La saggezza degli opposti
Di umani, cani e… Tao tê ching – capitolo 2
Ben trovati, cari lettori! Eccomi di nuovo sul blog per proseguire l’impresa titanica che mi sono prefissata, cioè condividere con voi la lettura del Tao tê ching. Posso impiegarci anni, senza che questo sia un vero problema. Intanto non parlerò sempre e soltanto di questo, ma anche della scrittura e di me; inoltre il Tao tê ching non è una gara dei cento metri piani, ma una maratona. Immagino che sia questo a renderlo così vispo e arzillo nonostante lo scorrere dei secoli.
Dalle mie parti nordorientali, dopo settimane primaverili di freddo e acqua, è arrivato il caldo dell’estate seria. Siamo passati così, in pochi giorni, dalla felpa addosso al deumidificatore acceso tutto il giorno, e per fortuna che abbiamo i pannelli fotovoltaici sul tetto. In cambio i temporali che punteggiano la calura rendono il Friuli verdissimo, come sempre. La mattina, mentre faccio la mia sequenza di Yi Jin JIng in giardino, ho un pubblico fantastico di uccelli, api, lucertole, gatti e cani, tra cui la mia fedele Maya, a volte un po’ di intralcio nei movimenti. Mi sento privilegiata, anche se la presenza di un cementificio a poche centinaia di metri guasta un po’ l’idillio.
In questo periodo non sto scrivendo. Non ancora. Sto riorganizzandomi dopo l’incontro-scontro con il fatto che lavorando in squadra… non si è soli. Osservazione acutissima, nevvero? Collaborare significa anche rinunciare a parte della propria libertà, cosa che non mi riesce affatto facile. A questo punto sono curiosa di scoprire quando verrà pubblicata, e con quali modalità, la storia di Amela.
Ho deciso, quindi, di riprendere in mano il romanzo che avevo interrotto a due terzi della prima stesura, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, per usare una dotta metafora. In ogni caso sto raccogliendo le energie per ripartire, anche grazie all’aiuto della lettura motivante di Grit, di Angela Duckworth (Grinta, nella versione italiana), un libro davvero interessante, di cui forse vi parlerò.
L’evento meno carino di questo periodo è il fatto che Maya – la mia “cana” – si è rotta il legamento crociato della zampa posteriore destra in una corsa folle dietro un’auto in cui un suo simile stava abbaiando. Con i suoi bei dieci anni di età, gli sforzi andrebbero gestiti meglio. Lei, però, non se ne preoccupa. Vive nel momento (il famoso qui e ora) e spende ciò che ha, senza riserve, qualunque siano le conseguenze.
Questo modo di essere, che osservo in Maya ma appartiene a tutto il mondo animale, mi dà spesso da pensare. Non voglio disneyzzarlo troppo. Esistono lati negativi molto chiari nell’agire sempre d’impulso, senza ricorrere al filtro della ragione. Tipo subire un’operazione chirurgica non necessaria, per esempio, e avere davanti a sé una bella, lunga convalescenza estiva, per la nostra gioia…
Maya, dal canto suo, già due giorni dopo l’incidente, con una zampa del tutto fuori uso, galoppava per la casa su tre zampe nel tentativo di rispettare i suoi rituali quotidiani: i momenti dei bocconcini, andare al piano di sopra quando tuona, correre ad abbaiare quando passa l’auto del vicino di casa o suona il corriere, oppure quando attingiamo cubetti di ghiaccio dal frigorifero (Maya è davvero sciocca, a volte). Tutto questo con l’aria perfettamente serena, della serie: non ho più quattro zampe? Vorrà dire che mi accontenterò di tre.
