Autopubblicazione,  Scrittura,  Vita da scrittori (e non)

Scrivere un romanzo: la scelta delle scene

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Riflessioni durante la revisione

Lavori in corso! Amazon Storyteller 2020 aspetta… e dovrà aspettare ancora qualche settimana, così a occhio. Il romanzo con cui intendo partecipare è già scritto da tempo e ha subito una revisione, ma lo sto passando a un vaglio finale il più possibile rigoroso.

So per esperienza che questa è la fase 1 X 3: se penso di impiegare due settimane ad arrivare alla pubblicazione, probabilmente ce la farò in un mese e mezzo. In questo caso non ho soltanto la revisione propriamente detta da terminare, ma devo anche definire titolo e copertina – aiuto! – e occuparmi dell’impaginazione e di tutte le operazioni che la pubblicazione su Amazon porta con sé. Lo sa bene Maria Teresa Steri, che ha appena dato alle stampe il suo nuovo romanzo, Sarà il nostro segreto. Anche il mio sarà un lavorone, non un lavoretto.

Questo romanzo – una storia di ragazzi che si trovano ad affrontare un problema più grande di loro – è pronto dal 2015. Ne ha passato di tempo nel famoso cassetto dei manoscritti! Ma in realtà non è andata proprio così. Nel periodo in cui ero rappresentata da un agente letterario (ho raccontato la mia esperienza QUI), Veronica c’è rischiò di essere pubblicato da un editore importante. Quando la cosa non andò in porto, il mio agente mi esortò ad accelerare la revisione del nuovo YA, di cui avevo appena terminato la prima stesura. “Battiamo il ferro finché è caldo”, furono le sue parole.

La scelta delle scene si basa su criteri teatrali.
Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay

Sapevo che accelerare la revisione significava non lavorare bene. Tra la prima stesura e la revisione deve intercorrere un lasso di tempo consistente, nelle mie abitudini di mesi. Tempo che serve a ripulire la mente dalla storia appena scritta, a recuperare le energie, a sottoporre il testo a qualche beta reader e a trovare la giusta forma mentis per procedere con le correzioni.

Lo stesso ero convinta di riuscire a proporre una buona storia – e che, adesso gli editori devono trovare storie che non necessitino di editing, per caso? – quindi decisi di assecondare la richiesta del mio agente. Abbreviai a una settimana il tempo di decantazione della storia, mi buttai in una revisione furiosa, e in un paio di settimane gli consegnai il romanzo.

Ora penserete che stia per incolpare lui del fatto che non ottenni la pubblicazione, ma non è così. I motivi per cui una storia viene rifiutata dagli editori possono essere tanti, anche indipendenti dalla sua qualità; inoltre l’agente guadagna la sua percentuale solo piazzando il libro del rappresentato, perciò sono convinta che il suo consiglio fosse offerto in buona fede in quel momento. Io stessa, tornando indietro, rifarei la stessa scelta per tentare di prendere al volo un treno che non passa certo ogni giorno.

Ma il romanzo era pronto? Ovviamente no. Buono sì, a mio parere, ma lontano dall’essere al suo meglio. Qualche giorno fa, quando l’ho ripreso in mano per la “lettura da lettore” – quella su carta, in poltrona, simulando la lettura di un libro qualunque – mi sono balzati all’occhio un paio di errori narrativi macroscopici: per due volte sono arrivata a un momento cruciale della storia, ho interrotto la scena dopo averla soltanto delineata, e ho rimandato il suo racconto a un flashback successivo del personaggio.

Sono inorridita. Perché una scelta così assurda, quando sapevo quanto sia importante drammatizzare tutte le parti di rilievo nella storia? Non credo che lo saprò mai, ma sarà una vera soddisfazione correggere queste parti mal concepite. Per fortuna la lettura mi ha confortata sul fatto che la storia funziona ed è raccontata come piace a me, quindi semaforo verde per il premio Amazon, non appena tutto sarà pronto.

