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10 realtà da accettare per lo scrittore consapevole

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Per continuare a scrivere, e farlo con piacere

L’argomento per questo post è nato nel corso di uno dei miei momenti-flash del tipo “se penso a come vedevo X diversamente, prima!”, dove “prima” è il periodo in cui avevo da poco iniziato a scrivere, e combinando tutte le caz… stupidaggini adatte a quella fase. Dodici anni dopo, eccomi qui a sorriderci sopra, più con simpatia che altro. Ero così carica di ingenuo zelo che non me la sento di rimproverarmi nemmeno per l’errore più sciocco.

Da qualche anno il termine “consapevolezza” è una compagnia costante per me. Non nel senso che l’ho acquisita una volta per tutte – magari! – ma perché cerco di applicarla il più possibile e di lasciarla dilagare naturalmente anche negli spazi cui ancora presto scarsa attenzione.

Non credo di esagerare se dico che la nostra realtà, intesa come il quadro in cui si svolge la nostra vita, è definita e determinata in gran parte dal nostro livello di consapevolezza. Quello di cui non siamo consapevoli esiste, ma non esiste per noi. Possiamo riconoscerlo in teoria, senza che questo cambi il modo in cui ci sentiamo, né le nostre azioni.

Un aspetto interessante della consapevolezza è il suo legame a filo doppio con il presente. Il passato non esiste più; il futuro non esiste ancora, se mai esisterà così come lo immaginiamo. Possiamo essere consapevoli soltanto del presente e nel presente.

Lo scrittore consapevole lascia volare la fantasia, ma conosce bene la realtà.
Opere dello scultore friulano Alfredo Pecile, realizzate con materiali di riciclo. Aleggiano numerose nella biblioteca di Maniago.

Chi è lo scrittore consapevole? Quello che ha capito come funziona la scrittura, dentro di lui e al di fuori. In altre parole quello che ha, spesso con fatica, dissipato le tenebre dell’ignoranza, causa prima (ma non unica) dell’inconsapevolezza.

Il punto è che essere consapevoli non è soltanto bello e giusto, ma importante in ogni momento della vita quotidiana. Fa sentire bene, aiuta a compiere le scelte migliori e ad ammortizzare gli urti che la vita ci impone. Quindi ecco l’elenco delle consapevolezze che a mio parere sono fondamentali per qualunque scrittore.

Periodi su e periodi giù

Non c’è modo di evitare questo saliscendi, perciò tanto vale prenderlo con filosofia. In parte un momento down può nascere dalla stanchezza, per esempio dopo avere portato a termine un lavoro impegnativo come la revisione; ma non è detto che questa sia la causa. Semplicemente le nostre energie creative seguono un percorso proprio, soltanto in parte controllabile attraverso il riposo, il movimento fisico, l’alimentazione, gli stimoli. Quando continua a cozzare contro l’impossibilità di scrivere, lo scrittore consapevole fa un passo indietro.

Nei primi tempi mi inquietavano questi periodi di inattività forzata. Temevo sempre – lo capisco adesso – che se avessi lasciato allontanare la scrittura, poi l’avrei perduta per sempre. Non pensavo che esiste un tempo per agire e un tempo per preparare l’azione, anche nel silenzio.

In ogni caso la mia era una preoccupazione inutile: non c’è modo di trattenere la scrittura afferrandola per la collottola. Anzi, più si cerca di stringerla con le mani ad artiglio, più i risultati latitano e cresce l’incertezza (intendo con “risultati” scrivere spesso, scrivere con gioia). Lo scrittore consapevole sa che la voglia di scrivere e le idee per farlo torneranno, se sono ancora vive. Se non lo sono, arriverà qualche nuova attività a sostituirle.

Accettare gli alti e i bassi della nostra passione corrisponde a sintonizzarci con la realtà. L’Universo, le stagioni, le nostre vite seguono ritmi e cicli con cui possiamo essere in armonia, oppure procedere per forzature, ciechi e sordi a tutto ciò che esula dalla nostra volontà. Avete mai notato come scorrono facilmente le cose che portiamo a termine nel momento adatto e con l’atteggiamento interiore giusto, rispetto a quelle che facciamo in base a decisioni prese nel chiuso delle nostre teste?   

Ispirazione e lavoro

L’ispirazione esiste. Non produciamo idee soltanto sulla base della nostra volontà. Sul luogo di origine dell’ispirazione ognuno può avere le sue idee, ma una cosa considero certa: l’ispirazione bisogna guadagnarsela con il lavoro. Chi la aspetta riflettendo soltanto non sta lavorando bene, perché le idee non sono esclusivamente un parto mentale.

