Scrittura,  Vita da scrittori (e non)

Consigli per scrivere meglio

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Ne circolano tanti. Ne scelgo tre.

Da appassionati di scrittura, quando si ammette con se stessi che è amore e non una cotta passeggera, si esce dal guscio e ci si trova davanti una montagna di consigli. Arrivano da tutte le parti, in versione scritta e orale, e spesso sembrano avere una loro ragione d’essere.

Consigli incompetenti… e consigli preziosi

Sono di solito i consigli di parenti e amici.

Perché non scrivi un romanzo rosa invece di un fantasy? Il mercato tira di più. Il personaggio X somiglia troppo a zia Clara; cambialo, che poi si offende. Manda il manoscritto all’editore Y, che ti fa vendere milioni di copie.

Avete capito il genere. All’inizio danno anche da pensare, prima di capire che sono tutte ca… sciocchezze.

Discorso diverso sono i beta-reader. Da loro non arrivano sciocchezze, ma utilissime impressioni di lettori consapevoli, che per l’autore valgono oro.

Consigli tecnici

Mirano a migliorare i testi che produciamo sulla base della conoscenza dell’animo del lettore. Sono utili, ma non vanno considerati verità assolute cui adeguarsi. C’è chi li detesta e chi, come la sottoscritta, ne ha fatto indigestione in passato e ne è pure soddisfatto. Al punto di scriverci un manuale, Nel cuore della storia, che unisce i consigli tecnici ai…

Consigli sul metodo e sulla pratica quotidiana

Mettono sotto la lente d’ingrandimento non tanto ciò che scriviamo, quanto come lo scriviamo. È meglio scrivere la mattina o il pomeriggio? La revisione va riservata alla fine della stesura, oppure è bene correggere anche strada facendo? Cosa possiamo fare quando rimaniamo bloccati?

I consigli arrivano soprattutto da altri scrittori, spesso di successo, quindi vale la pena di prenderli in considerazione, soprattutto quando si ha poca esperienza. Giusto per non dover reinventare la ruota, ecco.

Dire che ognuno di noi è fatto a modo suo, e quindi i consigli che valgono per me possono essere inutili o persino dannosi per un altro, è solo una mezza verità. Quasi tutti i consigli di questo tipo che ho incontrato funzionano… se si riesce a metterli in pratica.              

Questi consigli per scrivere forse costano troppo poco...
Non costeranno troppo poco, questi consigli?

Pianificare Vs improvvisare

Voto per il pianificare, senza dubbio. Quanto, dipende dai gusti. Nessuno vuole scrivere vincolato a decisioni prese in precedenza. La storia, però, soprattutto nel caso di un romanzo, deve avere una direzione, o sarà facile perdersi per strada, come ha sottolineato Daniele Imperi in un recente articolo sul suo blog Penna Blu.

L’improvvisazione pura credo non esista. Se esiste, certo non l’ho mai provata. L’idea iniziale si arricchisce inevitabilmente di dettagli nel tempo. La mente lavora sulla storia dietro le quinte, cercando di vedere avanti; immagina scene, inventa dialoghi e paesaggi. Tutto mentre noi ci occupiamo di altro.

La vera differenza tra pianificazione e improvvisazione, secondo me, si riduce al fatto di avere una scaletta più o meno solida di eventi da raccontare prima di iniziare la stesura vera e propria. Maggiore la solidità, minori le brutte sorprese, che nel caso di un lavoro lungo come il romanzo non sono certo rare. Risolvere dubbi e problemi nella fase preliminare alla scrittura permette di non sprecare tempo e pazienza, ed evitare cul de sac di cui non si vede la soluzione.

Quindi, viva la pianificazione! Però non sempre quello che si sceglie è praticabile sul campo. Può succedere di avere per le mani una storia diversa, una storia da esplorare; non il tipo di storia in cui puoi collegare un evento dopo l’altro con la logica, insomma. Può anche succedere che un calo di autostima inceppi l’elaborazione dell’idea. In queste circostanze la trama, in pratica, non si lascia pianificare.

In questi casi – mi sono capitati di rado – per prima cosa rimetto in discussione la validità dell’idea iniziale. Quando non funziona, non funziona. Se però quella stessa idea mi è rimasta in testa per lungo tempo, tornando a parlarmi più volte, tendo a credere che ci sia del buon materiale su cui lavorare.

