Letture,  Scrittura

Oggi scrivo con… Andrzej Sapkowski

Reading Time: 12 minutes

Un autore fantasy. Anzi, un buon autore fantasy.

So che la parola “fantasy” avrà già spento l’interesse in molti di voi. Eh sì, verso questo genere i lettori hanno quasi sempre impressioni estreme: lo amo, lo odio. Evidentemente lo spartiacque tra realtà, seppure fittizia, e invenzione è uno di quelli difficili da valicare; anche se quel “seppur fittizia” potrebbe dare da pensare. Ma si sa, non è riflettendo che si cambiano gusti, e non solo in fatto di letture. Chissà se può convincervi Andrzej Sapkowski…

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Un riuscito ibrido tra l'attore Henry Cavill, Witcher della serie Netflix, e il personaggio del videogioco CD Project, entrambi tratti dai romanzi di Andrzej Sapkowski.
Un riuscito ibrido tra l’attore Henry Cavill, Witcher nella serie Netflix, e il personaggio del videogioco CD Project.

Andrzej Sapkowski (Łódź, 21 giugno 1948) è uno scrittore polacco, famoso principalmente per la serie di racconti fantasy con protagonista lo strigo Geralt di Rivia, da cui è stata tratta una serie di videogiochi iniziata con The Witcher nel 2007, un film e due serie televisive.
Prima di diventare scrittore, Andrzej Sapkowski ha studiato economia e ha lavorato come rappresentante alle vendite per una società straniera. Sin da giovane si appassiona alla letteratura fantasy, specie ad autori quali J. R. R. Tolkien, Ursula Le Guin e Marion Zimmer Bradley.
Quando la rivista fantascientifica polacca Fantastyka organizza un concorso letterario, decide di partecipare scrivendo nell’inverno 1985 il racconto Wiedźmin (Lo strigo). Il racconto ottiene l’attenzione inaspettata dei lettori polacchi, e spinto dalle loro richieste Sapkowski decide di continuare a scrivere sullo strigo Geralt e di intraprendere la carriera di scrittore [con notevole successo, visti i numerosi premi ottenuti, N.d.R.]
(fonte: Wikipedia)

La storia di Sapkowski mi rallegra: davvero uno scrive un racconto che piace, decide di fare lo scrittore e… ci riesce, pure bene? Mi inchino. Mi inchino un po’ meno al fatto che abbia sempre detto peste e corna del videogioco, ma poi abbia deciso di fare causa alla CD Project RED (gli sviluppatori del gioco) perché, dopo avere pattuito un certo prezzo, una volta riscontrato l’enorme successo del gioco ha ritenuto di essere stato pagato troppo poco. Qualche milione di dollari lo ha ottenuto, se non i 16 richiesti, visto che la CD Project ha voluto “mantenere i buoni rapporti in vista di future collaborazioni”.

Tra gli amo-odio del fantasy, io appartengo alla famiglia degli “amo”, come molti di voi sanno. Non per questo il genere fantastico mi piace tutto e sempre. Per arrivare ad apprezzare Sapkowski, però, il mio percorso è stato inusuale: non avevo letto niente di suo quando ho giocato a The Witcher 3. Il gioco – una pietra miliare nei videogiochi di ruolo –  mi ha lasciato una sorta di legame affettivo con Geralt, il protagonista: un witcher, ovvero uno strigo.

I witcher sono esseri umani geneticamente modificati durante l’infanzia per diventare professionisti addestrati a combattere i mostri, penetrati nel mondo con la Configurazione delle Sfere. La mutazione garantisce loro benefici e malus: i witcher vedono al buio, hanno agilità e forza superiori ai comuni uomini, una longevità maggiore, sono resistenti alle sostanze velenose e possono utilizzare i Segni, una rudimentale forma di magia. Gli svantaggi, al di là della sterilità, non sono particolarmente gravi, e permettono loro di vivere normalmente, perlopiù disprezzati dagli uomini, ma tollerati e pagati per il loro importante servizio.

Geralt è un mostro che combatte altri mostri, potremmo dire, ma lo fa soltanto quando non può evitarlo, e anche con un certo dispiacere, nonostante i trattamenti ricevuti da bambino abbiano smorzato le sue emozioni. Da diverso, sa bene che spesso i veri mostri sono gli uomini. Questo lo rende per me non solo un eroe, ma un mio eroe.