Come lavora, allora, lo scrittore consapevole? Secondo me i suoi strumenti sono la pazienza, la pratica frequente dello scrivere (ma anche lo stacco totale, a volte), la raccolta di impressioni dalla vita quotidiana, e soprattutto il coltivare le condizioni che contribuiscono al suo equilibrio generale, come l’attività fisica, il contatto con la natura e la ricerca di momenti nutrienti al di fuori dell’abitudine.

L’editore non è un simbolo di qualità

L’agognato editore, quando ne troviamo uno, non è proprio come lo avevamo immaginato. Può essere un filtro che elimina dal mercato i manoscritti di qualità peggiore, ma… avete presente l’idea accattivante “se sono bravo, un editore mi noterà”? Ecco, non funziona così.

L’editore è un imprenditore. In un mondo ideale, in cui i lettori fossero più numerosi, disposti a spendere e possibilisti nella scelta delle loro letture, probabilmente (dico probabilmente) farebbe scelte che premiano chi scrive bene – non per chi crede di scrivere bene, ma questo è un altro discorso. Nel mondo reale, l’editore deve far quadrare il bilancio come un qualunque commerciante, e lo fa puntando principalmente sui soliti noti. Il piccolo editore, che invece non può attirare l’attenzione dei soliti noti, sarà più interessato agli autori sconosciuti, ma in cambio avrà mezzi ridotti per farlo conoscere.

Lo scrittore consapevole sa che i rifiuti editoriali non sono il marchio della mancanza di talento e la firma di un contratto non significa avere la strada spianata. Cercherà le conferme della qualità di ciò che scrive prima di tutto nelle valutazioni dei beta reader e degli eventuali editor.

I lettori esistono, e sono tanti…

In Italia si scrive molto e si legge poco. A furia di sentirlo dire, credo che tutti noi ci siamo convinti di vivere nell’Universo della carenza, anziché in quello dell’abbondanza. Metti questo insieme alle difficoltà che si incontrano a scrivere qualcosa di decente e a quelle ancora più grandi per trovare qualcuno interessato a ciò che scriviamo, ed ecco che il quadro appare chiaro: i posti liberi sul treno della scrittura sono pochi.

Logica conseguenza di quest’idea è vedere le altre persone che ambiscono a un posto come concorrenti da battere. Se io scredito il tuo romanzo con una pessima recensione, venderò una copia in più del mio. Se scopro qualcosa di utile, è meglio che lo tenga per me, così i miei colleghi resteranno un passo indietro.

Ridicolo, vero? Ma non così incredibile, se si pensa di essere nell’Universo della carenza, come dicevo. In realtà la collaborazione tra colleghi, con i rapporti che ne nascono, è tra gli aspetti più gratificanti dello scrivere, e la condivisione delle conoscenze avvantaggia tutti. Lo scrittore consapevole lo sa, e non corre da solo.

…ma non è facile trovarli!

Il fatto che i lettori siano tanti (nel 2019 sono state vendute 77,4 milioni di copie di libri, dopotutto) non rende facile proporre loro le storie che scriviamo. Con o senza un editore alle spalle, il lavoro per intercettare i lettori e condurli per mano, uno alla volta, ad apprezzarci è un lavoro impegnativo e costante, a volte faticoso. Nessuno ci promuoverà mai con la stessa cura che noi dedichiamo a farci conoscere.

C’è di buono che questa operazione, inizialmente intrapresa tappandosi il naso – lo scrittore scrive, non vende, giusto? – può diventare un semplice aspetto del nostro lavoro, gratificante quanto una buona revisione, oppure una ricerca approfondita per trovare dettagli per le nostre storie. La motivazione è forte; in fondo quasi tutti scriviamo per essere letti, non per il gusto di parlare da soli. Che questo corrisponda implicitamente a copie vendute e guadagni è vero, ma può non essere l’unico criterio importante. (Dell’autore renitente alla promozione delle sue opere parla anche Marco Freccero QUI.)       

Amare il percorso, non il traguardo

Concetto trito e ritrito, mai facile da applicare. Non si scrive per vendere tante copie, fare soldi e diventare famosi; almeno non è questo lo scopo principale, o si smetterà presto. Si scrive per il piacere di farlo e di occuparsi delle tante, dolci fatiche che questo comporta. Il resto, quando arriva, è un bel regalo.

