Vita da scrittori (e non)

Non solo coronavirus

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Perché intanto la vita va avanti, inciampa e riprende a camminare.

Eh già, i normali accadimenti della vita non si sono fermati con l’avvento del COVID e l’inizio di questo periodo di realtà simil-distopica, anche se a volte ho avuto l’impressione che fosse proprio così, ascoltando frammenti degli interminabili, dolorosi e frustranti dibattiti televisivi sull’argomento. Invece no, non c’è solo il coronavirus a complicare le nostre vite.

Il giorno di Pasqua mia madre è caduta in casa ed è stata ricoverata in ospedale. Ha 91 anni, una bell’età, e ha vissuto gli ultimi dodici in una casa bifamiliare con noi, il suo portone a pochi centimetri dal nostro. È stata sempre più o meno autonoma, nella situazione protetta creata dalla nostra vicinanza, ma si sa, quando arriva il momento di essere meno autonomi non succede con un delicato avviso all’interessato e ai parenti, bensì con un evento infausto, se posso definirlo così. Infausto, ma non del tutto: all’ospedale le sono stati riscontrati due ematomi subdurali importanti, probabilmente dovuti a una caduta di due mesi fa, da rimuovere assolutamente.

Non solo coronavirus! Gli altri problemi esistono ancora, come quello degli anziani negli ospedali.
Foto di Free-Photos da Pixabay

Comincia così il nostro tour delle ultime due settimane, tra trasferimenti da un ospedale all’altro e una quantità di telefonate e tentativi di vario genere per ricevere gli ausili che serviranno quando mia madre sarà di nuovo a casa – perché sì, pare che vada tutto bene e che tra qualche giorno la dimetteranno. Mi è sembrato che nell’ambiente ospedaliero venga dato un po’ troppo per scontato che i parenti vogliano lasciare i degenti anziani in ospedale il più a lungo possibile, ma lungi da me volermi lamentare. Tutto è bene quel che finisce bene, recitava una vecchia pubblicità, anzi, réclame, per continuare con l’archeologia.

Il tempo per organizzare la casa per un anziano convalescente e non più autonomo lo abbiamo avuto, visto che al momento non è possibile fare visita ai congiunti ricoverati. Anche così è una specie di giostra impazzita, dove è massimo il desiderio di controllare gli eventi e minime le possibilità di farlo. Non parlo del problema di salute in sé, che è per forza al di fuori del nostro controllo, ma anche della realtà accessoria che include badanti e attrezzature in comodato d’uso, arredamento adattato alle circostanze e fisioterapia, protesi perse e ritrovate, il tutto sottoposto alla burocrazia e all’imperfezione umana.

Un vero bailamme, ma va bene. Mi sento già fortunata per le due sparute telefonate e la singola visita extra-regole che mi è stata concessa, credo in virtù del fatto che qui da noi la situazione COVID è discreta; ma poteva anche capitarmi di non sentire mia madre fino al suo ritorno a casa. A molti va ancora peggio.

Mentre arrancavo per fare fronte a questa… sorpresa pasquale, mi osservavo con attenzione. È un’esperienza che non conosco, quella di dover accudire un genitore. Quando mio padre morì di SLA, quasi vent’anni fa, l’unica cosa che seppi fare fu tenere a bada la sofferenza con il frustino, come si fa con un animale feroce: vattene, stai lontana da me! Va detto a mia discolpa – senza che questo me lo renda meno indigesto – che non ebbi il tempo di affrontare davvero la situazione. Nove giorni dalla diagnosi alla conclusione, fu davvero troppo breve.

In queste settimane, però, mi sono domandata quanto questo desiderio di tenere lontana la sofferenza sia diventato un tratto costante della mia persona. Una volta leggevo libri e guardavo film di ogni genere. Non ricordo di averli mai selezionati in base al finale, al contenuto drammatico e alla tristezza che potevano lasciarmi. Non so con precisione quando ho iniziato a farlo. Mi domando se non sia stata la morte di mio padre a farmi diventare così codarda da non saper affrontare gli aspetti dolorosi della vita, nemmeno nella finzione.