Dopo essermi incaponita per mesi a creare la benedetta scaletta, accetto un compromesso: mentre scrivo un capitolo, pianifico il successivo. Tanto so già fin dall’inizio quale sarà il finale, più o meno, perciò ho una direzione. Spero che il banco di nebbia si dissolva strada facendo, e di solito è proprio questo che succede.

Costanza Vs ispirazione

Essere costanti serve, eccome. Qualunque pratica quotidiana diventa più leggera, e la leggerezza è un ingrediente molto importante nel piacere di scrivere.

Scrivendo ogni giorno si diventa più fluidi, si hanno subito in mente modi diversi di raccontare la scena, strutture di periodi e paragrafi tra cui scegliere. Soprattutto non si ha l’impressione, quando si siede al PC, di dover combattere i fantasmi e rimuovere dalla strada i detriti lasciati da una frana prima di poter scrivere. La scrittura, vissuta ogni giorno, perde quell’alone di straordinarietà che mette soggezione.

L’ispirazione… è una potenza. Da autori, i momenti più belli li passiamo quando ci accompagna e scriviamo veloci, come fossimo sotto dettatura – e forse è proprio così. Se però dovessimo contare solo sull’ispirazione più potente, quella che non si lascia ignorare, rischieremmo di scrivere tre volte l’anno. Quindi la costanza è utile, e dimostra un certo grado di interesse da parte nostra. “Presentarsi all’appuntamento”, lo definiscono i maestri, per raccogliere anche le ispirazioni meno sensazionali, ma non per questo meno preziose.  

Quindi costanza, se si può. Sarei tentata di chiamarla fedeltà. Quando però non è possibile, i compromessi sono necessari. In caso contrario le persone che hanno figli piccoli da accudire, oppure ritmi di lavoro impegnativi, non dovrebbero scrivere affatto.

Resto sempre perplessa quando sento dire che il tempo si trova sempre, se si vuole, e che ci si può ritagliare una mezz’ora per scrivere anche quando tutti gli altri dormono. In parte è vero, mezz’ora è meglio di niente; però scrivere non può nemmeno diventare una punizione. Perché ci sia qualità in ciò che si scrive, serve anche un minimo di energie buone da consumare. 

A volte gli ostacoli che si frappongono tra noi e la scrittura aumentano la pressione della storia, con effetti positivi. Lo avete notato anche voi? Ieri, per esempio, uno sbalzo di corrente mi ha messo il PC fuori uso. Zero segni di vita. L’alimentatore, mi sono detta; se va male, anche la scheda madre. Avevo pregustato qualche ora di scrittura in tranquillità, e mi sono ritrovata a cercare in rete un tecnico a cui portare il PC. Avete idea di quante idee mi siano venute per il capitolo che stavo scrivendo, proprio perché non potevo scriverlo? (Dopo una notte staccato dalla corrente, il PC è ripartito. Ho fatto una danza indiana di ringraziamento davanti alla scrivania, stamattina.)

Schede personaggi Vs… niente

La storia, si capisce, è dei personaggi. Senza di loro, non esiste; e anche se studiamo una trama con una bella concatenazione causa-effetto (sennò che trama è?), non riusciremo a trasporla sulla pagina fino a quando i personaggi non ci avranno “parlato”.

Per questo i maestri di scrittura creativa insistono sull’approfondimento dei personaggi principali, offrendo vari strumenti, tra cui schede da compilare su cui figurano domande dettagliatissime sul personaggio, il suo passato, le sue fantasie, la sua famiglia e chi più ne ha più ne metta.

L’idea è che l’autore dovrebbe conoscere i suoi personaggi così bene da poter dire sui due piedi cosa sceglierebbero al ristorante o cosa pensano di Donald Trump. Esistono anche interviste immaginarie ai personaggi, i loro monologhi, i necrologi che scriverebbero per la propria morte.

Che dire? L’importanza di conoscere bene i personaggi è innegabile. È anche innegabile che trovo questo lavoro di super-approfondimento molto, molto noioso. Non sono così sicura che siano importanti i gusti in materia di sport del padre del protagonista, per dire, a meno che la storia non lo richieda. Se però mentre compilo la scheda mi passa la voglia di scriverla, la storia, non è un buon risultato.

Perciò cerco di approfondire a modo mio: mi rigiro i personaggi in mente per un tempo molto lungo, osservandoli da un lato e dall’altro, ponendoli in situazioni critiche per vedere come reagiscono, immaginando i loro discorsi. Ahimè, non saprò mai cosa pensano di Trump (cosa scelgono al ristorante, forse sì).   

