typewriter
Scrittura,  Vita da scrittori (e non)

4 trappole per l’autore che invecchia

Reading Time: 6 minutes

…anzi, matura, che suona meglio!

Già, si invecchia. Non solo l’autore, ma tutti, a partire dalla nascita. Non si può negare, però, che arriva il momento in cui il pensiero dell’età che avanza si fa strada con più convinzione, non necessariamente per questioni di salute. Tra le persone che conosco-conoscevo iniziano a crearsi strani vuoti; mi accorgo che mio figlio è un uomo fatto, e che io sono più saggia della me stessa di qualche decennio fa.

C’è di che dolersi, e allo stesso tempo di che festeggiare. Per ora vivo con grande entusiasmo la mia “maturazione” (“invecchiamento” suona peggio, e poi non è affatto scontato che invecchiando si maturi!). Quando sento dire “ah, il mio periodo d’oro è stato quando…” mi considero fortunata a vivere giorno dopo giorno il mio periodo d’oro. Questo non mi impedisce di notare alcuni rischi, per esempio legati alla scrittura. Eh sì, perché quando l’autore invecchia, invecchia anche la sua “penna”…

Termini obsoleti

Il linguaggio cambia, come tutto, del resto. Da sempre i vocaboli entrano nell’uso comune e ne escono, quando quel fattore etereo che è il gusto delle persone li relega nel ripostiglio e/o i media decidono di abbandonarli. È un problema che l’autore deve affrontare in qualche modo, perché l’obsolescenza nel linguaggio comune non elimina automaticamente i termini incriminati dalla testa delle persone.

Da parte mia, quando l’orecchio mi segnala un possibile problema, di solito domando a mio figlio: “si dice ancora?”. Spesso la risposta è un serafico “so cosa significa, ma non lo dice più nessuno”. A proposito, si dirà ancora “serafico”? Santo cielo…

I termini considerati desueti (appunto!) sono più numerosi di quanto credessi, se crediamo a quanto ho trovato in rete. La mia ricerca è stata costellata di “davvero?”, “peccato!” e “ma no!”. Abbacinare, astruso, atavico, duttile, orpello, procrastinare, stolido, subitaneo. Trasecolare, bislacco, luculliano. Meditabondo, artefatto, pleonastico. Ammaliare, forbito. Ma davvero questi termini non si usano più? E anche: quando è avvenuto il trapasso? A me sembravano in perfetta salute…

Altri dei termini che ho trovato devono essere stati abbandonati da tempo, ammesso che non si fossero semplicemente rifugiati in qualche ambiente più colto di quelli che frequento: cabalare, imbrifero, matema, sagittabondo, matesi, sgarzigliona… Non invidio gli editor, che si trovano a dover decidere quali termini si possano considerare ancora accettabili e quali invece vadano sostituiti con altri più attuali.

Da parte mia, tendo a lasciare che il passato… passi, senza dispiacermi troppo per i caduti sul percorso. Se anche esistessero strategie per proteggere i vocaboli a rischio estinzione, ci penserei due volte prima di utilizzarle. Ostacolare il fluire delle cose, più o meno naturale che sia, a volte può portare a degli eccessi (mia opinione, forse superficiale).

L'autore che invecchia deve essere protetto, come una specie in via di estinzione?
Ibis eremita (Geronticus eremita)

Il caso che ho in mente in questo momento è quello dell’ibis eremita (Geronticus eremita). Dalle nostre parti questo uccello, un tempo diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, era già considerato estinto nel Cinquecento. Ho del tutto ignorato la sua esistenza fino a quando, l’inverno scorso, ne ho avvistato un gruppo sul prato di un’industria della mia zona. Vedete bene dalla foto che non hanno un aspetto… come dire, quotidiano!

Perplessa, sono andata a documentarmi e ho scoperto che da tempo si sta cerando di reintrodurli in oasi protette. Fino a qui, niente di male. Il fatto è che a insegnare loro la rotta per migrare dalle oasi del nord a quelle in Toscana per l’inverno, nella speranza che la ricordino e la trasmettano alla progenie, sono… degli aerei ultraleggeri guidati da esseri umani. Che dire? Gli ibis sono stupendi – è vero, lo direi anche di uno scarafaggio – ma questa manovra mi ricorda un po’ l’accanimento terapeutico. Non so se tifare per l’uomo che rivuole gli ibis a ogni costo, oppure per gli ibis che avevano già scelto di lasciare le nostre zone secoli fa a causa della crescente antropizzazione.  