Tuttavia questa non è l’unica faccia della questione. Scelgo coscientemente di non nutrire la negatività con le mie energie. Questo, ho imparato, è importante per mantenere l’equilibrio, a vantaggio di tutti. Le risorse interiori si rigenerano costantemente, ma non per questo vanno sprecate senza costrutto. Per questo motivo cerco di impegnarmi in ciò che può essere utile, ma quando non c’è niente che io possa cambiare, e il massimo dell’azione sarebbe preoccuparmi, rimuginare, parlare e caricarmi di tensione e dolore, allora no, io passo. Sottrarmi alla sofferenza, quindi, può essere sia codardia che saggezza; l’importante è imparare a riconoscere il confine tra le due.

Perché questo è soltanto un aspetto della questione. L’empatia, al di là della sua efficacia o meno sulla realtà, ci rende umani. Alimenta il nostro cuore, quello dei nostri due motori che ha forza propulsiva. Dall’altro motore, quello del pensiero, possiamo aspettarci idee e valutazioni, ma non il tipo di energia che rende possibile l’impossibile. Dal cuore sì, possiamo aspettarci proprio questo. Ma ci sono anche altri motivi per accettare di soffrire senza risolvere niente. Per esempio esistono persone ed eventi che meritano attenzione semplicemente per il rispetto che è loro dovuto. Onorarli non cambia i fatti, ma è giusto.

Quindi il mio tentativo di sfuggire alla negatività “inutile” deve destreggiarsi tra diverse considerazioni. Comunque sia, e senza divagare oltre, il livello della codardia, cioè del rifiuto della sofferenza, è il primo che ho incontrato in me stessa in queste ultime settimane, soprattutto nei momenti peggiori, nato anche dal fatto che con mia madre ho sempre avuto un rapporto conflittuale.

Non voglio essere qui a fare questo.
Voglio che ci pensi qualcun altro.
Quando finirà tutto questo e potrò tornare alla normalità?  

La normalità! Il mio mito, in pratica. Adoro le mie semplici attività, la calma, il silenzio, l’intensità nata dall’attenzione. Non sono mai stata il tipo che si diverte a destreggiarsi tra cento impegni, riempiendosi le giornate fino a farle scoppiare. C’è chi chiama questo vita attiva; per me è follia. Per quanto mi è stato possibile scegliere, ho sempre scelto in base alla mia indole contemplativa. Non sempre si può davvero scegliere, però, ed è bene che sia così, sennò chi mai si smuoverebbe dalla propria comfort zone, comunque sia fatta?

Ma scavando oltre il rifiuto, questa volta, ho trovato l’accettazione. Forzata, se volete, ma vera. Voglio vivere questa esperienza, non fuggire. La situazione mi richiede di essere, di fare, e sto facendo del mio meglio per essere all’altezza. Accetto di preoccuparmi e trovarmi a occhi aperti di notte, quando tutto sembra davvero buio e non c’è niente che faccia intravedere soluzioni, a cercare fantasie per riprendere sonno. Accetto di telefonare, chiedere, insistere, tentare e ritentare per raggiungere il mio obiettivo. Accetto che la mia quiete sia scombussolata fino a nuovo ordine.

Accetto.

Superato il rifiuto, mi aspettavo di trovare la rassegnazione all’inevitabile. Invece ho trovato… forza. E più a fondo ancora, oltre la forza, ho scoperto con sorpresa che la gioia non se ne va addentrandosi nella negatività, o quella che percepisco come tale. La gioia resta, è anche lì, non viene meno. Posso raggiungerla, se solo smetto di remare controcorrente e guardo in fondo a me stessa.