Quando ho scoperto che il gioco The Witcher nasceva da una serie di libri, non sono stata subito tentata di leggerli. Il passaggio da un medium all’altro è spesso deludente. Poi è uscita la serie Netflix, e vuoi mai che io non la guardi? Ormai la maggior parte del nuovo fantasy è urban fantasy, ambientato nel nostro mondo; una chance di vedere del fantasy-fantasy non è da trascurare. Le mie impressioni sulla serie sono state miste, ma in cambio è nata in me una certa curiosità verso i libri di Sapkowski.

A oggi ho letto Il sangue degli elfi e Il guardiano degli innocenti (non è l’ordine giusto, sappiatelo), e sto per iniziare La spada del destino, terzo di otto libri. Devo ammettere quasi mio malgrado, perché in teoria non corrisponde davvero ai miei gusti abituali, che il modo di narrare di Sapkowski funziona. Prova ne è che questi libri me li sono divorati.

Come sempre, mi sono domandata cosa mi insegna questo autore. Vi racconto le mie osservazioni, non certo epocali, ma spero interessanti anche per voi, aiutandomi con qualche stralcio (non sempre breve), tratto da Il guardiano degli innocenti. Se volete velocizzare la lettura e/o evitare spoiler, potete saltare le citazioni, in particolare quella riguardante il finale.

Andrzej Sapkowski
Andrzej Sapkowski

Un buon incipit

Come da esortazioni di maestri ed editor, si incentra sul protagonista, suscitando curiosità.

In seguito avrebbero detto che l’uomo era giunto da nord attraverso la porta dei Cordai. Era a piedi e conduceva il cavallo carico per le briglie. Era pomeriggio avanzato, le bancarelle dei cordai e dei sellai erano già chiuse, la strada deserta. Nonostante il caldo, l’uomo aveva un mantello nero gettato sulle spalle. Attirava l’attenzione.
Si fermò davanti all’insegna della Vecchia Narakort e rimase un attimo ad ascoltare il brusio delle voci. La locanda, come al solito a quell’ora, traboccava di gente.
[…]
Pur non essendo vecchio, lo sconosciuto aveva quasi tutti i capelli bianchi. Indossava un logoro farsetto di cuoio allacciato al collo e alle braccia. Quando si tolse il mantello, tutti notarono che aveva una spada legata sulla schiena con una cinghia. Non che vi fosse qualcosa di strano di per sé, a Wyzima quasi tutti giravano armati, ma nessuno portava la spada sulla schiena come un arco o una faretra.

L’importanza dei dialoghi

Non è una novità che i dialoghi siano importanti, ma per me è stata una sorpresa constatare quanto possano esserlo, fino a diventare uno dei pilastri principali della storia. Non ho fatto un’analisi dettagliata, ma così a spanna mi sembra che nelle storie di Sapkowski i dialoghi occupino almeno il 60% dello spazio. Ci sono facciate intere in cui il personaggio parla. E sapete cosa? Il risultato è buono. Sono dialoghi frizzanti, con un registro di linguaggio diverso per ogni personaggio, ricchi di tensione, a volte ironici. Se non riporto un brano che lo dimostri è solo perché di dialoghi sono pieni gli stralci che propongo più avanti.

Una lettura rapida

Non è detto che sia un bene, né che sia un male. Comunque la presenza massiccia di dialoghi rende veloce la lettura, non solo per il minor numero di battute per pagina, ma perché i dialoghi, quando sono scritti con perizia, non risultano mai pesanti o noiosi. Le parole dei personaggi mettono in contatto diretto lettore e personaggi, senza il filtro dell’autore, almeno all’apparenza. La vicinanza che si crea è davvero notevole.

Riflessioni fini a se stesse? Anche no.

Sapkowski non attribuisce ai suoi personaggi lunghe riflessioni a sé stanti. Questo potrebbe indicare un loro scarso sviluppo emotivo-intellettivo, ma non è così. Dalle loro parole e azioni la loro personalità emerge in modo chiaro. Il pensiero, però, viene a esse legato e subordinato. È raro il rimuginare senza un esito ravvicinato di qualche tipo.

Descrizioni di poche parole, non descrizioni da poco

Forse per la predominanza di parole e azioni sui pensieri, leggendo Sapkowski mi sembra di ruzzolare di pagina in pagina. Inizialmente mi sono detta: i personaggi saranno solo abbozzati. No? Allora le descrizioni saranno sommarie, di superficie. Come mai allora le scene mi lasciavano impresse immagini così chiare? Perché le descrizioni di Sapkowski sono sintetiche ma efficaci, ecco perché.     

