Laozi taoismo
Maestri,  Vita da scrittori (e non)

Leggiamo insieme il Tao tê ching?

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È un’idea strana… o forse no.

Ci sono libri che mettono soggezione. Ti capita di sentirli nominare tante volte, con il rispetto che si deve a ciò che è importante, antico e sacro, magari anche misterioso nei suoi significati, ed ecco che all’interesse si unisce la voglia di rimandare la lettura. Non vi capita mai? Per me il Tao tê ching è stato a lungo quel tipo di libro. Sapevo però che avrei finito con il leggerlo prima o poi, per due motivi: nel mio percorso personale le filosofie orientali hanno un ruolo importante, e negli ultimi anni ho messo da parte la soggezione per affrontare letture come la Bhagavadgītā e il Mahābhārata, per esempio (l’ultimo in versione riassunta, vista la lunghezza poderosa), che mi hanno dato molto. Letture niente affatto inaccessibili, tra l’altro.

È venuto così, un paio d’anni fa, anche il momento del Tao tê ching, il «Libro della Via e della Virtù». Avevo scelto l’edizione Adelphi, che purtroppo non mi ha molto soddisfatta. Nella traduzione dal cinese del sinologo olandese J.J.L. Duyvendak, il testo non è ben comprensibile e necessita di note e spiegazioni. Mi è sembrata inopportuna la scelta di ridurle al minimo per dare spazio alle ragioni che hanno spinto il traduttore a scegliere per i vari ideogrammi un’interpretazione piuttosto che un’altra. Non essendo interessata a questi dettagli tecnici, ho terminato la lettura del libro con un punto interrogativo.

Del Tao tê ching non si sa quasi niente di certo. Lo si attribuisce a Laozi (o Lao Tzu, Lao Tse, Lao Tze, Lao Tzi), archivista reale di Chou, nonché filosofo, che lo avrebbe scritto tra il IV e il VI secolo a.C., ma si tratta di ipotesi più che di vere notizie. Il testo stesso potrebbe essere stato rimaneggiato a più riprese, perché scritto su tavolette non ben fissate le une alle altre. Da queste nebbie più o meno fitte emerge una dottrina che dà origine al taoismo e sfida il tempo fino ad arrivare ai giorni nostri, senza perdere niente della sua lucentezza.      

Incontro tra Confucio e il vecchio Laozi, autore del Tao Te Ching.
Incontro tra Confucio e il vecchio Laozi

Il Tao (道, Dào – letteralmente la Via o il Sentiero) è uno dei principali concetti alla base del pensiero cinese. Si tratta di un termine di difficile traduzione, inizialmente concepito come una potenza inesauribile che sfugge a qualunque tentativo di definizione. Il carattere cinese […] esprime innanzitutto il concetto di movimento, di flusso: dunque si può tentare di definire il Tao come l’eterna, essenziale e fondamentale forza che scorre perennemente attraverso tutta la materia dell’Universo. (fonte: Wikipedia)

Con il Tao tê ching, però, non avevo ancora finito. L’argomento è tornato alla riscossa in seguito alla lettura del libro L’arte del chi kung (ovvero del qi gong) di Wong Kiew Kit, e di nuovo quando George Thompson, nella newsletter del sito Taoist Wellness Online, ha suggerito di leggere La saggezza del Tao di Wayne W. Dyer. A quel punto mi sono detta: perché non riprovarci? Quindi voilà, senza ulteriori esitazioni ecco acquistato il libro di Dyer.

Vi dico subito che non ho ancora finito di leggerlo – tenendone in ballo quattro o cinque, impiego ere geologiche a terminarli – ma posso dire che questa traduzione del Tao tê ching è molto più accessibile. Non apprezzo molto i commenti dell’autore, ma non si può avere tutto. A sorpresa, mi è venuta voglia di proporre anche a voi, a puntate, gli ottantuno brevi capitoli che compongono il Tao tê ching. In questo modo uscirò senza dubbio dal percorso più prevedibile del blog, che però proprio a questo scopo avevo voluto chiamare Scrivere Vivere: scrittura E vita. Anche il Tao tê ching parla di vita, quella reale, non il paradiso delle idee astratte.

Abbandono l’argomento scrittura? Certo che no. Tornerò a parlarne ogni volta che avrò da dire qualcosa di nuovo e interessante, per voi e per me. Intanto, con ogni “puntata” del Tao tê ching troverete anche un mio breve commento. Non sarà un’analisi, né il commento di un’esperta, ma solo qualche impressione particolarmente vivida. Chissà cosa ne verrà fuori. Si parte, vi va?