Il concetto del distacco dai frutti del proprio lavoro e delle proprie azioni è talmente fondamentale che se ne parla diffusamente in molti testi sacri, tra cui la Baghavad Gita, da cui il Mahatma Gandhi ha tratto uno dei suoi principi ispiratori. Applicare il distacco non significa essere indifferenti ai risultati o non desiderarli, ma essere capaci di mettere tutte le proprie abilità ed energie al servizio della qualità di ciò che si fa, a prescindere dal resto, come ci ricorda l’attore Will Smith in questo breve video.

Non si può piacere a tutti

Comunque si scriva, ci sarà sempre qualcuno che non apprezza il nostro modo di scrivere. A volte lo farà in modo maleducato e urticante con una recensione; altre volte lo farà non rispondendo nemmeno al messaggio con cui gli abbiamo proposto il nostro manoscritto.

Non siamo l’ombelico del mondo, insomma. Nessuno ci viene a cercare, di solito, e nessuno è tenuto a leggere le nostre storie e apprezzarle come crediamo meritino di essere apprezzate. Siamo in tanti a scrivere. Quello che possiamo fare è dare il nostro meglio perché chi si avvicina ai nostri scritti, in autonomia o perché attratto dalle nostre manovre promozionali, abbia buoni motivi per non andarsene.      

I risultati ci sono, sempre

L’importante è saperli riconoscere anche quando sembrano non soddisfare le nostre limitate, e a volte mal mirate, aspettative.

Scrivere è anche curiosità, esplorazione, conoscenza di se stessi. Le sorprese non finiscono mai. Non ho mai pensato seriamente di scrivere la biografia di qualcuno, eppure eccomi qui alle prese con la biografia di Amela (ne parlavo nell’articolo Scrivere la biografia). Se è per questo non immaginavo nemmeno di pubblicare a luglio Tutti gli amori imperfetti ma, quando si è materializzato il premio Amazon Storyteller 2020, ho preso l’occasione al volo per portare a termine il romanzo, allora non ancora sottoposto a revisione. Mi piace questa vita piena di imprevisti!

Inutile dire che lo “scrittore consapevole” di cui parlo è una persona ideale, di quelle che a scuola starebbero sulle scatole a tutti. Noi esseri umani normali siamo un po’ meno perfetti e forse un po’ più simpatici, con le nostre lotte, conquiste e ricadute.

Siete d’accordo sull’importanza della consapevolezza?
Vi viene in mente altro che lo scrittore consapevole dovrebbe capire e accettare?  

 

32 commenti

  • Ariano Geta

    Perfettamente d’accordo su tutti i punti. Nel mio piccolo è fondamentale l’idea del percorso rispetto al traguardo, ovvero che conta sentirsi appagati dall’aver fatto qualcosa che da soddisfazione in se stessa, prescindendo se venderà oppure no.
    E comunque ho letto un’intervista a uno sceneggiatore professionista in cui diceva che se uno ama scrivere storie non c’è verso di fermarlo, perché è una “ossessione” che non si lascia scoraggiare da niente.

    • Grazia

      Ho l’impressione che quello sceneggiatore abbia ragione. Ho detto tante volte che avrei potuto smettere di scrivere per motivi diversi, ma qualche giorno dopo avere terminato una storia, inizio sempre a cercarne un’altra. Scrivere mi fa stare bene, mi rende felice.

  • Sandra

    Proprio questa mattina, su Instagram in direct, mi sono messa a chiacchierare con un autore abbastanza noto, che ha apprezzato la mia story e mi ha contattata. A un certo punto mi dice di essere disponibile se volevo una mano per cercare un editore. Ho rifiutato, a parte che non ho testi da piazzare ora, ma ho dato voce ai pensieri dell’ultimo anno “la ricerca dell’editore big mi ha logorata al punto che ho deciso di mollare”. Perché come dici tu no, non funziona che se sei bravo ti noteranno. Immodestamente non ho più bisogno di sentirmi dire se e quanto valgo, lo so, questa è di sicuro la più grande delle consapevolezze.
    Focalizzarsi sul percorso è fondamentale.

    • Grazia

      Vedo che sei diventata disinvolta su Instagram. Interiorizzare i rifiuti degli editori fino a convincersi che non si vale è molto dannoso e alla lunga fa passare la voglia di scrivere.