Geralt gettò un’ultima occhiata dalla finestra del castello. Il crepuscolo calava in fretta. Al di là del lago tremolavano piccole, indistinte, le luci di Wyzima. L’area intorno al castello era deserta, una striscia di terra di nessuno con cui da sei anni la città si era separata da quel luogo pericoloso senza lasciarvi nulla oltre a poche rovine, qualche travatura marcia e i resti di una palizzata piena di brecce che evidentemente non valeva la pena di smontare e spostare altrove. Anche il re aveva trasferito la sua residenza il più lontano possibile da lì, dalla parte opposta del borgo, dove la massiccia torre del suo nuovo castello nereggiava in lontananza sullo sfondo del cielo che stava diventando blu cupo.

Valori, non prediche   

Esprimendo i valori su cui si regge la storia, può capitare di scivolare nella banalità o assumere toni moralistici, se non di diventare melodrammatici. Sapkowski però evita queste trappole e riesce a emozionare e far riflettere. Il brano che segue si svolge tra Geralt, prigioniero insieme all’amico-cantastorie Ranuncolo, e il capo degli elfi che intendono ucciderli.

«Voi uomini odiate tutto ciò che si differenzia da voi, non foss’altro per la forma delle orecchie», proseguì con calma l’elfo senza fare attenzione al capriocorno. «Perciò ci avete tolto la nostra terra, ci avete cacciato dalle nostre case, ci avete esiliato sulle montagne selvagge. Avete occupato la nostra Dol Blathanna, la Valle dei Fiori. Sono Filavandrel Aén Fidháil delle Torri Argentee, della stirpe dei Feleaorn delle Bianche Navi. Ma ora, esiliato e scacciato al confine del mondo, sono Filavandrel del Confine del Mondo.»
«Il mondo è grande» mormorò lo strigo. « Tutti possiamo trovarvi posto. C’è abbastanza spazio.»
«Il mondo è grande, è vero, umano. Ma voi l’avete cambiato. All’inizio l’avete cambiato con la forza, poi vi siete comportati con lui come con tutto ciò che vi è capitato tra le mani. Adesso sembra che il mondo abbia cominciato a adeguarsi a voi. Si è piegato davanti a voi. Si è arreso a voi.»
Geralt non rispose.
«Torque ha detto la verità. Sì, facciamo la fame. Sì, ci minaccia lo sterminio. Il sole brilla in maniera diversa, l’aria è diversa, l’acqua non è più la stessa acqua di un tempo. Ciò che mangiavamo una volta, ciò che adoperavamo muore, rimpicciolisce, deperisce. Non abbiamo mai coltivato la terra; a differenza di voi uomini, non l’abbiamo mai dilaniata con zappe e aratri. A voi la terra paga un tributo di sangue. A noi elargiva doni. Voi strappate alla terra i suoi tesori con la forza. Per noi la terra generava frutti e fiori, perché ci amava. Be’, nessun amore dura in eterno. Ma noi vogliamo durare.»
«Invece di rubare il grano, potreste comprarlo. Quanto ve ne occorre? Avete ancora una gran quantità di cose considerate straordinariamente preziose dagli uomini. Potreste commerciare.»
Filavandrel fece un sorriso sprezzante.
«Con voi? Mai.»
Geralt contrasse il viso in una smorfia, facendo screpolare il sangue rappreso sulla guancia.
«Che il diavolo vi porti insieme con la vostra arroganza e col vostro disprezzo. Non volendo convivere, vi condannate da soli allo sterminio. Convivere, accordarsi, è la vostra unica possibilità.»
Filavandrel si curvò in avanti, i suoi occhi brillarono.
«Convivere alle vostre condizioni?» chiese con voce mutata, ma sempre calma. «Riconoscendo il vostro dominio? Perdendo la nostra identità? Convivere in qualità di cosa? Di schiavi? Di paria? Convivere con voi al di là dei muri con cui proteggete da noi le vostre città? Convivere con le vostre donne, e per questo salire al patibolo? Oppure guardare che cosa succede a ogni piè sospinto ai bambini risultato di una simile convivenza? Perché eviti il mio sguardo, strano umano? Come convivi col tuo prossimo, da cui sei comunque un po’ diverso?»
Lo strigo lo guardò dritto negli occhi.
«Me la cavo. In qualche modo me la cavo. Perché devo. Perché non ho altra via d’uscita. Perché in qualche modo ho sopraffatto dentro di me la superbia e l’orgoglio per la mia diversità, perché ho capito che la superbia e l’orgoglio, sebbene siano un’arma contro la diversità, sono un’arma miserevole. Perché ho capito che il sole brilla in maniera diversa, perché qualcosa cambia e io non sono l’asse di questi cambiamenti. Il sole brilla in maniera diversa e continuerà a brillare, non serve a niente bersagliarlo di pietre. Bisogna accettare i fatti, elfo, bisogna imparare a farlo.»