Tutto questo per il ricovero di un congiunto novantunenne?, potreste dire, e avreste ragione. Non voglio passare questi ultimi eventi come un’esperienza terribile, perché c’è molto di peggio, in questo periodo, poi! Ma la difficoltà ad affrontare la sofferenza, in qualunque modo si presenti, ci accomuna tutti, e le lotte che facciamo con noi stessi per crescere e diventare persone migliori sono importanti, anche quando si vince una piccolissima battaglia. Almeno per me è così.           

L’operazione della mamma è andata bene. Se la TAC di lunedì confermerà che la sua testa (notoriamente dura) è a posto, nei primi giorni della settimana potremo riaccoglierla a casa, dove avrà una persona ad assisterla, oltre a noi.

Come sarà questo cambiamento, non lo so. Mi sono resa conto, vedendo mia madre dopo dieci giorni di black-out, che una persona molto avanti negli anni, quando si trova in una realtà estranea come quella dell’ospedale, inizia a… scivolare via. Senza memoria, senza la possibilità di visite a causa del COVID, convalescente da un intervento delicato, circondata da persone che non sanno niente di lei, è come se avesse iniziato a ritirarsi dal mondo. Adesso starà a noi farle sentire che c’è ancora un tratto di strada, breve o lungo, da percorrere insieme.

P.S.: Stamattina, portando fuori il cane nei campi vicino a casa, abbiamo visto una volpe in caccia. Eravamo sottovento, perciò non ci annusava né sentiva, nonostante fosse a una trentina di metri da noi. Siamo rimasti a guardarla per qualche minuto, come se fossimo caduti dentro un documentario. La bellezza, come la gioia, resta!

BOLLETTINO DELLO SCRITTORE
Da non crederci, ma anche in questa tempesta la scrittura riesce a ritagliarsi il suo spazio. Se prima avevo in corso la stesura del Nuovo Romanzo e il lavoro sulla biografia di Amela, adesso si è aggiunta la revisione finale del romanzo YA con cui vorrei partecipare al premio letterario indetto da Amazon per gli autori che autopubblicheranno un libro con KDP tra il 1° maggio e il 31 agosto 2020 (maggiori informazioni QUI). Evviva! Tre palle da far girare per un giocoliere innamorato della calma…

BOLLETTINO DEL LETTORE
Al momento sto leggendo, con la lentezza dovuta al momento, Le regine di Gerusalemme della nostra Cristina M. Cavaliere (terzo libro della saga La Colomba e i Leoni), The Teachings of Sri Ramana Maharshi, un mistico indiano, e La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro e Daniel Kraus.

28 commenti

  • Sandra

    Mi spiace molto per tua mamma, eh sì, penso spesso ai malati “d’altro” che in questo periodo hanno una doppia situazione difficile. Spero davvero che a casa possiate essere tutti sereni pur nella difficoltà oggettiva della situazione. Un abbraccio

  • Morena

    Coraggio Grazia. Ti capisco molto bene. Mia mamma ha, pure lei, quasi 91 anni e abbiamo passato varie vicissitudini. Niente di irreparabile ma di continuo e ansiogeno. Esserci fa la differenza ora ma la farà molto di più in seguito. Davanti allo specchio della vita. Un abbraccio.

    • Grazia

      Benvenuta, Morena, e grazie dell’incoraggiamento. Questo in effetti è solo l’inizio di un periodo che avrà le sue complicazioni e il suo peso. Faremo il possibile per viverlo e farlo vivere bene.