  • Elena

    Ciao Grazia, mi trovo molto in sintonia con te in questo momento e con il tuo percorso. La consapevolezza è questione fondamentale in ogni ambito della vita è ciò che ti rende forte di fronte alle asperità e ti fa stare con i piedi per terra quando sembra che tutto vada per il meglio. Credo che per una scrittrice la consapevolezza più grande sia quella della possibilità del fallimento. Inteso non come scoprire di aver scritto un libro brutto (esistono forse libri brutti? O forse solo libri mal scritti?) ma di aver scelto l’editore sbagliato, il momento sbagliato, il modo sbagliato di scriverlo. Insomma, non tutto ciò che è importante dipende da noi. Questa consapevolezza a me pare sia molto utile. Per me lo è di sicuro. Saluti

    • Grazia

      Non tutto dipende da noi, è vero. Questa è un’altra consapevolezza preziosa. Finché crediamo di costruire la nostra vita con i “mattoncini” di nostra scelta, senza vedere altro, non facciamo altro che imbatterci in ostacoli e false vittorie.

    • Giulia Mancini

      Anch’io ho raggiunto una preziosa consapevolezza di cosa significhi scrivere per me. Se penso a cosa pensavo all’inizio del percorso mi viene da ridere, avevo un’idea del tutto ingenua degli scrittori: scrivono un romanzo e poi aspettano nel loro castello dorato che piovano i proventi del loro duro lavoro!
      Aver scritto diversi romanzi mi ha consentito di crescere e di capire molto di me stessa e del mondo della scrittura. Non mi disturba promuovermi, anzi credo sia la parte simpatica del lavoro, è giusto farlo se voglio farmi conoscere e far leggere i miei libri, con la consapevolezza che potrebbe anche non funzionare…

  • Daniele Imperi

    In linea generale sono d’accordo, diciamo più sul fatto che bisogna essere consapevoli (di cosa ognuno dirà la propria) che su tutti i punti esposti. Io sono consapevole che non sarà facile pubblicare, che forse non pubblicherò mai un romanzo, che potrei non finirne nemmeno uno. Per il resto sono consapevole che prima di tutto devo scrivere e impegnarmi. Il resto si vedrà

  • Maria Teresa Steri

    Sottoscrivo tutti i tuoi punti. Arrivare a certe conclusioni può dare molta serenità, soprattutto perché ci si libera di tante smanie o ansie legate alla scrittura. Alcuni punti per me sono meno facili di altri, diciamo che lo considero un lavoro costante su me stessa più che un traguardo raggiunto

  • Lisa Agosti

    Quanta saggezza! Sarà la vecchiaia che avanza? ;P
    Secondo me la fase iniziale, quella più inconsapevole, è anche la più divertente.
    “Magari sono nata imparata e scoprirò di essere una scrittrice fantastica!” poi leggi la prima stesura del tuo primo mezzo romanzo e si infrange il sogno per sempre… e cominci a presentarti al computer ogni giorno alla stessa ora e fare il conteggio delle parole, diventa un lavoro, una schiavitù, con meravigliosi momenti di ispirazione e altri di depressione cosmica. Per non parlare del macigno in testa che arriva quando è ora di affrontare la revisione!
    E poi scopri il mondo dell’editoria…
    Va beh basta perché mi sta passando la voglia di riprovarci!
    Quel che sto cercando di dire è che quegli errori che ti fanno sorridere oggi ti hanno anche dato tanti momenti di ingenua felicità!

    • Grazia

      Eccome se me li hanno dati! Infatti va bene così, serve avere un entusiasmo folle per partire su di giri. Però mi piace di più adesso. Sono una fan nata della realtà-così-com’è, del tipo “o ami le cose come sono, o stai amando il nulla”. Non so se ti ho reso l’idea.

  • Luz

    Fra tutti questi spunti, voglio prenderne in particolare uno: amare il percorso, non il traguardo.
    È un po’ quello che succede con il teatro, nel lungo (o breve, ma sempre intenso) percorso di costruzione di una messa in scena, c’è praticamente tutto. In particolare, trattandosi di un tipo di performance in cui la nostra psiche è sottoposto a una profonda sollecitazione, c’è tutto quel costruire e “costruirsi” assieme agli altri. È un lavoro corale, ma ne viene fuori un essere che ha vita propria.
    La scrittura, operazione alquanto difficile, ha molta della sua bellezza nella sua costruzione, hai perfettamente ragione.