Ho citato soltanto alcuni dei buoni consigli in cui mi sono imbattuta, ma credo abbiate capito come la penso: scegliere un buon metodo e scrivere con le modalità giuste produce buoni effetti. Essere troppo rigidi, però, può diventare controproducente. In fondo le scelte virtuose non servono a farci sentire degli schiavi, ma ad aiutarci a scrivere le nostre storie nel modo più piacevole e fruttuoso possibile, anche nei momenti difficili, quando il rapporto autore-scrittura si incrina ed essere disposti a tentare nuove strade può fare la differenza tra continuare a scrivere e appendere la penna al chiodo.

Vi è capitato di cambiare qualcosa nel vostro modo di scrivere?
Siete stati soddisfatti dei risultati?

OGGI VI SEGNALO: Oscar di Montigny – LA FORTUNA E L’IMPERFETTO MECCANISMO DEL SUCCESSO.

20 commenti

  • Barbara

    Sto continuamente cambiando modalità di scrittura, per adattarmi alle esigenze di vita. L’anno scorso ho passato più tempo libero a cercare un nuovo lavoro, e il romanzo da scrivere fermo lì… quest’anno, che speravo di poterlo riprendere, ho fatto un’amara scoperta: i nuovi contratti di lavoro ccnl commercio per i primi 2 anni non hanno permessi, per il terzo e quarto solo metà delle ore dovute, solo dal quinto si torna a regime. 216 ore di lavoro, nel mio caso, non retribuite. Un regalo del governo del 2011.
    Per me tutte ore rubate alla mia scrittura.
    Però non mi arrendo e non accetto l’idea che non dovrei scrivere perché ho un lavoro full time. Intanto continuo a tenere viva ka fiammella coi racconti.

  • Giulia Mancini

    Nessuno dei miei familiari sa che scrivo, ogni tanto mentre sono intenta a scrivere ricevo telefonate in cui mi chiedono “cosa facevi di bello?” e io “niente, leggevo un libro” una mezza verità perché sto sempre leggendo anche un libro, ma anche più di uno. Queste omissioni sono dovute al fatto che dai miei familiari (che peraltro non leggono mai) non voglio consigli ne essere guardata come un’aliena, se dico che scrivo. Tutto ciò premesso, i soli consigli che ricevo di solito sono di amici lettori (tre di essi sono diventati anche miei beta reader), sono quindi consigli che cerco di ascoltare. La storia va programmata un minimo, ma quasi sempre finisco per percorrere altre strade, parto convinta di arrivare a un determinato obiettivo, poi cambio strada facendo (o sono i personaggi a farmi cambiare traiettoria), è così e basta, non so spiegarlo. La storia però va scritta, finché sei lì che la programmi e ci fantastichi sopra resta una semplice ipotesi, per scriverla ci vuole costanza e, dopo la costanza, giorno per giorno, man mano che ti immergi nella storia, arriva anche l’ispirazione. Questa almeno è finora la mia esperienza.

    • Grazia

      Ma… proprio nessuno nessuno sa che scrivi, dopo tutti i libri che hai prodotto? Sei stata davvero tenace nel proteggere la tua privacy, allora. Mi hai fatto notare che non ho parlato dei beta reader! Che lacuna, vado a riparare.

      • Giulia Mancini

        È facile rimanere inosservati tra i non lettori, perciò della mia famiglia (sorelle e nipoti) nessuno lo sa. Inoltre io pubblico con il cognome di mia madre e in tal modo resto un po’ in incognito.
        Il mio compagno ovviamente lo sa, anzi è l’unico con il quale condivido sempre gioie e dolori della scrittura. Poi ci sono una decina di amici che lo sanno, alcuni sono perfino diventati miei lettori, spontaneamente. Certo dovessi diventare famosa pubblicando con una grande CE (cosa del tutto improbabile) potrei uscire allo scoperto…

  • Marco

    Per adesso posso dire di essere soddisfatto. Per il #progettoIOTA ho scritto cronologia e schede dei personaggi (sono 15), perché senza di sicuro sarei già diventato matto. E non lo avevo mai fatto prima, nemmeno per “L’ultimo dei Bezuchov”. Ma la sfida più
    difficile per me è sempre una: mettersi da parte e lasciarli fare. Il rischio di imporsi, di schiacciarli, è sempre dietro l’angolo.

    • Grazia

      Questo è un problema anche della pianificazione: devi essere molto sensibile per non piazzare i personaggi sul binario e spingerli dove vuoi tu. Per me i vantaggi della pianificazione sono superiori agli svantaggi, come dicevo, ma solo se la scaletta non va stretta.