Si fa con quel che c’è, avrebbe detto mia nonna, che questo motto aveva dovuto usarlo spesso. Qui, devo ammetterlo, una certa invidia per gli animali ce l’ho. Accettare la vita come viene e tirarne fuori quanto si può deve essere grandioso. Solo che per gli animali non è grandioso, ma semplicemente… normale, con qualche macroscopica eccezione, per esempio quando i cani smettono di mangiare perché il padrone è assente o, peggio, non potrà più tornare. Non è tutto così facile, nemmeno per loro! Però sono convinta che si risparmino un buon 95% di sofferenze inutili.
Ora che ci penso, questo ragionamento mi porta dritto nel cuore del secondo capitolo del Tao tê ching, che testé vi propongo.
2
Sotto il cielo tutti vedono bello ciò che è bello
soltanto perché esiste il brutto.
Tutti sanno che il bene è bene soltanto perché esiste il male.
Essere e non essere si generano a vicenda.
Il difficile e il facile sono complementari.
Il lungo e il corto si definiscono reciprocamente,
così come l’alto e il basso.
Non c’è prima senza dopo e viceversa.
Perciò il saggio vive con apparente dualità,
e paradossale unità.
Il saggio può agire senza sforzo
e insegnare senza parole.
Nutre le creature senza appropriarsene,
lavora, ma non per la ricompensa;
compete, ma non per il risultato.
Compiuta l’opera, se ne dimentica.
Per questo dura in eterno.
Laozi parte con esempi della relazione dinamica fra i due principi opposti e complementari presenti in ogni aspetto della realtà. Il taijitu, simbolo bianco-nero di Yin e Yang, simboleggia bene questo concetto: qualunque cosa ha un suo opposto, non assoluto, ma in termini comparativi. Niente può essere completamente Yin o completamente Yang, perché lo Yin e lo Yang sono interdipendenti e l’uno non può esistere senza l’altro.
Mi viene da pensare che dovremmo essere grati a questa struttura a contrasti (apparenti) della realtà, che ci permette di apprezzare ancora di più gli aspetti percepiti come positivi. Già questo non è poco. Ma se la realtà è strutturata in questo modo – e lo è, credo che siamo tutti d’accordo su questo – allora quanto è sensato il nostro costante sforzo di rendere meno ingombranti, se non eliminare del tutto, le parti della realtà che ci suscitano avversione? Perché questo facciamo abitualmente: definire cosa vogliamo che entri nella nostra vita e cosa vogliamo tenere fuori. Accetto, rifiuto. Questa operazione da un lato è utile e inevitabile, dal momento che nel dirigere la nostra vita ci troviamo spesso a poter scegliere tra una cosa e l’altra, ma al tempo stesso finisce con il nutrire una mentalità di non-accettazione della realtà in quanto tale.
Le conseguenze sono pesanti, se si va ad analizzarle a fondo. Ogni volta che le cose non vanno come vorremmo, oppure la possibilità di scelta ci è preclusa, il disagio ci assale, non sempre proporzionato alla gravità della situazione. Può essere una cena con amici andata a monte, il contrasto con l’impiegato all’ufficio postale, la malattia di un congiunto, oppure – perché no? – la delusione per il rifiuto di un editore. Quante volte ci troviamo irritati, preoccupati, sofferenti, a puntare i piedi per resistere al corso naturale delle cose? Se parliamo di me, troppo spesso.
L’abitudine di giudicare ed etichettare tutto e tutti come bello e brutto, piacevole e spiacevole, giusto e sbagliato, da assecondare e da contrastare, in parte rientra nel nostro onnipresente tentativo di controllo dell’incontrollabile. Si ha davvero una visione equilibrata e saggia della realtà in questo modo?
Per quanto mi riguarda, sul fronte dell’accettazione non c’è mai vera pace, al massimo qualche tregua e una lenta evoluzione. Ho molta strada da fare! Quindi osservo Maya, e rifletto. Tre zampe invece di quattro? Vediamo cosa si può fare…
La parte finale del capitolo tocca un altro argomento per me cruciale. Il saggio
compiuta l’opera, se ne dimentica.
