5 parole per un romanzo: Càscara – Elena Ferro
Bentrovati, cari lettori!
Come va dalle vostre parti? Dalle mie l’autunno scorre tranquillo, con un misto di giorni scuri e giorni brillanti. Le temperature notturne si avvicinano lentamente allo zero, ma ancora non abbiamo avuto la prima gelata, che spesso arriva all’inizio di novembre. I prati, però, la mattina hanno già la patina bianca che prelude alle prime brine.
Rondini e compagni sono partite senza clamore, mentre sono tornati alcuni uccelli che vanno a passare l’estate altrove, come pettirossi e merli. Non sapevate che fossero uccelli migratori? Comprensibile, visto che in pratica si comportano come vogliono: le nostre zone possono essere per alcuni il luogo dove svernare, provenienti da paesi più a nord, oppure la base estiva da abbandonare per latitudini più calde quando rinfresca.
Cerco di fermarmi prima di passare al setaccio il mondo vegetale, perché so che non tutti sono bucolici come la sottoscritta. Quindi fiato alle trombe! (Ometto “Turchetti”, sennò si capisce che ho superato un paio di -anta…) Oggi la rubrica 5 parole per un romanzo torna con un’ospite più che gradita: Elena Ferro, che accolgo con un abbraccio virtuale.
Molti di voi la conoscono attraverso il blog Volpi che camminano sul ghiaccio, dove Elena parla di scrittura e di vita, seguendo un percorso umano ricco e affascinante, con cui mi sento in grande sintonia. Per soddisfare qualche curiosità su di lei vi rimando alle note bio-bibliografiche alla fine dell’articolo e all’intervista di qualche tempo fa in cui ci raccontava del suo libro Tecniche di oratoria.
Oggi Elena – che già ringrazio per avere accettato il mio invito – è qui per parlarci del suo nuovo romanzo, Càscara, pubblicato nel giugno di quest’anno dalla casa editrice PubMe. Il libro mi è particolarmente caro e ho avuto il privilegio di leggerlo due volte, come beta-reader nella sua prima versione e come normale lettrice dopo la sua uscita.
Rileggere un libro a così breve distanza di tempo potrebbe essere una garanzia di noia, ma in questo caso si è trattato di un piacere, oltre che del soddisfacimento di una curiosità. Càscara, infatti, mi era rimasto dentro fin dalla prima lettura. Individuo soltanto in parte i motivi, ma voglio citarne alcuni. I personaggi sono vivi, nel corpo, nel cuore e nella testa; palpitano, cambiano nel corso del romanzo. Detta così, può sembrare una banalità, ma chi legge sa bene che non è così. L’ambientazione è ricca di fascino e perfetta per gli eventi che ospita. Lo stile è evocativo e privo di sbavature.
In sintesi, Elena racconta una bella storia, e la racconta bene. Altro non dirò. Lascio invece a lei il compito di rivelare le 5 parole che ha scelto come rappresentative dell’essenza di Càscara – espressione molto adatta, visto che la cascara sagrada è un arbusto di cui si utilizza la corteccia a fini terapeutici (un tocco di verde non guasta mai!).
In un caldo mattino di primavera, mentre osserva al di là della finestra i tetti grigi di una Torino bagnata dalla pioggia, Michele, operaio in una grande fabbrica, tiene in mano una lettera appena arrivata dall’Argentina. La scrive Alice, un tempo maestra a Càscara, il borgo di pescatori in cui è nato, per annunciargli la morte di Justicio, suo buon amico, che per lungo tempo si è guadagnato da vivere a bordo di una splendida barca a vela, Matilda, ormeggiata nel porto di Càscara.
Ghermito da un passato che torna a tormentarlo, Michele compie un viaggio della memoria attraverso il quale riannoderà i fili di una storia che si intreccia con quella degli altri protagonisti del romanzo. Pescatori, meretrici, levatrici, ricchi armatori e politici locali, bambini in cerca del proprio destino, emigranti dall’altro lato del mondo come Justicio e una maestra, Alice, coraggiosa e fragile. Sono loro a tessere le trame del nostro recente passato italiano, in un Sud Italia sempre meno agganciato allo sviluppo e sempre più legato ai destini di coloro che amando la propria vita ne fanno un esempio e una testimonianza per tutti.