  • Elena

    Ciao Grazia, ho decisamente virato verso la programmazione nel mio percorso di maturazione come scrittrice (che non è ancora terminato). Davo troppo spazio all’improvvisazione, all’impulso del momento, allo stream of consciousness se preferisci, poi rimaneggiato e rivisto alla luce della ttama già in piedi. Spesso molto creativo come processso, ma anche faticoso e fuorviante. Concordo quindi sul fatto che serva una solida programmazione che significa una solida trama, solidi e conosciuti personaggi, metodo e disciplina. Una sorta di caserma o di vita militaresca . In fondo lo scrcivere è davvero abnegazione

    • Grazia

      L’abnegazione serve, eccome. Ho scoperto con piacere, però, che anche quando ci si basa sulla programmazione si possono fare galoppate molto “istintive”.

  • Cristina

    Avevo letto anch’io che bisognerebbe scrivere mezz’ora al giorno (o un tot di righe a seconda), ma nel mio caso avere un tempo così risicato sarebbe del tutto inutile. Mi ci vuole mezz’ora soltanto per capire a che punto sono della storia, chiamare all’appello i personaggi e soprattutto radunare gli incartamenti! Per quanto mi riguarda, molto meglio dedicare tre-quattro ore continuative alla settimana, e in modo da non essere disturbati. Si ottengono veri miracoli. Certo, è un metodo lungo e richiede molta pazienza, un po’ come gli olandesi che hanno strappato lembi di terra al mare.
    All’inizio pianificavo poco, ma poi scrivevo e dovevo tagliare parecchio. Ora faccio una pianificazione di massima lasciando un certo margine di manovra per eventuali “sorprese”. Poi alla fine faccio quello che chiamo la mappatura delle scene, più che altro perché, data la mole dei romanzi, mi serve per vedere la scansione degli episodi. Si tratta di un lavoro noiosissimo, ma che dà ottimi risultati e da cui saltano fuori un sacco di magagne (scene ripetute o troppo simili, titoli con parole uguali, eccessivo rallentamento nell’azione, due scene vicine che non stanno bene, ecc.). Invece, non ho mai fatto le schede dei personaggi.

    • Grazia

      La mappatura mi ricorda quella che faccio anch’io, mettendo mini-riassunti di ogni capitolo su piccole schede, che poi alla fine stendo sulla bacheca o sul tavolo per capire se alcuni personaggi sono troppo presenti o assenti, vedere l’andamento della tensione e cose del genere. Oppure la mappatura è diversa?

      • Cristina

        Io scrivo un elenco su un file in Word, con il titolo del capitolo e una brevissima descrizione (2-3 righe) di quello che succede. Mi sembra di capire che è simile alla tua.

        • Grazia

          La funzione è la stessa, mi pare. Forse le schede hanno il vantaggio di poter essere spostate per ipotizzare un andamento diverso della storia, ma si sa, sono sempre preferenze personali.

  • Nadia

    Io credo di essere indisciplinata o ancora da “sgrezzare” perché amo lasciarmi trascinare dall’improvvisazione nella foga dello scrivere, anche se ormai è un lontano ricordo. Ritagliare almeno un’ora al giorno, che comunque è poca per ottenere risultati, mi sembra una chimera ormai. Però se la somma dei consigli che hai elencato ha il merito della produzione dei tuoi scritti allora è il caso di farne tesoro.

    • Grazia

      Grazie! Sono grata ai maestri di scrittura creativa che mi hanno aiutata ad avere un buon metodo di lavoro, che si modifica nel tempo, ma di base funziona. Il resto è molto meno afferrabile, ma c’è, se siamo qui a parlarne.

  • Ferruccio

    Io ho letto diversi manuali di scrittura, li vedo ottimi come studio, ma sicuramente vanno presi con le pinze. Per me è fondamentale la costanza e l’applicazione continua, al bando di tutto quello che può arrivare alle orecchie

    • Grazia

      Lo penso anch’io. Si studia per diventare più consapevoli dei diversi elementi della scrittura e dei loro effetti sul lettore, ma dopo bisogna basarsi sulla propria sensibilità e sulla pratica. Lo studio resta come traccia che lavora dietro le quinte, ma non è centrale nello scrivere.

    • Grazia

      Ti dirò: sotto parecchi aspetti – quasi tutti – mi sono assestata (per ora) a metà strada. Che studiare serva a fissare gli estremi per poi muovercisi in mezzo?

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