Questa situazione mi ha fatto ripensare ad alcune scelte cruciali dell’autore: innanzitutto cosa inserire nella storia e cosa lasciare fuori, tra le tante possibilità, e poi cosa drammatizzare, cioè la scelta delle scene da sviluppare.

drammatiżżare v. tr. [der. di dramma1]. – Rendere drammatico, dare forma drammatica: dun raccontouna novella; per estens., rappresentare un fatto o sviluppare una narrazione nei modi tipici dell’azione teatrale.
(Vocabolario Treccani)  

La mia reazione orripilata nasceva dall’ingenuità dell’errore, ma la scelta non è sempre così ovvia. L’idea generale è semplice: tutto ciò che può risultare molto interessante per il lettore merita di diventare una scena. Togli il “molto”, e siamo già nella nebbia. La valutazione dell’autore non si basa su criteri del tutto oggettivi, perciò non si può pretendere che sia universale. Ci sono autori che amano rendere centrali le scene di vita quotidiana dei personaggi. Come lettrice, se non ci trovo un significato o una suggestione particolare, non solo non amo queste scene, ma le scorro in velocità per arrivare a parti più interessanti (spero sempre che ce ne siano!). Lo stesso effetto mi fanno frizzi e lazzi, le metafore una sull’altra e l’umorismo troppo ingombrante. Mi fa piacere sorridere o farmi una bella risata ogni tanto, ma nella lettura cerco intensità, non quel tipo di divertimento.

Questi però sono soltanto i miei gusti. Esistono storie come quelle che ho citato capaci di incontrare i gusti di un vasto pubblico. Come autori vale la pena, allora, di drammatizzare la quotidianità? Forse sì, forse no. Può anche essere inevitabile, quando questo è il modo personale dell’autore di percepire la realtà. Mi sembra importante, però, domandarsi mentre si scrive se si sta dando voce a sentimenti, atmosfere e situazioni almeno un po’ universali, andando un passo oltre i propri gusti.

Esistono anche eventi centrali nella storia che svolgono bene la propria funzione rimanendo nei ricordi dei personaggi e nei loro dialoghi, senza essere drammatizzati. Più spesso i flashback diventano vere e proprie scene, oppure prima della fine un singolo flashback mostra l’accaduto in un certo dettaglio, visto che nel frattempo il lettore si sarà incuriosito. Penso per esempio alle scene che mostrano la situazione da cui scaturisce la storia, che può svolgersi molto tempo dopo.

Esistono caratteristiche ambientali che mi fanno subito domandare: e se qui si svolgesse una scena? Per esempio una pioggia scrosciante mi tenta sempre, perché trovo che aggiunga impatto a certi eventi o dialoghi. Lo stesso può valere per il buio, per un’alta scogliera a picco sul mare, per un forte vento. La natura in generale per me è quanto di più intenso e vitale possa esistere, e spero sempre di riuscire a trasmettere le mie sensazioni al lettore.

Raramente vale la pena di drammatizzare le transizioni tra una scena e l’altra. Che il tempo scorra, i personaggi si sveglino la mattina o prendano un taxi, nella maggior parte dei casi è irrilevante per la storia, perciò può essere tagliato in nome di quella sintesi che fa risaltare meglio le parti più importanti del testo. Ma anche questo non è sempre vero. A volte le transizioni permettono di creare mini-scene piacevoli e utili a far conoscere il personaggio o a far progredire la trama.

Secondo me la piacevolezza da sola non basta. Non solo: rischia anche di ingannare il lettore. Se come autore mi soffermo sul tassista un po’strano, o su un battibecco in ascensore, si può immaginare che questo personaggio e questo piccolo evento abbiano un ruolo nella storia. Se così non è, perché si trovano lì?