L’azione distaccata dal risultato, che sfida! Per quanto mi appassioni a ciò che faccio e viva intensamente il percorso, non mi è facile slegarmi da considerazioni sul risultato finale. Questo mi penalizza, lo so bene. Anche qui la battaglia infuria. Come ho detto spesso, deve essere una benedizione liberarsi dalle aspettative. Se però l’opera è un libro e lo hai autopubblicato, dimenticarlo può non essere una buona idea.… ma non abbassiamo il livello del discorso.
Una menzione speciale merita, per la sua bellezza e il suo significato, la riga in cui il saggio
nutre le creature senza appropriarsene.
Nutrire è un termine amorevole, di condivisione e sollecitudine. L’accostamento con la rinuncia al possesso (peraltro impossibile) mi sembra particolarmente suggestivo. Come fanno a stare in sole cinque parole non uno, ma due concetti così importanti? Su questa nota, però, procedo con leggerezza verso la cosiddetta call to action.
Cosa ne pensate di questo secondo capitolo del Tao tê ching?
Vi sembra che le parole di Laozi siano rivolte anche a voi?
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
20 commenti
Giulia+Mancini
Principi opposti e complementari sono presenti in ogni aspetto della realtà, sono d’accordo con questo e altri punti del post. Sì, mi ritrovo molto nelle parole di Laozi anch’io, ma capisco che applicare nella realtà questi principi non è sempre semplice, certo Maya ci riesce meglio di noi, fare con tre zampe invece che quattro, che grande cane. Dagli animali c’è sempre da imparare, dovremmo prendere esempio da loro.
Grazia
Davvero. La ammiro molto anche per la gioia dell’accoglienza, che non conosce eccezioni. Sareifelice di riuscire anch’io a essere così costante nel gioire della compagnia altrui…
Lisa Agosti
Povera cagnolona! O.O
Ti leggo sempre volentieri.
Un abbraccio.
Grazia
Grazie, Lisa. Intanto Maya sta migliorando.
Elena
Il saggio non possiede nulla, nemmeno l’opera di cui Poi si dimentica. Nemmeno sé stesso. Agisce nel qui e ora e non si cura di null’altro, nemmeno della sua sofferenza. Quanta saggezza nella tua cana:)
Grazia
Quando l’abbiamo adottata, nei primi tempi ogni volta che la guardavo dicevo: ” C’è qualcuno lì dentro?” Scherzavo, ma non del tutto. Maya è sempre stata straordinariamente attenta e desiderosa di capire il nostro strano mondo umano, veloce nell’apprendere, furba nel ritagliarsi i suoi spazi, concentrata nel guardarci negli occhi, cosa che non tutti i cani amano. Si dice “un cane”, ma ogni cane – ogni animale – è un mondo.
Brunilde
Strada facendo ho imparato ad accettare ciò che viene e non posso cambiare, mentre prima vivevo tutto con un coinvolgimento fortissimo che mi portava a stare male, anche fisicamente. Non so se sia stato l’incontro con la meditazione, le filosofie orientali e la ricerca interiore, oppure il naturale passare del tempo che un minimo di saggezza la porta comunque.
Ora vivo molto meglio, forse anche con maggiore pienezza, senza peraltro rinunciare a mettere tutta me stessa in quello che faccio.
Una tenera carezza a Maya, cana gioiosa e infortunata, che ” fa con quel che c’è ” e regala sorrisi a chi le sta vicino.
Sono una gattara che ama molto i cani, e la tua è davvero forte!
Grazia
Hai ragione, anche l’età aiuta, anche se non è un processo automatico. Ho l’impressione che le donne abbiano una marcia in più, sul lungo termine. Lo dico solo per osservazione, non per mie idee preconcette sul genere femminile. Per gran parte della mia vita ho apprezzato di più la compagnia maschile, e mi sono sempre sentita più essere umano che donna. Lo stesso adesso mi guardo intorno e vedo tante “belle” donne, della mia età e oltre (anche più giovani, a volte), che emanano crescita e positività. La saggezza e l’evoluzione, però, non sono alla portata di un sesso soltanto, per fortuna.