  • Ariano Geta

    I genitori sono le nostre radici, è inevitabile soffrire per la loro scomparsa o anche solo di fronte al rischio che ciò avvenga. Mi auguro che tua madre non abbia alcun genere di conseguenza da questo intervento e che in breve ritorni a essere autonoma e a starvi vicino ancora per qualche anno.
    Riguardo il fatto di fuggire la sofferenza nella finzione, anche quello penso sia legittimo in certi momenti. Mia zia mi diceva che negli anni del dopoguerra la gente organizzava feste da ballo e andava al cinema a vedere film comici… C’erano anche film drammatici nella programmazione, ma riscuotevano poco interesse: i sopravvissuti agli orrori terribilmente reali della guerra non avevano alcuna voglia di vederne pure di immaginari sul grande schermo…

    • Grazia

      Questo lo capisco bene. In effetti non mi colpevolizzo per il fatto che evito la negatività, quando posso. Soffrire per un finzione può essere sciocco, se ci si pensa; ed è sofferenza vera, perché è stato rilevato che le reazioni del corpo alla realtà immaginata sono quasi uguali a quelle suscitate dalla realtà… reale. Credo però di non sapere sempre distinguere i romanzi/film che comunicano negatività e basta da quelli che fanno soffrire ma “fanno bene”. Su questo vorrei migliorare, per non perdermi buone storie.

  • MikiMoz

    Bellissimo post, anche nella postilla sulla volpe.
    Mi dispiace per la disavventura, per fortuna come dici sembra che tutto si stai aggiustando quindi ok così.
    Che dire? Mi ritrovo un po’ nelle tue parole, e penso sia saggezza: inutile autoalimentare le ansie, ma in questi casi bisogna proprio essere lucidi.
    Oh, so che finire in ospedale ai tempi del covid è davvero strano, quindi sì, metticela tutta per ridare normalità alla vita!

    Moz-

  • Giuliana

    Hai descritto benissimo stati d’animo ed emozioni che ho provato anche io. Con mia padre ero ancora giovane, poco più che ventenne, il dolore è stato atroce ma presto la vita mi ha guarito; mia madre invece mi ha lasciato dieci anni fa, in piena maturità e la paura che avanzava. L’accettazione, come dici tu, è un’ancora.

    • Grazia

      Benvenuta, Giuliana! L’età ci cambia, perciò è normale che reagiamo diversamente alla sofferenza nelle varie fasi della nostra vita. Forse fino a poco tempo fa avrei considerato un vantaggio l’inconsapevolezza, adesso non più.

  • Giulia Mancini

    È normale fuggire la sofferenza anche solo nella finzione, ma c’è un tempo per ogni cosa ed è differente nella vita di ciascuno perché differenti sono le esperienze di vita. Quando è morta mia madre tanti anni fa io ero affranta, ma è stato strano ricevere attenzioni da persone inaspettate, per esempio una collega (con la quale avevo un rapporto superficiale) mi ha scritto una lettera per dirmi come si sentiva quando è morta sua madre e di come, nonostante il dolore, la vita possa continuare, l’ho apprezzato molto. Invece una mia amica è sparita per oltre un mese, non sapeva come affrontare quel momento, c’è chi rifugge dalle situazioni che hanno a che fare con la morte e la sofferenza, me lo ha spiegato tempo dopo quando ha trovato il coraggio di rifarsi viva. In ogni caso è vero, la vita riprende e si ritrova anche la gioia, con il tempo. Quando si attraversa il dolore si diventa più forti, questo posso affermarlo per esperienza diretta. Riguardo a tua madre, dovrai darle il tuo sostegno, ti auguro che ritrovi la piena autonomia, ma questa per te sarà un’occasione per imparare un nuovo modo di amare, perché i genitori a un certo punto della vita diventano quasi dei figli da accudire ed è bellissimo riscoprire la tenerezza, anche questa esperienza diretta con mio padre. In bocca al lupo.

    • Grazia

      Accetto volentieri gli auguri, mi serviranno! Capisco la tua amica che esitava a farsi sentire. Io non sono mai andata ai funerali – a parte quelli dei miei cari, lì non potevo sottrarmi – perché mi sono sempre sembrate situazioni di sofferenza e imbarazzo inutile, anche perché alla persona scomparsa si può pensare anche al di fuori di queste cerimonie. Poi un giorno un’amica mi ha detto che non si va ai funerali per il defunto, ma per stare vicini ai parenti. Semplice, vero? Ma io non ci aveva nemmeno pensato.

