più consapevole che difficilmente avrebbe visto riconosciuto il valore della sua arte, eppure senza ipotizzare di smettere di dipingere.
Avrebbe voluto vendere i suoi quadri, certo; ma la sua pittura seguiva un’evoluzione che non volle mai correggere per renderla più gradevole al gusto dominante di quel periodo. Era una sua ricerca prima di tutto interiore, verso cui aveva una dedizione totale. Poteva saltare i pasti o mangiare soltanto un tozzo di pane bagnato nel caffè nella casa gelida, fino ad ammalarsi, pur di poter comprare il materiale per continuare a dipingere. Non cercava un lavoro – la pittura era il suo lavoro full-time, senza ferie e senza riposo, e gli occupava la mente, gli occhi e le mani.
Oltre a essere artista, era un artigiano competente e attento ai dettagli pratici. Nella maggior parte delle lettere si trovano riferimenti all’acquisto di un certo tipo di tela, o di specifici colori da comprare da commercianti diversi, il giallo sabbia da X, il verde marino da Y, e così via. Niente era trascurabile, quando riguardava il dipingere.
Con tutte queste caratteristiche, che sembrano inserirlo a buon diritto nella vasta schiera di pazzi dediti all’arte, Van Gogh era talmente calato nella realtà umana da condividere il suo niente con i più sfortunati di lui e da sposare una prostituta per toglierla dalla strada, accogliendo lei e i suoi figli fino a quando gli fu possibile, nonostante l’opposizione della famiglia.
Durante la lettura delle Lettere, un punto mi ha suscitato un certo fastidio: Van Gogh non ha mai avuto un lavoro “normale”, ma si è fatto mantenere per tutta la vita dal fratello Theo. Con tutto il rispetto per l’arte, mi dicevo, non è ingiusto restare a carico dei familiari in questo modo? Il mio buonsenso contadino si ribellava all’idea.
Alla fine, però, ho iniziato a vedere questo fatto come la misura dell’amore totalizzante di Vincent per la sua arte, un genere di amore incondizionato che non concede libertà. Penso che non gli sia mai sembrato ingiusto vivere alle spalle di Theo, sebbene gli esprimesse spesso comprensione e gratitudine. Forse non poteva nemmeno ipotizzare di togliere spazio alla pittura che era la sua vita.
Vedo che mi sono dilungata oltre le mie intenzioni. Spero di non avervi annoiati! Del resto questo post è rimasto in stand-by per un anno e mezzo prima di uscire, perciò non c’è da meravigliarsi che abbia accumulato dentro di me una certa carica.
Se vi ho ispirati a leggere le Lettere a Theo, ne sono felice. Sappiate che esiste in commercio anche Verranno giorni migliori. Lettere a Vincent van Gogh, un libro che raccoglie trentanove lettere inviate da Theo al fratello Vincent. L’ho scoperto oggi e lo leggerò presto. Visto che Lettere a Theo risulta un monologo rivolto a una sola persona, è impossibile leggerlo senza desiderare di conoscere la persona in questione.
Qualcosa in quello che vi ho raccontato vi ispira?
Aspetto le vostre impressioni. Grazie della lettura!
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
22 commenti
Ariel Scrittrice
Ciao, complimenti per il post, è veramente molto bello! Anche a me piace l'arte e qualche tempo fa andai a una mostra su Van Gogh al Palazzo Reale di Milano. Dev'essere stata una lettura molto interessante quella che hai fatto, penso sia molto bello cercare di conoscere il lato umano degli artisti!
Grazia
Benvenuta! E' davvero bello conoscere la persona che sta dietro l'opera d'arte, o comunque dietro una vita creativa fertile in qualche campo. Anche leggere di Steve Jobs e Bruce Lee mi ha dato molto, infatti sono nati due post su di loro.