Fine dell’off topic. Tutto per dire che farei anche bye-bye con leggerezza ai vocaboli che ci salutano, finché ne esistono altri per sostituirli, se non fosse che la babbionaggine non è esattamente la dote che vorrei vedermi attribuita dai lettori. Meglio quindi: 1) attivare i miei sensori, 2) testare i termini sospetti ricorrendo a mio figlio, 3) affidarmi all’occhio attento delle beta-reader.

Un termine non più in uso inserito nel testo è una nota falsa, che rovina la sua fluidità e può essere percepito come un inutile sfoggio di cultura, a meno che la scelta dell’autore non sia legata al periodo storico in cui è ambientata la storia.

Personaggi in età avanzata

Anche i personaggi invecchiano; ma come lo fanno? Può succedere che l’autore maturo, senza accorgersene, usi come riferimento le persone che nella sua vita hanno rappresentato quella categoria. Per me un nonno, di default, è mio nonno, nato a cavallo tra Ottocento e Novecento, cresciuto nel lavoro duro a contatto con la terra e passato a quello altrettanto duro per mantenere la famiglia in città. Le probabilità che somigli a un nonno di oggi sono quasi inesistenti.

L’evidenza balza all’occhio quando mi imbatto in settantenni tatuati, come il mio calzolaio, e li immagino su una Harley Davidson (lui ce l’ha davvero). Dalle mie parti non sono molti, perché il contesto è parecchio old style, ma è un dato di fatto che molti nonni di oggi sono stati figli dei fiori negli anni Sessanta. Perciò devo prestare attenzione se voglio rendere plausibili i personaggi in età avanzata. Il nonno che ho in mente io può essere, nella storia, più probabilmente il bisnonno.

Cliché

I cliché, se non sono troppo banali o troppo frequenti, di solito non mi disturbano più di tanto. La maggior parte di essi, però, è legata a un determinato contesto. Per esempio la donna madre-moglie-casalinga, anni fa tanto comune da risultare scontata, ora è un’eccezione o quasi. Niente impedisce che io la inserisca in una storia ambientata nel presente, ma il sapore deve essere diverso, perché diversa è la situazione. Il cliché, di fatto, non è più tale.

Nemmeno il comportamento dei personaggi sfugge a questo meccanismo. Quando le persone avevano un’educazione diversa, sotto alcuni aspetti più rigida, le vite si avviavano facilmente sui binari di una riconosciuta normalità. Non ci voleva molto per essere considerati “strani”. Ora che i binari di cui sopra si sono moltiplicati e gli individui hanno maggiori possibilità di assecondare le proprie propensioni – non che sia facile! – il personaggio che ricopre un ruolo trasgressivo deve essere davvero particolare per essere percepito come tale.  

Ambientazioni esotiche

Quando io ero bambina, e i miei viaggi arrivavano da un lato in Romagna, dall’altro in Alto Adige, il mondo intero aveva il fascino dell’esotico. Prima dell’avvento di internet, quanto scoprivo dei luoghi veniva principalmente dai documentari e dai depliant delle agenzie di viaggio, che sfogliavo fino a consumarli. Non è un caso, immagino, che il mio primo lavoro sia stato proprio presso un’agenzia di viaggi.

In quel contesto, già parlare di una settimana in Tunisia offriva una suggestione particolare. Nominare spiagge di sabbia bianca e palme da cocco faceva sognare (io sognavo i Maori della Nuova Zelanda, a dire il vero, e la Scozia). In ogni caso la fantasia del futuro viaggiatore o del lettore si metteva in moto facilmente.

Cosa è cambiato? I luoghi sono affascinanti come prima, se nel frattempo qualcuno o qualcosa non è riuscito a rovinarli, ma difficilmente il lettore resterà a bocca aperta soltanto perché i personaggi visitano un castello o fanno una gita in slitta. Il senso della meraviglia, in un mondo connesso come il nostro e rutilante di immagini, richiede qualche sforzo in più per attivarsi. Basta comunque andare un po’ più in profondità rispetto all’arcinoto per risvegliarla, tra tradizioni, cultura, natura eccetera. In fondo siamo degli iper-informati ipo-conoscenti, per così dire.