Questo è un consiglio dei maestri di scrittura creativa che mi sento di sposare in pieno: la storia non è semplicemente un contenitore di numerose scene, ma la specifica storia di specifici personaggi che cercano di risolvere i loro problemi e raggiungere i loro obiettivi. Se ci metto dentro tutto quello che mi piace, solo perché mi piace, è facile che il lettore o l’editore si domandino “questo cosa c’entra?”. Del resto con un po’ di fantasia – quella non ci manca, giusto? – possiamo sempre trovare il modo di infiltrare ciò che desideriamo nelle scene portanti.

Per scegliere cosa drammatizzare e come farlo, è importante anche essere attenti alle nostre reazioni per superarle, quando è il caso. La storia, pensata nella sua versione migliore, può richiedere anche scene che ci fanno soffrire o ci mettono a disagio. Se di fronte a una di queste scene decidiamo di tagliare corto, o di rimandare tutto a un futuro flashback, come ho fatto io, non rendiamo un buon servizio alla storia.   

Quindi scriverò le due scene che nel romanzo avevo così abilmente schivato. Non sarà facile, soprattutto in un caso, ma troverò il modo. Incrocio le dita perché il lavoro di revisione riesca bene e il romanzo possa finalmente uscire a incontrare i lettori. Anche per questo motivo approfitto volentieri della prima edizione di Amazon Storyteller: avevo bisogno di una spinta per portare a termine il lavoro.

Avete anche voi un romanzo papabile per Amazon Storyteller 2020?
I concorsi vi piacciono, oppure vi interessano poco?                   

26 commenti

  • Sandra

    No a Storyteller di Amazon perché non sono un’autrice self.
    Sì al momento ai concorsi, anche se non li amo particolarmente, perché ne ho trovato uno davvero appetibile per il mio romanzo (che è già una serie) per ragazzi ormai nel cassetto da troppo tempo.
    Credo che avvicinarsi a pochi centimetri da un editore big, grazie a un agente, è capitato anche a me, sia un’esperienza brutta, nel senso a me non è rimasto il bello del “cavoli, ce l’ho quasi fatta, mi hanno presa sul serio in considerazione perché valgo ecc.” bensì solo la frustrazione del rifiuto finale e dell’enorme perdita di tempo. Nel mio caso la faccenda si è trascinata a lungo.
    Tocca comunque lavorare con calma, è vero, quando si fa di fretta poi il risultato finale ne risente e prima o poi salta fuori.

    • Grazia

      Forse anche per me la frustrazione è stata maggiore dell’incoraggiamento. Di rifiuti ci si stanca, anche se si sa che sono normali, e sempre si cerca di migliorare eccetera eccetera. Da quando mi autopubblico il mio morale è decisamente più alto, e riesco anche a godermi la semplice gioia di scrivere. In questo senso è stata una scelta davvero benefica.

  • Maria Teresa Steri

    Prima di tutto grazie di cuore per aver citato la mia ultima fatica!
    Concordo sulla difficoltà di scegliere quali scene meritano e quali no, forse è proprio vero che tendiamo a scansare la fatica di certe scene impegnative e quindi a saltarle. E’ solo una questione di esperienza? Secondo me sì. Con il tempo ci si rende conto che alcune drammatizzazioni non si possono evitare e che altre invece sono inutili. Poi hai senz’altro ragione nel dire che a mente lucida (quando passa un po’ di tempo dalla stesura) si ragiona meglio.
    Magari ogni storia ha il suo momento per essere proposta ai lettori, per vedere la luce. Forse la tua aspettava il premio Amazon
    Io ho candidato il mio romanzo, ma devo ammettere di essere super scettica. In ogni caso, tentar non nuoce

    • Grazia

      Sono anch’io più che scettica sulle possibilità di vincerlo! Non dico che sia impossibile perché non sarebbe corretto, visto che ci sono sempre in gioco più forze di quelle che immaginiamo, ma vedo bene le difficoltà, con una prima selezione operata sulla base del numero di acquisti (io ho capito così). Ma non si può mai sapere cosa possa uscirne di buono. E poi questo romanzo aveva proprio bisogno di una spinta fuori dal nido.