Storie di donne che mettono in gioco se stesse, sfidando le convenzioni per trasformare un paese che non ha ancora fatto i conti con il suo passato in un luogo della speranza e, forse, anche dell’amore.
Mare
«Un uomo di mare non ha paura della tempesta, perché sa da dove arriva il vento. Sa aspettare il momento giusto e conosce la direzione delle onde.»
Ho una passione sconfinata per il mare e finalmente con Càscara sono riuscita ad esprimerla in modo compiuto.
Avevo già provato a descriverla nel racconto lungo “Mare di notte” che narra la storia di Lisa e della sua barca a vela.
Lisa, abbandonata dal suo uomo e provata dalla vita, deve affrontare la sua prima traversata notturna da sola a bordo di una barca a vela che la sfida, fisicamente ma soprattutto emotivamente, in una traversata notturna piena di pensieri.
Lisa, come Alice, una delle protagoniste di Càscara, deve trasformare il suo dolore in soccorso. La prima verso un piccolo delfino, la seconda verso un suo piccolo alunno, punito dalla vita.
Così in Càscara il mare è il liquido amniotico in cui vive e sopravvive Michelino, il protagonista del romanzo, un bambino apparentemente fragile che sperimenta la miseria del dopoguerra italiano in un Sud Italia affatto idealizzato, un luogo in cui lo Stato spesso non esiste e si palesa soltanto per riaffermare soprusi da parte del più forte.
L’ambientazione marittima di Càscara è parte stessa del corpo e dello spirito dei personaggi.
E’ sulle sue rive del mare che Michelino incontra Mimì, l’amore della sua vita. È sulle sabbie che lo lambiscono che Justicio consuma il suo tormentato amore per Alice. Ed è sempre sul mare, a bordo di Matilda, che si consuma la trasformazione, il rito di passaggio di Michelino, che da bambino diventa uomo.
Lui che ai riti di passaggio della tradizione maschilista ha già partecipato, finendo tra le braccia di Clelia, una puttana di professione che nel romanzo assurge quasi a madonna salvatrice.
C’è sempre qualcosa di buono in ciascuno di noi. Anche se a volte facciamo di tutto per nasconderlo.
Silenzio
«Nel silenzio dimora la verità̀. Con la fiducia possiamo ridestarla.»
Il silenzio è un’attitudine dell’esistenza su cui rifletto da molti anni. Anche il mio blog ha ospitato spesso riflessioni di questo genere, ad esempio qui e qui.
Il silenzio in questo romanzo significa capacità di fare spazio ai propri pensieri e a noi stessi, per conoscerci meglio e indagarci a fondo. Così lo utilizzano i miei personaggi, come se l’unico tesoro al mondo a loro disponibile risiedesse oltre la coltre di rumori, risate, parole inutili pronunciate a iosa e attendesse quella pace che solo il silenzio può dare loro per potersi esprimere.
Aggiungo qualcosa di me: silenzio nel mio caso è legato alla capacità di scrivere.
Compongo le mie storie immersa in un silenzio totale. Senza musica, senza rumori esterni, senza pensieri interiori. Come in questo momento, in cui sto scrivendo ascoltando soltanto il flusso delle idee che le mie mani, veloci sulla tastiera, trasformano nei segni di ciò che di più autentico risiede dentro di me.
Il contro attributo del silenzio in Càscara è il disturbo generato dal rumore del male.
Trasformazione
«L’oscurità cederà il posto al giorno, il sogno alla ragione. Stringerò in un pugno i miei incubi e li dissolverò. Ora so che posso farlo.»
Trasformazione è l’obiettivo della mia scrittura, ne parlerò presto in un post sul blog.
In questo romanzo ho curato con la massima attenzione l’arco di trasformazione dei personaggi. Ognuno di loro passa attraverso prove esterne e interne che lo inducono a un cambiamento necessario, verso la riuscita o l’oblio.
Quando il cambiamento è in sintonia con quello degli altri, succedono le cose più belle.
Così Selina abbandona il meretricio per incontrare un’amica vera, Filomena; Vito, pur senza cambiare il suo atteggiamento, accetta la sua infima natura e libera suo figlio dal giogo in cui lo ha costretto, cambiando non come uomo ma come padre.