[“Capriocorno” non è un refuso, N.d.R.]

Scene di lotta credibili

Con le armi o a mani nude, nelle storie d’azione spesso svolgono un ruolo fondamentale. Se l’autore le descrivesse malamente, il danno sull’effetto finale sarebbe enorme. Invece Sapkowski riesce a rendere visibili al lettore i gesti, i colpi, i movimenti che si verificano nel corso della lotta, senza invischiarsi nell’indescrivibile.

(Avete mai provato a inserire nelle vostre storie un movimento semplice come questo: il personaggio, seduto, china il busto in avanti e appoggia i gomiti sulle ginocchia e il mento sul palmo delle mani? Se avete trovato una soluzione apprezzabile, non mancate di farmelo sapere…)

Tailles balzò in avanti attaccando in maniera fulminea, senza preavviso. Lo strigo non cercò neppure di parare, evitò la punta con un veloce mezzo giro. Il giovane cavaliere fece un ampio gesto del braccio, la lama lacerò di nuovo l’aria, Geralt sgusciò sotto di essa con un’agile piroetta, saltò mollemente di lato e con una breve, lieve finta fece perdere il ritmo all’avversario. Tailles imprecò e, menando un largo fendente da destra, perse per un attimo l’equilibrio; provò a recuperarlo riparando con una mossa istintiva e goffa, tenendo la guardia alta.
Lo strigo agì con la rapidità e la forza di un fulmine, stendendo il braccio in tutta la sua lunghezza. La sua pesante lama incrociò con stridore quella di Tailles che, spinta con forza, lo colpì dritto in faccia. Il cavaliere urlò, cadde in ginocchio e affondò la fronte nell’erba.

Il difficile equilibrio nelle scene di sesso

Non è facile destreggiarsi tra sdolcinatezze, dettagli hard e anatomia. Secondo me Sapkowski ci riesce bene.

Guardò da vicino gli occhi violetti, gli occhi più belli del mondo, occhi che, come temeva, sarebbero divenuti per lui…
Tutto. Lo sapeva.
«Il tuo desiderio», sussurrò Yennefer, sfiorandogli l’orecchio con le labbra. «Non so se in generale un simile desiderio si possa esaudire. Non so se in natura esista una Forza in grado di esaudirlo. Ma, se esiste, ti sei condannato. Ti sei condannato a me.»
La fece tacere con un bacio, una stretta, un tocco, una carezza, più carezze, e poi con tutto se stesso, con ogni suo pensiero, un unico pensiero, con tutto, tutto, tutto. Interruppero il silenzio con sospiri e col fruscio degli abiti sparsi a terra, interruppero il silenzio in maniera dolcissima, e furono pigri, furono precisi, furono premurosi e sensibili e, sebbene nessuno dei due sapesse bene che cosa fossero premura e sensibilità, riuscirono a esserlo, perché ne avevano un gran desiderio. Non avevano fretta, e di colpo tutto il mondo cessò di esistere, cessò di esistere per un piccolo, breve istante che sembrò loro tutta un’eternità, perché lo era davvero.

Un finale efficace

Parliamo di una saga, quindi le vicende di Geralt non si concludono in via definitiva. Lo stesso i libri che ho letto si concludono con un buon equilibrio tra cesura e sviluppi lasciati sospesi. Ne Il guardiano degli innocenti, per esempio, Sapkowski riesce ad aspettare l’ultima pagina per far succedere ciò che Geralt ha tentato di evitare per buona parte del libro, ovvero conoscere il proprio futuro grazie alle visioni di Iola. In questo modo l’autore trasforma il congedo di Geralt e Ranuncolo dalla sacerdotessa Nenneke – molto adatto a un finale ma potenzialmente fiacco – in un momento di tensione godibile in sé, oltre che rimandante ai libri successivi. Questo senza ricorrere a un cliffhanger* che facilmente lascerebbe scontento il lettore. (*Avete presente quando l’azione viene interrotta sul più bello? Nel mio manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia parlo anche di questo.)