Anonimo
E' che cara Grazie Amsterdam è la città europea che ho amato meno e ne ho visitate parecchie. Le droghe libere l'hanno rovinata a parer mio. Sandra
Grazia
Pensa che impressioni diverse abbiamo avuto. La mia è sicuramente superficiale, considerato che ci ho passato soltanto una giornata, ma di solito il discorso droghe mi indispone, invece quella volta sono stata benone.
Monica
Negli ultimi anni mi è venuta una gran voglia di visitare Amsterdam e mi dispiace un sacco che tutti, ma proprio tutti (quelli che non ci vanno per quel motivo, chiaramente), dobbiamo specificare che non vogliamo andarci per l’erba. Umpf.
Non conosco molto Van Gogh e di lui e il fratello non sapevo niente. Poverino, però, Theo. L’ha dovuto mantenere tutta la vita e nonostante il suo supporto se l’è visto scivolare via. Gli dovrebbero fare un monumento.
Grazia
Sono d'accordo. Theo amava molto il fratello, anche se spesso non condivideva le sue scelte, ma intuiva che la sua arte sarebbe stata compresa nel futuro, e non voleva tarpargli le ali. Le loro vite erano strettamente intrecciate, tanto che Theo è morto tre mesi dopo Vincent.
Tenar
A me il museo Van Gogh devo dire piacque molto, così come mi piacciono i suoi quadri. Di certo non avrei mai voluto essere Van Gogh, un uomo del tutto ossessionato dal proprio genio, incapace di fare qualsiasi altra cosa, condannato dalla sua stessa genialità all'incomprensione, sempre in bilico verso la follia. Spero solo che possa sapere in qualche modo quanta gioia abbiano dato al mondo i suoi dipinti, quando il mondo finalmente si è degnato di guardarli.
Per me preferisco una vita più normale e il ruolo di grande genio riconosciuto solo dopo la morte non mi attira per niente.
Grazia
Nemmeno io invidio il suo tipo di genio, che fa pagare un prezzo davvero alto, ma conoscere personaggi come Van Gogh mi dà la percezione di quale sia la distanza tra i due estremi, cioè la brama del successo e la dedizione incondizionata all'arte. Mi aiuta a vedere la scrittura in una prospettiva più ampia e a fare piccoli mutamenti di rotta dove servono. Sento molto l'utilità degli esempi.
Francesca
Straordinaria questa visione dell'arte come vocazione e ricerca interiore! Pur con le dovute proporzioni, almeno in linea di principio è un esempio per ogni artista, per ogni forma d'arte! Io penso che se non avesse vissuto come desiderava cioè facendo arte, sarebbe morto anche prima.
Grazia
Lo credo anch'io. Vincent è vissuto per la pittura e Theo è vissuto per lui; erano vite dedicate, in un certo senso. Spero che possano vedere entrambi come il tempo sia stato un miglior giudice.
Cristina M. Cavaliere
Questo post mi è piaciuto veramente moltissimo! Emana una luce speciale…
Comunque lo si consideri, questo rapporto d'amore tra fratelli è stato straordinario, tanto è vero che Theo morì poco tempo dopo Vincent. Non penso che il secondo sfruttasse il primo, ma che fosse piuttosto un rapporto simbiotico in cui uno non poteva fare a meno dell'altro. Avevo letto alcune delle lettere che si erano scambiati, più che contenere osservazioni tecniche sembrano davvero manifesti di vita. Un rapporto che mi ha ricordato quello della scrittrice Anna Maria Ortese con la sorella. Pare che quest'ultima l'avesse mantenuta per lunghissimi periodi affinché lei potesse scrivere. Negli ultimi tempi le due sorelle convivevano a Rapallo.
Per quanto riguarda Amsterdam, mi era piaciuta abbastanza; ma non mi aveva incuriosito tanto da tornarci, a differenza di Parigi. Avevo comunque visto entrambi i musei che menzioni nel post: il Rijksmuseum e il Van Gogh.