Ed eccoci arrivati alla fine di questo post. Mi permetto di ricordarvi che su Amazon.it trovate La strada che non scegli, di cui avete seguito la lunga gestazione. Sono molto felice di questa esperienza e dell’accoglienza che fino a qui i lettori hanno riservato al libro. Secondo me è una storia generosa, che ripaga ampiamente il lettore della disponibilità dimostrata nell’affrontare argomenti non leggeri.

Vi lascio con il dodicesimo capitolo del Tao tê ching. Mentre lo leggete, tenete presente che la sottoscritta è una non da cinque, ma da mille colori, note e sapori. Ah, la strada per crescere è complicata… A presto, e buon agosto a tutti!  

12


I cinque colori accecano l’occhio.
Le cinque note assordano l’orecchio.
I cinque sapori guastano il palato.
La corsa e la caccia infiammano la mente.

Sprecare energie per acquisire oggetti preziosi
ostacola la crescita.

Il maestro osserva il mondo,
ma confida nella propria visione interiore.
Lascia che le cose vadano e vengano.
Preferisce ciò che è dentro a ciò che è fuori.

L'autore che invecchia sa anche essere produttivo... infatti è appena uscito il mio La strada che non scegli.

21 commenti

  • Sandra

    Chiaramente ti seguo di pochi passi.
    Sui termini polverosi non sento tanto il discorso della mia età anagrafica, perché ho un’impostazione per cui anche se ancora in uso – classico esempio recarsi – fanno subito verbale e ammazzano qualsiasi testo.
    Non mi ero mai soffermata, ma trovo che sia un argomento molto interessante, sulle ambientazioni esotiche.
    Idem come te, per me era Romagna Valtellina e null’altro. Una mia compagna delle elementari andò a Parigi per Pasqua e appendemmo in classe la cartolina con la Tour Eiffel, qualcosa di davvero insolito. E il grande successo di Uccelli di rovo fu in parte motivato anche dall’ambientazione australiana.
    Capisco il problema, anche se non mi tocca, i miei romanzi sono quasi sempre ambientati a Milano, o in luoghi che conosco come il Trasimeno e comunque vicini, il massimo dell’alternativo è stata la Bretagna.
    Però capisco che tipo trent’anni fa lessi un romanzone molto decantatato da una collega, la quale, pensa che roba, lo prendeva a prestito in biblioteca ripetutamente per farlo leggere a noi colleghe, era propio una sua missione far conoscere quel romanzo, si trattava di Verde città nel sole e si svolgeva in Kenya, che in effetti sembrava un posto paragonabile a Marte. Ora nulla ci stupisce più geograficamente e forse proprio per questo vanno di gran moda i mondi inventati, i distopici, il fantasy spinto che hanno sostituito Casablanca e Miami.

    • Grazia

      Se ci penso ricordo bene i periodi in cui erano di moda i vari continenti/paesi: c’è stato il momento del Kenia, quello degli Stati Uniti, quello del Perù… Adesso, forse hai ragione tu, c’è bisogno di andare oltre la realtà per stupirsi… nel qual caso sono a nozze, visto che amo il fantasy.

    • Emanuela

      Ecco, proprio sui termini meno in uso ragionavo qualche settimana fa, in merito a un lavoro di editing. È molto difficile dividere un termine letterario e quindi alto da uno sempre letterario ma desueto. A mio modesto parere, se la storia lo permette e lo stile pure, ammetto un termine meno usato. In caso di stili veloci, incalzanti, stonerebbe un po’. Mi stupisco anche io, comunque, delle tante parole in “disuso”, magari a scapito di prestiti all’inglese!

      • Grazia

        Credo che sia sempre meglio essere elastici, soprattutto quando l’argomento è così sfuggente. Escludendo i casi più estremi, alla fine tutto va valutato all’interno del contesto.

  • Ariano Geta

    Intanto concordo sul “matura” piuttosto che “invecchia” (ma lo dico in modo del tutto disinteressato eh!, visto che io sono un baldo giovanotto che sta per compiere 22 anni… in questo secolo, tralasciamo il precedente
    Riguardo il sentirsi “datato” per ambientazioni e contesto, sì, in effetti ho notato che ormai nelle fiction tutto deve essere esagerato: una famiglia deve per forza essere composta tipo: da un padre segretamente cocainomane, una madre che in gioventù ha commesso un omicidio, un figlio feticista dei piedi femminili e una figlia undicenne però già sessualmente attiva (gli attributi si possono redistribuire a piacimento).
    Ecco, capisco che così facendo sono ancora più “datato”, ma io non ci riuscirei a creare una fiction del genere. Mi sembra solo pura esagerazione messa “tanto per”.