Geralt si chinò, controllò l’anello della staffa appena riparato e sistemò lo staffile che, odoroso di pelle nuova, era ancora rigido e stentava a entrare nella fibbia. Aggiustò il sottopancia, le bisacce e la coperta da cavallo arrotolata dietro la sella, nonché la spada d’argento legata a essa.
Nenneke era lì accanto immobile, le braccia incrociate sul petto. Ranuncolo si avvicinò conducendo il suo castrone baio.
«Grazie per l’ospitalità, venerabile. E non arrabbiarti più con me. Tanto lo so che mi vuoi bene.»
«Certo. Ti voglio bene, imbecille, anche se non so neanch’io perché. Addio», ribatté Nenneke senza sorridere.
«Arrivederci, Nenneke.»
«Arrivederci, Geralt. Abbi cura di te.»
Lo strigo fece un sorriso amaro.
«Preferisco avere cura degli altri. Alla lunga si dimostra la cosa migliore.»
Dalle colonne avvolte di edera del tempio, apparve Iola in compagnia di due adepte più giovani. Portava il bauletto dello strigo, di cui evitava goffamente lo sguardo.
[…]
La fanciulla, a testa bassa, gli porse il bauletto. Aveva una tale voglia di dire qualcosa. Non aveva idea di che cosa bisognasse dire, quali parole bisognasse usare. Non sapeva che cosa avrebbe detto se avesse potuto. Non lo sapeva. Ma lo desiderava. Le loro mani si sfiorarono.
Sangue. Sangue. Sangue. Ossa come bianchi bastoncini spezzati. Tendini come corde biancastre che esplodono sotto la pelle che si fende, tagliata da grandi zampe irte di spunzoni e da denti aguzzi. L’orribile eco di un corpo lacerato e grida, impudenti e spaventose nella loro impudenza. Nell’impudenza della fine. Della morte. Sangue e grida. Grida. Sangue. Grida…
«Iola!»
Nenneke, con una velocità straordinaria per la sua stazza, si gettò sulla fanciulla allungata a terra, tesa, scossa da convulsioni, e la sostenne tenendola per le spalle e per i capelli. Una delle adepte rimase come paralizzata, l’altra, più svelta, s’inginocchiò ai piedi di Iola, che si arcuò, aprendo la bocca in un grido senza voce, muto.
«Iola! Iola, parla! Parla, bambina! Parla!» gridava Nenneke.
La fanciulla si tese ancora di più, si morse le labbra, serrò le mascelle, un sottile rivolo di sangue le colò lungo la guancia. Nenneke, rossa per lo sforzo, gridò qualcosa che lo strigo non capì, ma il suo medaglione gli diede un tale strattone alla nuca che lui istintivamente si piegò, schiacciato da un peso invisibile. Iola s’immobilizzò. Ranuncolo, pallido come un cencio, fece un respiro profondo. Nenneke si mise in ginocchio, quindi si alzò a fatica.
«Portatela via», disse alle adepte. Se ne erano raccolte delle altre, accorse con espressione seria, spaventate e mute. «Conducetela via. Con cautela. E non lasciatela sola. Arrivo subito.» Poi la sacerdotessa si rivolse a Geralt. Lo strigo stava immobile, tormentando le redini nella mano sudata. «Geralt… Iola…»
«Non dire niente, Nenneke.»
«L’ho visto anch’io… per un istante. Geralt, non andare.»
«Devo.»
«Hai visto… l’hai visto?»
«Sì. Non era la prima volta.»
«E allora?»
«Non ha senso guardarsi indietro.»
«Non andare, ti prego.»
«Devo. Prenditi cura di Iola. Arrivederci, Nenneke.»
La sacerdotessa scrollò lentamente la testa, tirò su col naso e si asciugò una lacrima con un movimento brusco, irruente del dorso della mano.
«Addio», sussurrò senza guardarlo negli occhi.

Un’ultima curiosità: l’autore ha richiesto che i suoi romanzi vengano tradotti direttamente dal polacco, senza l’intermediazione di altre lingue, e la cosa – pensa un po’! – gli è stata accordata. Non si rischia quindi che il testo, tra una traduzione e l’altra, finisca con l’allontanarsi troppo dall’originale. Mi sembra un’ottima scelta.