  • Giulia Mancini

    Questo concorso costituisce una bella spinta a uscire con un romanzo, soprattutto per chi ha già esperienza self, io sto scrivendo un romanzo, ma non credo di farcela.
    Comunque scegliere le scene da sviluppare è importante, quelle cruciali non puoi schivarle, ma ammetto che per certe scene particolarmente difficili mi viene la tentazione di usare qualche scorciatoia…spesso però ci ritorno anch’io in fase di revisione e capisco che vanno sviluppate.

    • Grazia

      Infatti i problemi si risolvono con la revisione. In prima stesura è normale che venga fuori di tutto. Nel mio caso sembrava che avrei perso un’occasione facendo le cose con calma, ma chissà se ho fatto la scelta giusta.

  • Ariano Geta

    Come avevo già accennato, ormai ho sparato tutte le cartucce
    I premi letterari non mi dispiacciono, ho partecipato ad alcuni, però sono uno che scrive in modo istintivo, quindi mi da un po’ fastidio l’idea di un manoscritto giudicato in base solo a tecnicismi, come se fosse un’equazione matematica e non un narrativa.
    Non voglio dire che non mi preoccupi anch’io di applicare alla narrazione una struttura che possa rendere la storia più interessante dal punto di vista dal lettore: in certe situazioni aggiungo delle scene in cui appare un’immagine che è una metafora della situazione o dello stato d’animo del personaggio; una certa informazione che non può essere rivelata subito, faccio in modo che arrivi al momento giusto ma in maniera credibile, non come un coup de theatre inverosimile. Però, non mi piace neppure impazzire sulla struttura in senso tecnico. Penso che un autore debba anche essere un po’ istintivo.

    • Grazia

      Lo credo anch’io. Conoscere gli aspetti tecnici della scrittura, in un certo senso, serve solo per diventare consapevoli di certi meccanismi, per poi essere liberi di seguire il proprio istinto. Non credo però che nella maggior parte dei concorsi si valuti in base a tecnicismi, o almeno spero non sia così.

  • Marco

    Il concorso di Amazon? No, grazie. A parte che il mio sarà pronto a dicembre. Però mi pare che abbiano scelto modalità che non offrono molte garanzia (e tu mi dirai: “E adesso vuoi pure delle garanzie? Da quando qualcuno può garantire qualcosa?”. Hai ragione!)
    Anni fa ho partecipato alla prima edizione (mi pare che fosse la prima), di “Io scrittore”. Interessante, ma troppo impegnativa. Quindi passo.
    Preferisco stare lontano da concorsi, ma non perché mi consideri superiore. È che se tu hai una certa idea di scrittura, i concorsi tendono a confutarla severamente. Perché tendono ormai a seguire la direzione del vento.

    • Grazia

      Questo è più che certo. Non do ai concorsi un’importanza di quel tipo, niente a che vedere con “vince il migliore” o verifica di qualità, perché queste cose non sono presenti, se non in modo del tutto marginale. Se partecipo, quando sono nella situazione per farlo, è per muovere le acque: le mie, perché mi aiuta a terminare il lavoro con un certo ritmo, e quelle della realtà intorno a me, che potrebbe rivelare possibilità impreviste, di qualunque tipo. Per il resto, non ne varrebbe la pena. IoScrittore, poi, è un impegno gravoso. Dopo tre partecipazioni, ho già dato!

  • Daniele Imperi

    Neanche a me interessa il concorso di Amazon.
    Riguardo alle scene, secondo me se provi a rileggere qualsiasi tuo scritto dopo anni, troverai per forza qualcosa da correggere.
    Ma è anche per questo che esistono gli editor: ti diranno se una certa scena va resa meglio, drammatizzata, ecc.

    • Grazia

      Sarebbe così: l’editor ti aiuta. Se è capace di fare l’editor e se decidi di pagare, non avendo un editore alle spalle. In caso contrario… ci si ingegna.