Ariano Geta
Il concetto di “accettare serenamente” il TUTTO, che inevitabilmente include sia ciò che ci piace sia ciò che non ci piace, è un concetto certamente saggio e anche bello da assimilare. Il problema (parlo a titolo personale, ma presumo di non essere l’unico è riuscire ad applicarlo concretamente.
Nella vita ho dovuto sopportare (e continuo a dover sopportare) situazioni che capiteranno a uno su cinquantamila e, guarda caso, io sono sempre quell’uno. Diciamo che mi sarei anche rotto le scatole (eufemismo per non usare parole meno eleganti). Sono costretto ugualmente a adeguarmi (anche perché, diciamoci la verità, contemplare altri metodi per risolvere il disagio potrebbe condurre a conclusioni troppo estremistiche) però sono arrivato al punto in cui la mia idea di “accettare” e “dimenticare” (nella condizione in cui mi trovo) assomiglia, a livello metaforico, all’immagine di un essere umano ormai apatico, anaffettivo, privo di emozioni.
Diciamo che c’è qualcuno più fortunato per il quale è decisamente più facile “accettare” quel che non gli piace della propria vita in cui però quasi tutto gli è andato per il verso giusto.
Grazia
Certo è più facile disquisire di filosofie di vita quando la vita stessa ci mette poco alla prova. Ti auguro di uscire da quella proporzione, o dalla percezione di rientrarci. Per il resto è dura, eh.
Nick+Parisi
Aggiungo anche io una mia carezza a Maya, posso?
Grazia
Certo! Maya non le rifiuta (quasi) mai.
Barbara
Quanto invidio Maya in questo momento. Probabilmente se fossi una “cana” così intelligente proverei pure con due zampe!
Il bene e il male sono così interdipendenti che a volte scambiamo il bene per il male e il male per il bene, o non vediamo il prezzo nascosto dietro tutte le gioie, e magari sono gioie effimere. Come faccia il saggio non lo so, del resto il saggio è lui…
Concordo che l’accettazione è una tregua. Anche quando ti sembra di aver accettato davvero, dopo anni e anni di riflessioni e rimuginamenti, succede un qualcosa e la reazione mostra che no, non avevi accettato niente, al massimo avevi “sospeso”, eri in una finta “pace temporanea”. Come aver chiuso tutto dentro un cassetto a molla e la molla all’improvviso lo apre e ti rovescia tutto fuori…
Grazia
Succede esattamente così. Ci si resta male, no? Dopo che ci si è illusi di avere superato… ma il progresso, forse, c’è stato comunque. E’ che noi siamo frettolosi e perfezionisti.
Luz
Tu pensa che proprio in questi giorni devo ricorrere a tutte le mie prerogative in fatto di saggezza e compostezza per affrontare situazioni ai limiti del tollerabile. Parole che fanno bene, universali.
Grazia
Allora consideralo un allenamento intensivo… uno stage, tipo.
Marco Lazzara
Mi ricorda Jung: “L’ombra fa parte della luce, il bene fa parte del male, e inversamente.”
Grazia
Jung la sapeva lunga.
Marina
Sì, sono parole che entrano nella vita di tutti, perché ognuno se le taglia addosso a seconda delle proprie esperienze. Io, per esempio, pensavo di essere una persona che accoglie la realtà per come viene, che non si sottrae all’accettazione degli eventi, ma invece, mi accorgo che chiedo conto del perché delle cose. Alla fine, mi aspetto, forse inconsciamente, la reciprocità in determinate situazioni: se io do attenzione, mi aspetto di essere ricambiata. Prendo atto quando ciò non avviene, ma vivo un po’ la delusione. Ad avercela, la saggezza del saggio!
Grazia
Le occasioni per mettere alla prova il nostro spirito di accettazione non mancano davvero.