  • Maria Teresa Steri

    Mi dispiace molto per tua mamma, davvero non ci voleva questa batosta. Indubbiamente la situazione non sarà facile, e te lo dico per esperienza diretta, ma mi sembri molto preparata e accettare questo genere di complicazioni che la vita ti mette davanti è sicuramente la cosa migliore. Ci vuole pazienza e adattamento, ma sono certa che saprai affrontare tutto ne modo giusto. Poi senz’altro tua mamma recupererà l’autonomia, ho l’impressione che sia un tipo forte! Un caro abbraccio e tienici aggiornati

    • Grazia

      Spero che vada come dici! Credo anch’io che, se l’operazione non ha prodotto danni cerebrali, una certa autonomia si possa recuperare, compatibilmente con l’età. Il linguaggio è un po’ alterato, ma l’ho comunque sentita cantare (lei è quella dei detti e delle canzoncine), perciò spero in bene.

  • Marco

    È normale ribellarsi alla sofferenza, soprattutto quando colpisce chi ci sta accanto. Dobbiamo lasciare spazio ad altri, alla medicina, e noi rimaniamo ad assistere e ci sentiamo inutili. Eppure anche in questa dimensione “impotente” ci deve essere un valore, e benché sfugga alla nostra comprensione, alla fine tutto sarà più chiaro. Spero.
    Un abbraccio.

    • Grazia

      Grazie, Marco, credo anch’io che sarà così. La sensazione di impotenza però c’è, in particolare in questo periodo, in cui non puoi nemmeno assistere gli ammalati. Ma anche questa è una cosa da accettare, visto che non la si può cambiare.

  • cristina

    Purtroppo quando una persona anziana vive da sola, e lo so per esperienza perché mia mamma ottantottenne è in questa situazione, e oltretutto abita distante, basta anche un incidente domestico a fare la differenza. Per fortuna che, nel caso di tua mamma, il tutto si è risolto bene, e c’è da dire che molto spesso gli anziani, come i bambini, hanno delle risorse inaspettate. Questo periodo è all’insegna del caos per tutti, ci si sente come all’interno di una specie di lavatrice, anche nelle migliori condizioni e il virus è un insegnante terribile. Per quanto riguarda il tuo ritratto, mi ci riconosco in parte perché per esempio, di recente, mi sono ritrovata a scegliere la visione di film leggeri anziché i miei soliti film d’autore che, per quanto belli, sono spesso cupi e drammatici. E comunque penso che sia importante anche lasciare spazio alla leggerezza e alla fantasia. Che gioia saperti alle prese con le avventure dei miei crociati…

    • Grazia

      La gioia è tutta mia! Ritrovare i tuoi personaggi è come ritrovare degli amici cui mi sono affezionata. Per quanto riguarda la mamma, spero davvero che riesca a riprendersi almeno un po’… se poi vuole fare uno sprint, chi sono io per impedirglielo?

  • Luz

    Mi dispiace molto per quello che succede a te, a tua madre, in generale alla famiglia tutta.
    Immagino il cambiamento, in parte anche per averlo vissuto, quando nel 2011 ci cadde addosso la fase terminale di mio padre, e subito dopo la sua morte i problemi di mia madre (per fortuna poi risolti). La cosa che mi ricordo nitidamente di quei giorni è l’aver imparato che quando ci sei dentro, con tutte le scarpe, non so come ma trovi la forza.
    Non penso che si tratti di codardia quando senti di tener lontano il dolore, secondo me, Grazia, è assuefazione. Il dolore per mio padre fu una cosa alla quale andai incontro dicendo “eccomi, sono qui”, me ne lasciai attraversare, ma so che c’è un punto dentro di me, nel profondo, un nocciolo duro, in cui sta racchiuso il grosso. Me lo sento dentro di me, ogni tanto lo guardo ma non mi avvicino più di tanto. È quel qualcosa che penetra nel nostro Io più profondo e da lì non se ne va.

