Scrittura

Perché i miei personaggi viaggiano?

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Nelle mie storie il viaggio è quasi una costante.
Oggi vi spiego perché.

Sul lungo periodo, scrivere diventa anche una scoperta dei temi che più ci stanno a cuore e del loro evolvere nel tempo. Alcuni elementi ricorrenti ‒ in questo post li definivo “tormentoni” ‒ fanno al massimo sorridere. Anche quando hanno un significato, la loro portata è limitata. Quando parlo di viaggio, invece, ho in mente un elemento che per me è spesso tema, trama e struttura della storia, tutto insieme. In Cercando Goran e Veronica c’è il viaggio è centrale, come in molti miei racconti. È stato naturale domandarmi perché.   Quando qualche elemento della nostra vita va in pezzi e ci mette in crisi, le nostre reazioni possono essere diverse. Possiamo crollare, e sentirci annientati. La fase iniziale è proprio questa. Possiamo sforzarci di resistere, aggrappandoci con tutte le nostre forze a quello che ci resta, nella speranza ‒ o nell’illusione ‒ di riprendere la vita di prima, solo con qualche tassello vuoto, qualche angolo più oscuro. Questa è spesso la seconda fase della nostra elaborazione. Ma possiamo anche ‒ non è detto che lo facciamo ‒ accettare il terremoto che ci ha colpiti. Intendo accettarlo davvero, fargli spazio dentro di noi, anche se ci fa soffrire. La nostra vita non sarà più la stessa.

E allora?

Quando accettiamo ciò che ci capita iniziamo a vedere chiaro, oltre le aspettative deluse, le illusioni, gli errori di valutazione. In quel momento abbiamo una scelta: lasciarci travolgere dal corso delle cose o prendere sulle nostre spalle la responsabilità di trarne qualcosa di nuovo. Buono? Cattivo? Non possiamo saperlo, ma possiamo scegliere di volerlo scoprire. Solo in quel caso, e in quel preciso momento, può iniziare il viaggio dentro noi stessi che con fatica ci porterà a essere persone diverse da quelle che eravamo.

È questo cambiamento nei personaggi che mi spinge a scrivere, che voglio raccontare. Non mi interessano particolarmente le circostanze che hanno portato alla frattura, se non nella misura in cui rendono comprensibili i fatti e si collegano agli eventi a venire. Anche da lettrice, non amo i romanzi che scavano e scavano nella sofferenza o nelle brutture umane con l’intento di “fotografare la realtà”. La realtà è. Non ha bisogno di essere vivisezionata e rivissuta. Nel momento in cui la definiamo realtà, stiamo già parlando di qualcosa che è passato. Per documentarmi su realtà che non conosco ‒ questo sì, mi interessa ‒ cerco biografie o saggi; ma parlando di narrativa, mi piace leggere, e da autrice raccontare, ciò che può essere sulla base di quelle premesse, la realtà di un domani che entro la fine della storia diventa un “adesso”.

Un obiettivo abbastanza altisonante, per un’autrice
che scrive storie di intrattenimento, vero? Ma io la vedo proprio così.

A Goran la realtà è crollata addosso molto prima dell’incidente. Non aveva scelto la strada del cambiamento, nel suo passato di bambino, ma quella più naturale e più semplice: resistere e andare avanti, a testa bassa, spingendo da parte gli ostacoli che minacciavano di fermarlo.

L’amnesia, con il mistero che nasconde, gli porta via ogni sostegno e lo spinge sulla terza via, quella più faticosa e pericolosa, l’unica che può produrre un vero cambiamento. In fondo è anche ciò che fa Nico, nella sua breve esperienza di vita.

Veronica l’equilibrio non lo ha mai conosciuto. Ha invece imparato a negoziare con la realtà momento per momento, senza pensare al domani. Per quanto sia diventata brava in questo, non può controllare tutti i fattori esterni che la toccano. Quando arriva il momento di dire “basta”, lo riconosce e accetta di diventare parte attiva nella creazione del proprio futuro: fugge e si mette sulle tracce del padre che sua madre le ha sempre fatto credere morto.

Che la sua sia un’impresa realizzabile, o possa darle quello che cerca, in questo momento è secondario. Importante è quel suo primo passo, che mobiliterà altre energie in suo aiuto e la farà smettere di sentirsi una marionetta nelle mani altrui.

La cinghia dello zaino è ruvida contro il mio braccio. Inspiro aria fresca e silenzio. Sembra che il mondo stia trattenendo il respiro. Belzebù mi fissa con i suoi occhietti rossi, come se volesse dirmi qualcosa…

Ci metto un po’ a capire. Allora scivolo fuori, silenziosa come un gatto. Tenendomi bassa sulle ginocchia per farmi schermo della macchina, percorro qualche metro a ritroso lungo la strada da cui siamo arrivati. Un balzo oltre il fosso, e la foresta mi accoglie nel suo ruvido abbraccio.