  • Barbara

    Non ho nessun romanzo papabile per Amazon, e temo ci vorrà ancora parecchio tempo perché io termini di confezionare un romanzo intero (appena possibile chiederò un part-time, ma adesso non è proprio il periodo giusto, con un contratto nuovo).
    Cosa ne penso dei concorsi? Dipende come sono organizzati. Anni fa partecipai a un concorso su racconti dl genere giallo, poliziesco, thriller, anche se ero parecchio scettica sul mio racconto presentato (carino, ma non di più). Non sono stata selezionata e dei selezionati finali troppi erano della zona dove si svolge il concorso. La vincita consisteva in un’antologia cartacea, che però non ho mai visto in vendita, manco su Amazon. Solo sul mercatino dell’usato sono riuscita a recuperare l’antologia di una vecchia edizione (copia non in vendita, forse di qualche addetto ai lavori?). Non sono riuscita a finire la lettura, una noia…
    Poi ho partecipato ad un concorso locale a tema Frankenstein, e come ho raccontato sul blog, la comunicazione è stata a dir poco scadente, ma soprattutto i vincitori hanno presentato racconti che non rispecchiano i “canoni” dettati dal bando di concorso (bando patrocinato dal Comune, proprio loro non lo fanno rispettare un bando?!). Non ci ho proprio capito niente!
    Poi c’è il concorsone DeA Planeta, con i suoi 150 mila euro di promesse. La prima edizione vinta da uno pseudonimo che nascondeva un’autrice fatta e finita, già pubblicata e moglie di. Alla seconda edizione ricordo bene di aver commentato da qualcuno: se non vince la casalinga di Voghera, questo concorso si rivelerà una volta per tutte una fuffa. Chi ha vinto? Uno pseudonimo che nasconde un’autrice fatta e finita, già pubblicata da Fazi, Bompiani e Mondadori… Tzè, vabbè, ciaone proprio.
    L’ultimo concorso a cui ho partecipato, la scorsa estate, non prometteva grandi cose, forse una revisione professionale, forse una pubblicazione sul sito web, se proprio proprio sulla rivista. Mi interessava la revisione, poteva essere interessante. Non ho sentito nulla, zero assoluto. Allora ho pensato di pubblicarlo sul blog, ma dovevo essere sicura che fosse stato scartato. Su consiglio di Sandra, mi sono buttata e ho scritto alla redazione, inoltrandogli la mail originale e chiedendo se potevo considerarmi fuori. L’hanno letto, mi hanno sommerso di complimenti, mi hanno inviato la liberatoria, e il 9 giugno sarà in edicola. Mi hanno anche chiesto di inviargli pure altre storie. E ci sto pensando, prendendo appunti, scrivendo.

    • Grazia

      Bello questo viaggio tra le tue esperienze di concorsi. Dalla maggior parte non si tira fuori niente di particolare, salvo la soddisfazione quando ci si piazza bene. Il rinforzo all’autostima non guasta, ma non rende partecipare ai concorsi un’attività utile o chissà quanto interessante per la carriera. Poi c’è la volta in cui invece qualcosa di buono arriva, magari non nella forma che ti aspetti – nella vita non è spesso così? Quando ho vinto il concorso Il Racconto nel Cassetto, anni fa, il premio erano 3500 euro. ‘Sti ca…voli!

  • Luz

    Molto interessante il tuo post sull’opportunità di drammatizzare le scene, sull’evitare ridondanze. Mi riporta al fatto che la migliore scrittura, o quella preferibile, sia quella in cui l’editing abbia effettivamente asciugato la narrazione.
    Sto per pubblicare finalmente anch’io. Manca pochissimo. Voglio pubblicare in giugno, anche se ero tentata di fare a settembre. Mi sono detta che in tanti cercano di leggere proprio sul termine degli impegni scolastici dei propri figli, quindi la mia visione è dettata dal mio stesso mestiere. Speriamo bene.
    Ho pensato di partecipare a questo concorso Amazon, ma mi frena l’obbligo di registrare l’opera nel circuito KDP, prima vorrei farla circolare liberamente. Devo rifletterci su. Tu cosa ne pensi?