E Justicio trasforma la sua rabbia e il suo senso di colpa in una dichiarazione d’amore, fuori dal tempo e dalle convenzioni, per Alice, che trasforma la sua sofferenza in un’azione capace di liberare e salvare.
I personaggi di Càscara sono fragili e coraggiosi allo stesso tempo. Sanno che gli incubi possono essere stritolati soltanto dal pugno che li frantuma in amore.
Parole
“Le parole non sono che graffi sulla superficie del cuore.”
Nella mia vita, ho sempre avuto una particolare confidenza con le parole. Le ho amate, rispettate, ho cercato di conoscerle a fondo pur non conoscendo bene la lingua da cui la maggior parte di esse provengono, il greco. Ne ho studiato l’etimo, la provenienza, l’uso primigenio, per coglierne il significato più profondo. E poi ho provato a portarle nella scrittura, con tutta la loro storia.
Le parole infatti, non sono solo ciò che oggi significano, ma portano con sé ciò che esse hanno significato, dall’inizio dei tempi. Per questo i neologismi mi interessano meno, anche quando sono realmente innovativi e utili a descrivere cose che non sono mai esistite. Perché non hanno storia, non hanno spessore, non hanno conosciuto la sofferenza che ciascun esser umano ha provato pronunciandole, o il dolore, o la gioia, o l’emozione che hanno saputo suscitare.
Le parole sono state da sempre la mia “arma” migliore. A loro sono profondamente grata. Sono piccole e robuste amiche che mi sorreggono quando nessun altro può farlo.
Passato
Non puoi sapere se hai lasciato alle spalle il tuo passato fino a quando non torna a bussare alla tua porta.
Era da tempo che volevo tornare con uno sguardo largo sul passato. Sento troppe persone distratte da ciò che accade e totalmente indifferenti al perché sia accaduto e ho bisogno di indagarne le ragioni ma anche di insinuare una riflessione a riguardo. Càscara è ambientato nel sud Italia dei tardi anni Sessanta, quando il paese viaggiava a due velocità e credevamo di aver passato una volta per tutte il dramma del fascismo. Ma era un’illusione. Chiunque abbia un occhio attento sul presente può rendersene conto.
Il tempo che abbiamo alle spalle conta.
Sapere esattamente cosa c’è dietro di noi e da quale materiale e consistenza è costituito, ecco cosa conta davvero. Se non siamo capaci di trasformare questo tesoro di conoscenza, se non lo lavoriamo a lungo fino a quando non si dissolve nel nostro nuovo sé, allora tornerà sempre indietro a tormentarci. Come narra la frase che avvia il romanzo.
Leggere Càscara, è un modo come un altro per affrontare noi stessi.
Elena Ferro ha cinquantadue anni, è torinese, e sin da ragazzina si dedica alla politica e, in seguito, alla militanza sindacale. Dalla lettura e dalla passione per lo studio passa in giovane età all’amore per la scrittura, ma è solo nel 2004 che pubblica il suo diario di viaggio dal titolo Il futuro di Cuba c’è. Nel 2014 debutta nella narrativa con il romanzo di formazione Così passano le nuvole, e nel 2017 pubblica un manuale di auto aiuto, Tecniche di oratoria. Guida all’arte di parlare in pubblico.
È felice nei boschi, sul mare, accanto ai torrenti montani. Cura con amore il suo blog, Volpi che camminano sul ghiaccio, in rete all’indirizzo www.elenaferro.it. Puoi trovarla anche su YouTube.
Càscara è il suo secondo romanzo.
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
17 commenti
Giulia+Mancini
Ho letto e apprezzato Càscara appena uscito. Le cinque parole scelte mi sembrano calzare perfettamente la storia che racconta, mi piace soprattutto la parola Silenzio, anch’io amo scrivere nel silenzio ma non è semplice trovarlo, siamo circondati da continui rumori di sottofondo, almeno nella mia realtà quotidiana è così.
Grazia
Pensa che anche per me è così, nonostante viva in una zona più “wild” (credo). Nelle nostra wilderness, infatti, c’è un fantastico cementificio che ronza costantemente, per non parlare dei suoi benefici effetti sulla salute dei cittadini.