Questo è il punto di non ritorno di Veronica, mentre davanti a Villa Serena, di notte, aspetta che i cancelli si aprano e distruggano quello che stava faticosamente costruendo.
 
Il viaggio interiore, però, potrebbe svolgersi anche senza fughe e senza spostamenti geografici. 

 

Goran sopporterebbe ancora per un po’ l’amore così poco amorevole di Irene, e intanto tenterebbe di approfondire ciò che gli sta succedendo con qualche medico – magari proprio quel professor Roversi che Cassandra gli propone con insistenza. Nico resterebbe con sua sorella Silvia il tempo necessario a scoprire se lo spettro del lavoro notturno diventa realtà. Veronica proverebbe a vivere nella comunità di recupero, prima di fare scelte azzardate.

 
Perché allora tutti questi personaggi danno inizio al cambiamento muovendosi nello spazio, trascinando con sé anche gli altri personaggi che ruotano nella loro orbita?
 
Perché il viaggio fisico li spinge fuori dalla loro pur critica comfort zone, e in questo modo li aiuta a liberarsi delle pastoie del quotidiano, che ostacolano il cambiamento. Le abitudini, quella che consideriamo la nostra “personalità” (“the rubbish bin of our past and society”, la definirebbe Sadhguru), la ragionevolezza di certe scelte basate su presupposti da tempo falliti, sono tutte condizioni che ci trattengono dal fare il salto. “Chi sono io?” è l’unica domanda giusta, insieme alla consapevolezza che domani la risposta sarà diversa, e così tra una settimana, un mese, un anno.
 
Il disagio prodotto dallo sradicamento diventa strumento di risveglio. Lontani dal loro ambiente, i personaggi si scontrano con eventi e persone che li obbligano a scoprire di cosa sono capaci, e in ultima analisi dove vogliono indirizzare la propria vita.
 
Ecco perché il viaggio nelle mie storie, e in modo simile nella mia vita. Mi piace viaggiare e l’ho fatto spesso, ma non sono affatto immune dallo stress del cambiamento di abitudini. Da un certo punto di vista sono più simile a una pianta che a un animale mobile! Mentre sono in viaggio, vivo in un limbo che mi offre stimoli e spunti di riflessione in quantità, ma ne esco al ritorno con un sospiro di sollievo. Magari con la voglia di ripartire nel futuro, ma felice di tornare al mio quotidiano, che per fortuna amo. Anche nelle situazioni più critiche, però, il conosciuto e lo status quo possono offrire una forma di conforto cui non è facile rinunciare, nemmeno quando sarebbe meglio farlo.
 
I miei personaggi sono in conflitto con il loro quotidiano. Hanno poco da perdere e sono delle teste dure. Li amo molto per questo. Sanno osare, a volte con scelte sul filo dell’assurdo, ma non restano a rimuginare sui loro
guai in eterno senza agire
– cosa, questa, che nei personaggi dei libri che
leggo mi fa spesso perdere la pazienza. Che facciano qualcosa, anche un solo passo reale!, vorrei dire all’autore. Hanno già esitato, sofferto, rimuginato abbastanza. Se non si danno una mossa, non riuscirò a stimarli…
 
Questi sono soltanto i miei gusti personali, naturalmente. In ogni caso ecco spiegata l’importanza del viaggio nelle mie storie, e anche nella mia vita.
 
 
Grazie di avere viaggiato con me in questo lungo post!          
    
 
copertine dei racconti Tarja dei lupi e La pace di Jacum, di Grazia Gironella

BOLLETTINO DELLO SCRITTORE
Ta-dan! Voglio presentarvi due mie creature appena uscite su Amazon: Tarja dei lupi e La pace di Jacum. Sono due racconti lunghi cui ho deciso di dare la dignità dell’autopubblicazione, perché anche a distanza di anni ho per loro un amore speciale. Tarja dei lupi è un racconto fantasy, terzo classificato al Premio Tabula Fati 2008, mentre La pace di Jacum, di genere storico (potete conoscerlo con il titolo di Kosakenland), è stato primo classificato al premio Il Racconto nel Cassetto 2010. I racconti sono in nuova edizione, riveduta e corretta, perciò quello che ci trovate dentro è… me, così come sono oggi, e non come ero dieci anni fa. Li trovate su Amazon in forma digitale a € 0,99 e cartacea a € 3,64 (io avevo scelto € 2,99, ma Amazon ha le sue idee…).
Sarò impazzita a fare uscire tutta questa roba a raffica, a partire da Veronica c’è, in barba all’opportunità di scaglionare per dare risalto eccetera? Ma no, in fondo sono soltanto due racconti. Chi apprezza il mio modo di scrivere può leggerli a un prezzo contenuto, se non gratuitamente con Kindle Unlimited. Queste nuove uscite comunque rientrano nel progetto che mi porterà ‒ salvo cambiamenti in corso d’opera ‒ a sistemare i miei scritti passati e dare loro una vita al di fuori dell’editoria tradizionale. L’autopubblicazione può dare dipendenza!