    • Grazia

      Sono dubbi che ho anch’io. Mi verrebbe da dirti che il romanzo puoi farlo circolare liberamente anche dopo il concorso, senza problemi, ma dipende da cosa hai in mente. Dopo, l’esclusiva si rinnova ogni 3 mesi. Si può scegliere, ma anche no, il rinnovo automatico nella transazione di inserimento del libro su KDP. Insomma si può sempre cambiare, al peggio si aspetta un po’. Io stavo valutando se uscire dall’esclusiva per Goran quando mi hanno proposto di entrare nelle offerte del mese di marzo. Adesso mi hanno proposto di entrare per sei mesi tra i Prime Reading, perciò aspetto a fare cambiamenti. So però che ci sono promozioni simili anche su altre piattaforme. Per fortuna non sono scelte che cambiano davvero il percorso di un libro; almeno io la penso così.

  • Cristina

    Le tue parole sull’inserimento delle scene nei romanzi sono sacrosante. A me è capitato di intestardirmi in passato perché volevo inserire delle scene che consideravo fantastiche e che invece erano soltanto lunghe, inutili e noiose. Mi ricordo di una scena di caccia al cinghiale che avevo poi tagliato senza pietà… e ancora adesso c’è il retropensiero, ah, quella bella scena di caccia.
    Per quanto riguarda il concorso Amazon, avrei pronto il romanzo della rivoluzione francese, “I serpenti e la fenice”, anche se mancano l’inserimento di alcune correzioni – è stato letto e riletto, ma non si finisce mai – e l’approntamento della copertina, operazione non da poco. Però sono fortemente indecisa per alcuni motivi: è il primo di una serie di quattro romanzi, e quindi in un certo senso farei terra bruciata dei seguiti. Il secondo dubbio è che non valga la pena perché scrivo un genere di nicchia, che interessa a pochi. Il terzo è che non credo molto nei concorsi, in senso generale e non particolare. Devo fare una riflessione ulteriore!

  • Cristina

    Ho appena visionato l’intervista di Stefania Crepaldi a Riccardo Bruni a proposito del concorso, e i miei dubbi si sono dissolti. Se vuoi, però, ne possiamo parlare meglio in pvt.

  • Marina Guarneri

    Io sono una sostenitrice dei concorsi, l’ho sempre detto e ne ho anche scritto: per me sono un buon punto di partenza e uno stimolo importante. Da un po’ di tempo a questa parte, scrivo senza prefiggermi un obiettivo, non guardo più se ci sono competizioni letterarie in giro, ho perso l’interesse, ma forse solo per ora. Chissà domani… Intanto ti auguro in bocca al lupo per questo di Amazon.

  • Emanuela Navone

    È proprio quello che è successo a me riprendendo in mano non uno ma ben due romanzi terminati al 70%, quindi capisco in pieno tutto ciò che hai scritto. Purtroppo non potrò partecipare al concorso di Amazon, non credo di avere il tempo sufficiente per terminare almeno uno dei due romanzi, farlo decantare eccetera… però trovo che sia un ottimo stimolo!

    • Grazia

      Anch’io lo vedo così: uno stimolo a scrivere di più, a scrivere bene, a trovare lettori. Nel tempo ho iniziato a considerare tutto uno strumento finalizzato a questo. Prese singolarmente, le cose che ho fatto si sono rivelate molto meno utili di quanto sperassi, ma nell’insieme hanno creato movimento ed evoluzione. Questo per me è più importante di qualunque traguardo tagliato.

  • Rebecca Eriksson

    Se c’è una cosa che ho imparato dal mondo del lavoro è che se una cosa non piace a me, non piacerà nemmeno al cliente.
    Se la faccio in fretta, se non ho tempo di revisionarla, allora sono sicura che qualche rimpianto lo avrò.

    • Grazia

      Infatti quando si ha la sensazione che qualcosa non funzioni, si deve evitare di ragionarci su fino a riuscire a convincersi del contrario. Di solito la prima impressione dice la verità.

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