1

Il Tao di cui si può parlare
non è l’eterno Tao.
Il nome che si può pronunciare
non è lo stesso nome.

Il Tao ha un nome e al tempo stesso ne è privo.
Senza nome è l’origine di ogni cosa;
con un nome è la madre delle Diecimila creature.

Chi non desidera riesce a cogliere il mistero,
chi desidera ne vede solo le manifestazioni.

E il mistero stesso è la porta
che conduce a ogni conoscenza.

Da questo primo capitolo emergono per me tre parole: nome, desiderio e mistero.

Il nome è un’etichetta. Non dice molto su quanto ci sta sotto, ma può darmi l’illusione opposta, di comprendere e possedere. Una volta apposta la mia etichetta, sono pronta a sistemare il materiale nel cassetto giusto della mia vita, della mia mente. Anche se in realtà non lo conosco affatto. (Scrivendo, la questione dei nomi dei personaggi è fondamentale, forse per un motivo simile.)

Poi, desiderio. Che il desiderio sia una trappola sono in tanti a dirlo, nel vasto ambito della saggezza mondiale. La tensione insita nel desiderare, che parte da una mancanza percepita, allontana l’oggetto del desiderio invece di avvicinarlo. Meglio lavorare molto per raggiungere i propri obiettivi, e desiderare poco? Mi sa di sì. Ma anche sugli obiettivi ci sarà da dire, più avanti.  

Ultimo, il mistero. Perché il mistero è… tutto. Questo non è materiale non divulgabile in quanto segreto; anzi, è materiale che chiede di essere indagato. Le filosofie orientali, per quanto le conosco, hanno tutte questo tipo di approccio: non devi credere a niente senza prima averlo messo alla prova. Ma il mistero, più lo indaghi, più si rivela profondo.

Prima di chiudere, ringrazio anche qui, dopo averlo fatto sui social, Francesca del sito ZeBuk, che ha recensito il mio romanzo Tutti gli amori imperfetti. Grazie per avergli dato spazio, e grazie per avere apprezzato la storia di Mac e Viola. È sempre emozionante scoprire che un nuovo lettore si è sentito collegato a una delle mie storie.

Avete letto il Tao tê ching? Questo primo capitolo vi suggerisce qualcosa?

24 commenti

  • Giulia Mancini

    No, non l’ho letto, tuttavia da diversi anni sono attratta dalle filosofie orientali, diciamo che attingo da esse quello che sento a me più congeniale. È davvero particolare il concetto espresso sul desiderio, forse è davvero una trappola, certo che senza però forse restiamo immobili…

    • Grazia

      Credo che ci sia differenza tra il desiderio-forzatura, che parte dalla non accettazione di ciò che è, e il desiderio-stimolo. Non è una differenza facile da spiegare, ma la sentiamo dentro di noi, o almeno mi sembra di riconoscerla in me… anche se poi comportarmi di conseguenza non è per niente facile. Questo si collega a un discorso più ampio su come manifestare ciò che si vuole attirare nella propria vita, che io sto iniziando a capire soltanto ora, dopo anni di totale buio. Meriterebbe un discorso a parte.

  • Ariano Geta

    Per me sarà un “ripasso” perché l’ho letto molti anni fa, però nel mio caso era l’edizione della Newton Compton. Se ti piace l’argomento della spiritualità orientale, ti consiglio anche “Dice lo zen”, fumetto di Tai Chi Chung molto evocativo sulla meditazione zen.

  • Elena

    Lessi il Tao Te Ching molti anni fa. Un testo esoterico di difficile comprensione. Ripercorro volentieri con te la sua storia, perché è stracolmo di saggezza. Buona domenica Grazia

    • Grazia

      In effetti successivamente ho pensato di aggregare i capitoli, altrimenti sarà la storia infinita, tanto più che scriverò anche di altro nel frattempo. Vedremo!

  • Brunilde

    Ti seguirò con molto piacere.
    Il mio percorso di ricerca mi ha portato alla meditazione e al tai chi, facendomi avvicinare a un mondo – anche di letture – che forse non mi ha cambiato la vita ma mi ha regalato uno sguardo diverso col quale lavorare su me stessa e affrontare il quotidiano.
    Dciamo che mi ha aiutato a cercare il nocciolo, l’essenza delle cose. Non è poco…ma il cammino è ancora lungo.

    • Grazia

      Anche tu pratichi tai chi? Yang o Chen? Sono curiosa… non non mi capita mai di imbattermi in qualche compagno di pratica, se non con lo yoga. Il cammino… non finisce, più o meno.