BOLLETTINO DEL LETTORE Ho terminato di leggere Pilgrim at Tinker Creek di Annie Dillard e una raccolta di poesie di Mary Oliver. È stato strano accostare queste due autrici americane, entrambe con un forte senso del sacro legato alla natura, eppure così diverse per carattere e idee. Ora sto leggendo The Golem and the Djinni di Helene Wecker, Lo Hobbit e Via col vento (gli ultimi due sono riletture).     

18 commenti

  • Marco Freccero

    I miei personaggi invece non viaggiano (quasi) mai. Chissà, forse è troppo complicato. O forse fanno un tipo di viaggio molto particolare

    • Grazia

      Ognuno mette sul vetrino del suo microscopio ciò che più lo colpisce, giusto? Annie Dillard, per esempio, ha un interesse per le crudeltà del mondo degli insetti quasi morbosa. Mi piacciono queste differenze.

  • Nadia Banaudi

    Come nella vita ci sono persone che hanno bisogno di andare lontano, di viaggiare per trovare risposte, altre che invece le trovano scavando dentro se stesse. Ma dipende dalle domande, dalle circostanze I viaggi dei tuoi due personaggi sono indispensabili per condurli a risolvere il loro nodo esistenziale e non posso negare che siano anche due viaggi interessanti per i lettori. E il fatto che coincidano con il percorso interiore è una bella merafora.

    • Grazia

      È vero, ognuno ha un percorso del tutto personale. Pensa gli eremiti e i mistici, in quali situazioni cercavano – e cercano, forse – le loro risposte!

  • Giulia Lu Mancini

    Il viaggio è sempre un grande percorso di cambiamento, mi piacciono i personaggi che viaggiano. Certo il viaggio può anche essere interiore, dentro se stessi. Anche alcuni miei personaggi viaggiano, nel mio primo romanzo la protagonista viaggia moltissimo, cercando se stessa e la felicità. È vero che uscire dalla propria comfort zone aiuta a scuotersi e a trovare la forza per un cambiamento importante.

  • Luz

    Eh sì, il viaggio ha un valore di rinascita, di cambiamento, in certo senso è una "crisi".
    Anche la mia protagonista si mette in viaggio, e se ci penso, sosta per un lungo periodo solo perché costretta dagli eventi, il clima sfavorevole. Il viaggio è una costante della mia Esther, senza quei continui spostamenti non sarebbe diventata quello che sarà al termine. Ecco perché comprendo perfettamente la tua scelta. Il viaggio è anche un simbolico viaggio dentro se stessi, e c'è bisogno di nuovi scenari per andare incontro a una nuova vita, per capire.

    • Grazia

      Sono molto curiosa di leggere la tua storia. Esther è un nome che ha un significato particolare per me, e così anche le tematiche che toccherai, per quanto posso avere capito. Conta anche me nel viaggio!

    • Grazia

      E che sorpresa, cara Elena! Grazie di avere letto la storia di Veronica sulla fiducia, visto che lo YA di solito non ti attira, e grazie di avere colto così bene quello che era in me mentre scrivevo e correggevo. Il tuo video è splendido e originale nelle sue modalità, è un onore averne fatto parte.

  • Cristina M. Cavaliere

    Il tema del viaggio mi è congeniale sia come persona che come autrice. Se fosse per me, sarei sempre in movimento… ora però devo dosare maggiormente le forze, perché sento la fatica del recupero dopo i miei tour de force.
    I miei personaggi del ciclo crociato viaggiano parecchio, come sai, e il loro viaggio dipende da un impulso interiore e dalla voglia di conoscere genti e luoghi nuovi. Gli altri non viaggiano molto, sono più stanziali, ma è indubbio che i loro viaggi siano interiori e li fanno evolvere. In questo caso devo aderire alle fonti storiche perché sono personaggi realmente esistiti, come Robespierre o Danton, che si spostavano di prevalenza in Francia.
    Hai fatto benissimo a ripubblicare i due racconti, e le copertine nuove sono molto suggestive. Mi incuriosiscono molto entrambi!

    • Grazia

      Grazie! Sapevo che ci saremmo trovate in sintonia sul viaggio. I percorsi dei tuoi personaggi, nei libri de "La colomba e i leoni", hanno un grande fascino e rimangono impressi con grande nitidezza. Spero di leggere presto qualcos'altro di tuo, anche… statico!

    • Cristina M. Cavaliere

      A proposito dell'ultimo argomento ci sarà una, ehm, grossa sorpresa dopo l'estate… grossa in tutti i sensi. Non so dire i tempi precisi, ma sicuramente avverrà prima di Natale. C'è addirittura la copertina pronta e il romanzo è quasi finito.

    • Grazia

      Grossa? Quanto? E come? E… mi tocca davvero aspettare fino a "prima di Natale"? Beh, anche domani è prima di Natale…

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