Grazia
Sono felice che il post ti sia piaciuto.
Pensando a Parigi mi rendo conto che i luoghi mi fanno sentire bene in modi diversi: nel caso di Amsterdam era un modo leggero, che mi farebbe gradire un'altra visita solo perché questa è stata frettolosa, mentre nel caso di Parigi sento più sostanza da assimilare, più spessore forse. Un po' come la differenza tra un'avventura e una storia d'amore, insomma.
Cristina M. Cavaliere
In effetti ci sono città che hanno risonanze diverse a seconda delle persone che le visitano. A me Amsterdam non aveva detto nulla di speciale; e sì che ci ero stata quattro giorni, per cui posso dire di averla visitata bene.
Se per caso hai in mente un altro articolo simile a questo, tienimi presente perché sarebbe un bellissimo guest post.
Grazia
Sarà un onore.
Marina Guarneri
Sì, è vero, Cristina mi ha ricordato la storia della Ortese con la sorella. Anche a me è piaciuto molto questo post. Certe volte osserviamo le opere d'arte e giudichiamo solo il superfluo, cioè quello che balza subito agli occhi, che poi è quello che ci spinge a dire mi piace, non mi piace. Invece ci sono storie, vite dietro la scelta dei soggetti, dei colori, nei tratti del pennello. A me Van Gogh incanta e conoscere un po' la persona dietro l'artista è stato interessante. Io non sono mai stata ad Amsterdam ma andrei volentieri al museo Van Gogh.
Grazia
Mi sto appassionando molto a conoscere l'uomo dietro l'opera d'arte in senso lato, intesa come il frutto di una vita creativa. Mi comunica un calore e una magia che non avrei mai immaginato. Adesso c'è Mirò che mi aspetta.
Giulia Lù
Sono stata ad Amsterdam due volte a distanza di circa 5-6 anni, entrambe le volte mi è piaciuta tantissimo, al di là dei Coffee Shop e al di là delle donnine in vetrina, di cui parla la maggior parte della gente, mi ha colpito l'atmosfera della città, ho avuto l'impressione che lì si vivesse bene, senza troppe gabbie mentali. Entrambe le volte ho visitato il museo di Van Gogh e la casa di Anna Frank. Se tornerò ad Amsterdam sicuramente potrei tornare a vedere il museo di Van Gogh, ogni volta ne ho tratto una sensazione diversa sempre di grande emozione.
Grazia
Anch'io ho vissuto così Amsterdam; le persone sembravano serene e ben disposte verso gli altri. La casa di Anna Frank la metto in lista per la prossima visita, con il Rijksmuseum.
Celeste Sidoti
Molto belle le lettere a Theo le ho incontrate per la prima volta come "pannelli introduttivi" in una mostra su Van Gogh e niente, erano l'unico commento testuale necessario! Poi ho comprato il libro colpisce davvero la purezza di quell'uomo.
Grazia
Purezza, sì. E' il termine giusto.
Lisa Agosti
Ho visto il museo di Van Gogh ma non mi è rimasto impresso, del resto sono passati tanti anni quindi può essere colpa della mia poca memoria.
Le lettere a Theo mi farebbero arrabbiare perché anch'io ho l'anima contadina e mi identifico col povero Theo che sgobbava per pagare. Dire che Vincent era talmente identificato con la sua arte che era costretto a non lavorare non mi convince… è un po' come giustificare un tradimento perché si era ubriachi…
Grazia
Forse leggendo le lettere seguiresti il mio stesso percorso di pensiero. In un certo senso Vincent era un'anima nuda, non so come dire. Quello che a noi sembra un modo di agire comodo e un po' becero, credo che per lui fosse l'unico modo di essere. C'è anche da dire che Theo non voleva che lui smettesse di dipingere; era convinto che il suo talento sarebbe stato riconosciuto prima o poi, e non voleva derubare il mondo di questo dono importante.