  • Brunilde

    Stile Chen . Cinque anni di scuola con esami finali. Sono arrivata a fascia rossa di secondo livello pur essendo fondamentalmente una vera imbranata. Poi ho mollato ma pratico ancora fa ormai parte del mio ” bagaglio esistenziale “. Durante il lockdown la mia insegnante faceva lezioni on line e ho partecipato.

    • Grazia

      Che bel percorso. Chen anch’io, salvo un paio d’anni di Yang. Esami e cintura rossa, ma è il resto l’importante. Imbranati ci si sente sempre, perché c’è sempre da imparare. Se per caso la tua insegnante ha qualche video su YouTube, mi farebbe piacere conoscerla.

  • Barbara

    Ma con questo caldo… sei proprio sicura sicura?
    Vabbé che te hai le montagne fresche la dietro, ma qua in pianura si schiatta!
    Non ho lettura di questo tipo alle spalle, ho avuto un periodo filo-buddhista al primo anno di università, dopo aver letto Siddharta di Herman Hesse ho letto qualche saggio sul Buddha e qualche libro sui suoi insegnamenti, come le quattro nobili verità. Mi sono scontrata con l’inafferrabile concetto del Nirvana, che a dirla tutta non mi piace tanto.

    • Grazia

      Dici che è questione di temperatura? Per me questi testi fanno respirare…
      Con il nirvana anch’io vado poco d’accordo, ma vedo che con il tempo ogni concetto ostico arriva a casa, perciò lo lascio lì in un angolo, ad aspettare il suo momento.

  • Marina

    Non l’ho mai letto, no, anche perché non sono attratta dalle filosofie orientali, però, se c’è qualcuno che ne parla con entusiasmo, la mia curiosità si accende, dunque seguirò con interesse le puntate che proporrai.
    Per esempio la parte sul desiderio mi ha convinta: desiderare poco, forse, è il segreto per non condannarsi alle frustrazioni; fissare obiettivi e cercare di raggiungerli, invece, è l’approccio giusto, la via verso la vera realizzazione.

    • Grazia

      Il fatto è che desiderare e pretendere non sono parenti tanto lontani. Siamo capaci di desiderare senza dipendere in qualche modo dal soddisfacimento del nostro desiderio? Sarebbe bello, ma io lo trovo molto difficile.

  • Luz

    Sono entrata in contatto con queste culture anni fa, in un momento terribile della mia vita.
    Sono state di grandissimo aiuto. Ogni tanto bisognerebbe disintossicarci guardando a queste filosofie.
    Ricordo di avere un libro sul Tao, spero di non averlo perso durante il trasloco dello scorso anno.

  • DAVIDE ZILIANI

    Si, io l’ho letto come chiunque nelle pessime traduzioni esistenti in italiano; dopodichè ho deciso di tradurmelo io ed ho finito di farlo dopo mesi di traduzione ed interpretazione: anch’io ho tradotto le cose già note del vuoto, del saggio, del superiore e della virtù ma ho modificato molto il senso logico dei capitoli ed alla fine mi sono risultati abbastanza logici, rispettando l’ordine dei caratteri originali. Nei prossimi mesi proverò a cercare una casa editrice, altrimenti lo pubblicherò nel self publishing. Sono convinto che le traduzioni famose in italiano che siamo obbligati a leggere siano sbagliate.

  • DAVIDE ZILIANI

    Riferito al commento precedente: se volete vedere qualche anticipazione della mia traduzione se cliccate sul mio nome entrate nella mia pagina twitter dove ho tenuto un diario senza spoilerare nessuna parte del testo tradotto.

    • Grazia

      Innanzitutto benvenuto, Davide. In rete e nella prefazione all’edizione che sto usando ho letto delle difficoltà che la traduzione presenta, ora confermate anche da te. Ti ringrazio della segnalazione, sarà un piacere leggere la tua versione del Tao tê ching.

      • DAVIDE ZILIANI

        Mi fà piacere che questa discussione sia seguita, per me sarebbe una soddisfazione dopo mesi di traduzione se venisse letta anche da poche persone ma che conoscono l’argomento e possano capire le frasi complicate del Daodejing, ex Tao Te Ching
        ed anche commentare negativamente la mia traduzione: non mi offenderei. Allora, salvo questa discussione e quando avrò il libro in mano ti comunicherò dove trovarlo. Grazie dell’interessamento, perchè mi sembrava di fare un lavoro inutile mentre lo traducevo.

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