Bene, per oggi vi ho detto tutto. Vi auguro una buona settimana e la serenità necessaria per affrontare questo periodo complicato.

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11 commenti

  • Giulia Mancini

    Nonostante io non ami il fantasy ho letto il tuo post e gli estratti proposti, mi sembra un autore molto bravo, molto efficace e bella la scena di sesso.

  • Tenar

    Devo dire che al visione della serie di Netflix mi ha lasciato poco niente, anzi, no, qualche battuta col marito con cui giocavo a “indovina la svolta di trama”. Non mi ha convinto. Sono sicura che i libri siano meglio, ma per il momento li lascio sugli scaffali.

    • Grazia

      Anch’io sono stata poco convinta dalla serie Netflix, in particolare nelle sue prime puntate. Con mio figlio abbiamo scherzato per un po’ sulle inadeguatezze, i difetti di ritmo e la faccia immutabile di una dei protagonisti. I libri sono sicuramente meglio, ma visto che sto parlando con te, non sono un grandissimo fantasy. Buono, secondo me sì.

  • Luz

    Ho amato la prima stagione tv della saga. All’inizio, fra la prima e la terza puntata, non ne ero del tutto convinta, poi la cosa ha cominciato a farsi interessante. Tutto il cast è perfetto, i costumi un po’ leziosi e a tratti elementari, ma questo infonde qualcosa di fiabesco che ci può stare. Ho amato in particolare la splendida interpretazione di Anya Chalotra nel ruolo di Yennefer, il passaggio dal suo ruolo prima della conversione “stregonesca” al nuovo è magistrale.
    Dalla lettura dell’incipit deduco che la sceneggiatura lo ha seguito passo passo.
    Anche la scena di sesso mi piace, tranne l’espressione “per un breve istante”, che cerco di evitare perché diventata cliché.

    • Grazia

      Anya Chalotra è molto brava, in effetti. Non mi è piaciuta la monotonia dell’espressione di Ciri, e certe scene mi sono sembrate affrettate e un po’ cliché, ma dopo le prime puntate, anche per me discutibili, c’è stato un miglioramento. Per me però si mescolano gioco, serie e lettura, quindi faccio faticare a valutarli singolarmente.

  • Barbara

    Stavo proprio aspettando che qualcuno tra le mie conoscenze parlasse di questa fiction/serie di romanzi, fin da quando Geralt-Henry Cavill è stato messo a confronto con Jamie Fraser-Sam Heughan.
    Anche su The witcher qualcuno ha sollevato il dubbio del soft-porn alla stessa stregua che su Outlander… Ma quella che hai riportato tu è una scena di sesso parecchio edulcorata rispetto a quelle di Diana Gabaldon, non c’è nessun dettaglio hard!
    Mi sembra comunque che il signor Andrzej Sapkowski qui scriva molto bene. In effetti la descrizione del castello è secca, eppure rende bene l’immagine. Però usa solo un senso, la vista, nulla dice degli altri cinque (ricordi la Regola del Tre applicata in Outlander? l’uso di almeno tre dei cinque sensi dà un maggior coinvolgimento del lettore). Questa sembra una scrittura che già concepisce altri medium, quelli visivi, che sia videogioco o video statico. Diciamo che anche per te, come per me con Outlander, la scintilla è scattata dopo aver associato ai protagonisti già una forma e un’ambientazione “solida” in cui muoverli. Questo potrebbe aver influito.

    • Grazia

      Sicuramente ha influito. Soft-porn? Bè, zia Diana si spinge sicuramente qualche passo oltre Sapkowski, infatti mi mette un po’ a disagio, a volte. Quello che fai notare sui sensi coinvolti nella narrazione di Sapkowski è vero, almeno in linea di massima, e rende la lettura “asciutta”: usando un senso soltanto, l’impressione è meno avvolgente e più rapida nel progredire. Lo stesso sto apprezzando questo autore. Come sempre, se riesci a contravvenire alle regole e scrivere lo stesso una buona storia, sei un autore di un certo livello.

  • Cristina

    Io appartengo alla serie di estimatori del fantasy. Ho visto soltanto la serie Netflix insieme a mio figlio, e mi è piaciuta abbastanza.. anche se il personaggio principale mi sembra, ehm, un po’ tagliato con l’accetta, con tutto il rispetto per i boscaioli e anche gli alberi.

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