Elena
Ciao Giulia, grazie per questo commento. Anche per me il silenzio è molto importante, le nostre città ne son quasi totalmente prive così io scrivo più agevolmente in campagna, dove spero un giorno di trasferirmi. E’ anche vero che il silenzio si può trovare dentro di noi, oppure ci sono delle mitiche cuffiette che isolano dai rumori per i cementifici molesti!
Brunilde
Anch’io ho letto Cascara appena uscito, e l’ho trovato interessante e coinvolgente.
L’ambientazione spazio temporale, il piccolo paese di mare nel primo dopoguerra di povertà e di conflitti non ancora pacificati, è presente ma rimane in sottofondo rispetto alle vicende dei personaggi.
Bella e importante la componente femminile: Elena ha declinato le diverse anime delle donne, sentimenti, maternità, ma anche emancipazione dai ruoli, impegno civile, sorellanza.
Nel dipanarsi della storia i personaggi assumono sempre maggiore definizione e rilievo.
Insomma, per fare una citazione colta, Snoopy lo definirebbe ” un romanzo romanzoso”!
Grazia
I personaggi sono davvero un punto forte del romanzo. (Ti chiedo scusa per il ritardo nel risponderti, Brunilde, ma il tuo commento era finito nel cestino del blog… una delle ultime, piacevoli innovazioni.)
Elena
Arrivo tardi anch’io per le stesse ragioni, scusa, ma tutti conosciamo le magie nere dei blog
Romanzo romanzoso è davvero una bellissima definizione, grazie Brunella, anche per aver colto le varie sfumature che questa storia offre a chi vuole emozionarsi. Di solito non mi affeziono a più di un personaggio per volta, ma le figure femminili (tutte, anche quelle riferite a uomini) le amo tutte. Sono tutte parti di me. Grazie ????
Elena
Ti ringrazio molto Grazia per questo spazio che dedichi a me e alla mia scrittura. Le tue parole mi riempiono di gioia, ho scritto Càscara con l’intenzione di emozionare, ho generato i suoi i personaggi con minuziosa attenzione e partecipazione. Facciamo tutto questo nella speranza che arrivino ma se poi ciò non accade, tutto è vano. Sono felice che in questo caso la storia e coloro che in fondo la raccontano abbia suscitato in te quelle emozioni che ho provato io stessa nello scriverla.
Ti faccio i complimenti per questa rubrica che trovo molto stimolante per una scrittrice. Ci permette di guardare con occhi diversi al nostro romanzo, e questo è sempre un esercizio molto utile! Grazie grazie grazie cara amica
Grazia
Hai ragione, i nostri sforzi servono a poco se poi il lettore non riesce a collegarsi alla storia. Nel mio caso non c’è trama che tenga: se non provo qualcosa per i personaggi, vivo la lettura come tempo perso. Questione di gusti, naturalmente.
Marco Lazzara
Riprendo una delle parole che hai scelto: silenzio. Io quando scrivo, che sia un racconto o un post sul blog, metto sempre della musica, che per me è sempre una buona compagna. Viceversa non lo faccio durante la revisione, perché lì sì che mi distrarrebbe, anzi ho bisogno di molto silenzio e concentrazione per fare in modo di sentire le parole che mi attraversano la testa, come se una voce le recitasse.
E a proposito delle parole, non mi trovi d’accordo con quanto dici di neologismi, ma del resto quello dell’onomaturgo è un mestiere difficile e non sempre apprezzato. In fondo alle volte basta dar loro del tempo.
Elena
Ciao Marco, grazie per il tuo commento! Invidio molto chi è capace di scrivere immerso nella musica, perché e un’arte che al pari della scrittura amo molto ma da cui non riesco a isolarmi. Quando ascolto qualcosa che mi piace (altrimenti, mi disturba soltanto) sono completamente rapita dalla musica o dalle parole composte e dunque impossibilitata a scrivere, se non per fare qualche piccola correzione. Ma preferisco appunto il silenzio. Non ci conosciamo bene e non sapevo che tu fossi un onomaturgo! Sì, certo, il tempo rende ogni neologismo ricco di quella vita che una parola nuova non ha ancora e che a me serve per riconoscerla appieno. In effetti, mi hai fatto riflettere: uso poche parole nuove, non amo gli inglesismi, e di solito sono attratta dalle parole antiche. Sì, possiamo dire a spanne che tu sei un modernista e io una vetero
Possiamo andare d’accordo lo stesso?