    • Grazia

      Credo che il “nocciolo duro”, come lo definisci, non se ne vada mai. Ci sono cose con cui si può soltanto convivere. Quando si riesce a conviverci bene, si è fortunati. Grazie per la vicinanza.

  • Marina Guarneri

    Che tempra, tua madre! 91 anni, caduta, ricoverata, operata, covid… e presto sarà di nuovo a casa. Che meraviglia! Sono molto contenta che le cose siano andate bene. Lo dico sempre anch’io che ci sono situazioni peggiori o c’è chi vive esperienze molto più brutte di quelle che ci capitano, però ciascuno di noi è portato per natura a specchiarsi solo nella propria sofferenza e credo non ci si debba sentire in colpa per questo o insensibile nei confronti degli altri: la sofferenza, le preoccupazioni sono fatti talmente personali che non si possono fare paragoni con realtà altrui. Inizia una nuova fase anche per te, oltre a quella della pandemia in corso, una “fase 2” in cui dovrai gestire una nuova quotidianità, ma intanto tua madre sta bene: questo è tutto ciò che conta.

    • Grazia

      Così a occhio, sarà una nuova quotidianità impegnativa, ma intanto ci proviamo. Niente covid per la mamma, per fortuna… alla sua età, sarebbe stato pesante, se non peggio.

  • Barbara

    Mi spiace leggere di queste traversie, ma adesso tua madre è tornata a casa, non scontato di questi tempi. Confido sul fatto che quella generazione lì è pressoché indistruttibile. Gli ospedali disorientano anche i giovani, figuriamoci gli anziani che sono ancorati al loro ambiente, alla loro solida quotidianità. Non è per niente facile, ma ora che è di nuovo con voi, sono convinta recupererà in fretta.
    Sul dolore il discorso è complesso. Rifuggire il dolore può non essere un bene, come nascondere la polvere sotto il tappeto invece di pulire. Ma ne so qualcosa pure io, certi dolori sono troppo grandi, vivere del passato non aiuta né il presente né il futuro, quindi tante volte meglio lasciarli dentro la scatola su in soffitta e ciao. Bisognerebbe però almeno provarci ad affrontarli, perché qualcuno ha detto che se non conosci il dolore non puoi conoscere nemmeno la felicità. Personalmente conosco sia il dolore per morte veloce (mia nonna se n’è andata in nemmeno un mese perché ci ha nascosto il tumore, avevo 26 anni, ha atteso di vedermi per spirare) che quello per morte prolungata (mio nonno in un calvario di radioterapie e sofferenza, avevo 14 anni, e la mia pro-zia, una seconda nonna, in un decennio di demenza senile, consumata e spenta come una candela), e non saprei dire cosa è peggio. In realtà mi sembra che il dolore dipenda solo dal legame che hai (o che non hai potuto avere) con quella persona. Poi penso che comunque hanno avuto una vita piena e hanno illuminato molte altre vite, compresa la mia.

    PS. La forma dell’acqua l’hai preso dopo che ne ho parlato io? Come sta andando la lettura?

    • Grazia

      Mi rendo conto che questo tipo di esperienza tocca tutti, prima o poi. Cioè, è una cosa che si sa, ma non sai mai come la prendi finché non ci sei. Intanto la mamma torna a casa domani, e arriva la badante. Hic sunt leones! Ma noi andiamo fiduciosi.
      Ho preso La forma dell’acqua sulla scia del tuo entusiasmo, sì. Per ora mi piace abbastanza, ma non un’esagerazione. Alla fine ti racconterò.

  • Rebecca Eriksson

    Proprio dai momenti difficili che impariamo a conoscere noi stessi, a scoprire che i nostri limiti in realtà non sono tali e possiamo fare sempre qualcosa in più. Il fatto che si viva in una situazione globale di per sè preoccupante, non annulla i problemi personali.
    Appena la situazione si stabilizza andrà tutto meglio.

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