  • Max

    Ciao Grazia …prima te lo chiedo perché non conoscendoti proprio così tanto non vorrei sembrarti inopportuno.
    Ho scritto una “recensione ” lo virgoletto perché il termine mi sembra esagerato riferito a me , di un libro di una blogger a mio avviso molto speciale che merita un sacco di attenzione.
    Mi piacerebbe la leggessi…tutto qua.
    Se vuoi ti lascio il Link.
    In pratica ti sto chiedendo il permesso di farlo.
    Ti ringrazio qualunque sarà la tua risposta.

  • Rebecca Eriksson

    Io arranco ancora nella parte creativa, per convincermi a finire uno scritto.
    Però leggo blog come il tuo, sia italiani che internazionali e la situazione raffigurata per gli aspiranti scrittori è più o meno sempre questa che illustri anche tu.
    …ed io che mi sono fatta sempre ingannare dalla televisione, dove basta inserire qualcosa in internet per diventare immediatamente delle star internazionali

  • Tenar

    Credo che la cosa fondamentale sia amare ciò che si fa.
    La parte della ricerca dell’editore o della promozione è, almeno per me, la più stressante, quella che mi fa ciclicamente pensare non di non scrivere più, ma di farlo solo per un gruppetto di amici. Come dici tu bisogna essere consapevoli e calibrare i propri sforzi e i propri investimenti (non solo emotivi, nel caso si ricorra ad esempio a un editor). Per il momento con la scrittura io voglio principalmente rilassarmi. Se poi viene altro, meglio

    • Grazia

      E’ interessante sentire i pareri altrui, perché ognuno vive la scrittura a suo modo. Rilassarsi, scrivere per un gruppetto di amici è una possibilità. Meglio non fare inventare agli altri cosa significa la parola “successo”. Amare ciò che si fa è davvero la cosa più importante.

  • Cristina

    Ho letto il tuo articolo non appena l’avevi pubblicato, ma arrivo solo ora a commentare causa i soliti tempi biblici che mi caratterizzano. Di questi argomenti abbiamo parlato diffusamente proprio pochissimo tempo fa Aggiungo soltanto un’aggravante al fatto di screditare gli altri: lo fanno persino gli scrittori affermati che non avrebbero nessun “bisogno” di farlo! Al di là della meschinità di un simile atteggiamento, c’è anche molta invidia e insicurezza, come ammetteva Carrère a proposito di Houellebecq in un’intervista.

    • Grazia

      Invidia, certo, insieme al fatto di sentirsi ingiustamente ignorati, forse. Serve serenità per portare avanti il proprio lavoro senza curarsi di ciò che succede intorno e senza fare confronti.

  • Marco Lazzara

    Pensa che più o meno tutto quello di cui hai parlato è alla base di un romanzo breve presente nel mio ultimo libro.
    Racconta di uno scrittore che ha pubblicato due romanzi (uno per una piccola C.E., uno in self) passati inosservati. Il successo è arrivato solo dopo aver partecipato a un concorso indetto da una grossa C.E., per cui si è inventato uno pseudonimo femminile con cui firmare una serie di romanzi rosa, di cui però si vergogna profondamente. Il che dà poi il via a tutta una serie di disavventure…
    Ma alla fine raggiunge la consapevolezza di cui parli nel post. Se posso permettermi anche una citazione dal racconto:

    “Scrivere è un atto d’amore, ma non per essere ammirati. Bisogna amare, ma non amare per essere amati di rimando. Scrivere deve essere anzitutto un qualcosa per cui divertirsi.”

  • Barbara

    Questo post è da stampare e appendere. Ma siccome è lungo e io sono ciecata, dovresti farci un’infografica riassuntiva, così che questi capisaldi siano lì belli in vista ogni giorno, tutte le volte che si alza gli occhi al cielo dalla disperazione mentre si sta scrivendo. O revisionando. O leggendo una recensione critica. Eccetera.
    Non so cosa ci aggiungerei. La consapevolezza che il lettore è importante, anche quando non è un nostro lettore. Troppo spesso vedo ridicolizzati i lettori per le loro scelte, che non comprendono ciò che scriviamo o leggiamo noi. Rifacendosi a Pennac, il lettore ha diritto di leggere ciò che vuole e invece di deriderlo, andrebbe analizzata e compresa la sua scelta. Non per orientarci nella scrittura (si scrive ciò che si ha da scrivere o ciò che ci piace scrivere) ma per capire anche come si muove la società ed essere consapevoli delle preferenze altrui.

  • Grazia

    Sono d’accordo. Mi sembra una strana incoerenza quella per cui ogni autore cerca affannosamente lettori, e poi è pronto a deriderli se non apprezzano il suo lavoro. (Infografica riassuntiva… mumble…)

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