Grazia
Per quanto riguarda la musica posso considerare mie le parole di Elena: mi piacerebbe avere una colonna sonora mentre scrivo, ma o non è quella perfetta, e allora non la sopporto, o mi piace, e allora ascolto quella senza più scrivere. Un onomaturgo! Su questo mi sento in sintonia, anche se riservo le mie creazioni all’ambito familiare.
Ariano Geta
Sono tutti spunti interessanti (complimenti all’autrice del libro soprattutto in correlazione a una storia narrata, potrei dire qualcosa su ognuno. La parola che però più mi ha fatto riflettere in questo momento è “trasformazione”, perché io non sono uno che dimentica il “passato”, anzi, ne coltivo il ricordo, e ogni volta che penso alle delusioni presenti e cerco conforto nella memoria mi rendo conto di quanto io sia cambiato, di quanto le delusioni di oggi, in passato, probabilmente sarebbero state quasi delle tragedie interiori per quanto ero più debole psicologicamente rispetto a oggi.
Elena
Ti ringrazio Ariano per i complimenti! Trasformazione è una parola sorprendente, che mi ha suggerito Marco Freccero in una sua intervista al mio lavoro. Ne ho parlato in questo post, te lo linko, se Grazia permette, così puoi conoscere meglio il mio pensiero da questo punto di vista: https://www.elenaferro.it/perche-scriviamo/
Questo romanzo parla molto del passato. Un passato, come tu dici, che non è da dimenticare ma da trasformare, digerire, e questo è proprio ciò che fanno i personaggi. Se ci pensi, il Michele che dà inizio alla storia ricorda la sua infanzia e proprio in quella infanzia e nella vita dei personaggi di allora le trasformazioni si compiono: cresce, matura, le persone cambiano, cambiano gli obiettivi, come ha giustamente e acutamente osservato Grazia.
Cambiamo anche noi. Sono convinta che ciò che tu dici, rispetto al tuo vissuto, vale per tutti. Crescendo trasformiamo noi stessi e le nostre emozioni e diventiamo più forti. Ma solo se abbiamo il coraggio di guardarle in faccia. Che ne pensi? Un saluto, se leggi Càscara sarà curiosa di consocere il tuo punto di vista, come quello di @Marco, naturalmente.
Grazia
Posso dire che un po’ ti invidio, Ariano? Io sto cercando da qualche tempo di recuperare il senso del passato e delle generazioni che lo hanno creato e vissuto in prima persona. Non mi è facile, ma ci provo.
Cristina
Che bello questo articolo e la scelta delle cinque parole nella rubrica di Grazia è particolarmente azzeccata per illustrare il proprio romanzo.
Mi piace molto questa storia ambientata nella nostra Italia del dopoguerra dove, ed è verissimo, non era tutto rose e fiori come amiamo pensare, mitizzando il periodo della nostra rinascita.
Inutile dire che delle cinque parole mi colpisce molto “passato”. Anch’io scrivo nel silenzio, o al massimo metto della musica strumentale classica o dell’epoca di cui sto scrivendo.
Approfitto per dirti che ho acquistato il romanzo proprio ora, attualmente sto finendo un romanzo di Maria Teresa Steri che avevo sul kindle da tempo immemorabile, poi toccherà al tuo.
Grazia
(Scusa, Cristina, per il commento cestinato dal blog. Lo sto già punendo duramente. XD)
Elena
Che gioia Cristina, grazie sono davvero onorata che tu abbia scelto di leggermi, e per di più dopo la mitica Maria Teresa! Speriamo di reggere il confronto ☺️. Non avevo dubbi che tu potessi scegliere il passato visto la tua inclinazione, ma non è detto che questa parola possa essere declinata nello stesso modo… Questo format che Grazia mette a disposizione degli autori che apprezza (wow, altro onore) è davvero molto interessante. Per me è stata una bella sfida trovare il modo giusto di presentare la mia storia, sono contenta che tu abbia apprezzato… Attendo tue sul mio romanzo ????