  • Barbara

    Uhm. C’è già Facebook che mi ricorda gli anni che passano in fretta, con le foto prese dagli album più vecchi in archivio. Ma questa settimana a casa abbiamo festeggiato un compleanno importante, e i mugugni non si sono ancora fermati. Così, per quanto schivi la questione, ahimè tocca anche me.
    Il mio pensiero è ancora più funesto. Riuscirò mai a terminare (manco “pubblicare”, ma “terminare”) un romanzo prima di lasciare questa vita? E se dovesse finire all’improvviso, che succede? Non ho eredi, ma poi anche ce li avessi, a chi importerebbe?
    Le bozze che sono da parte sentono tutto il rischio del passare del tempo, non tanto per il lessico, ma perché in quell’ambientazione non ci sono gli smartphone, appena i cellulari con gli sms, e non ci sono i social. Potrei introdurli? Si, forse, non so. Lasciarlo retrodatato com’è sarebbe più semplice, ma magari rischierebbe di non avere pubblico? Mah, ci sono persone che leggono anche i sassi, com me, e se la storia piace, chi se ne frega dei cellulari, dei social, dei compact disk, degli mp3 o delle spalline sotto le camicette.
    Valga lo stesso per il linguaggio. Se in un dialogo un quindicenne dice “desueto” o “serafico” un po’ mi preoccupo, ma il narratore onniscente deve arrivare a impoverire il suo stile? Non può invece cogliere l’occasione di rispolverare qualche bel vocabolo? E’ così che ho imparato parole nuove (per me, s’intende), perché non dovrebbe continuare ad essere così per le generazioni a venire?
    In quanto all’ibis eremita, non posso considerare la manovra di ripopolamento come “accanimento terapeutico”. A parte che proprio non sopporto quel concetto (in Italia si considera la procreazione assistita come “accanimento terapeutico”, invece di aiutare la vita a nascere, mentre poi ci si ostina a mentenere attaccati a un respiratore persone che hanno chiesto di porre fine al proprio strazio, una vita di dolore), per me l’uomo sta semplicemente cercando di porre rimedio a un danno che lui stesso ha provocato alla Natura. Così come la salvaguardia dei panda, o delle balene, o delle api. E speriamo che si capisce di frenare e invertire pure il surriscaldamento.
    Quindi magari anche nella scrittura potremmo cercare di limitare i danni che arrivano da Tik Tok…
    In quanto all’amico Tao, “La corsa e la caccia infiammano la mente.” Vado ad accendere il tapis roulant e poi caccerò …dentro il frigo!

    • Grazia

      Sono d’accordo con te sull’accanimento terapeutico com’è pensato in Italia. Per l’ibis mi lascia invece perplessa, perché mi sembra sottintendere che sia sempre possibile fare rewind per riportare le cose allo stato di X anni fa. Ecco, io non credo che questo criterio sia applicabile a tutto. Meglio sarebbe se fossimo più saggi nelle nostre scelte di oggi, perché ci sono tanti esseri/situazioni da salvare nel presente. (Cacciare dentro il mio frigo non è esaltante… forse nel tuo va meglio? :D)

    • Grazia

      Ti ho risposto a metà. Credo proprio che ai nostri posteri, familiari e non, non possa fregare di meno delle storie che scriviamo con tanta passione. Così è! Ma tu stai già scrivendo storie. Brevi anziché lunghe, non per questo di serie B. Sei già in sella; puoi decidere dove dirigere il cavallo.

  • Giulia Mancini

    Sui viaggi posso dire che alcuni luoghi per quanto tu li possa vedere nei film, sui social o in altre immagini, dal vero sono sempre un po’ diversi, almeno questa è la mia esperienza, poi dipende dallo stato d’animo di ognuno nel momento del viaggio. Sul linguaggio che invecchia non saprei, dipende molto dalla storia, se riguarda degli adolescenti di oggi o dei trentenni forse devo stare attenta ai termini, ma se il protagonista è un cinquantenne magari no…Certo può cogliermi il dubbio che un romanzo con un protagonista cinquantenne interessi meno, anche se poi con l’invecchiamento della popolazione attuale non è detto.
    p.s. L’ibis ha una faccia davvero simpatica…

  • Elena

    Hai visto gli Ibis? WOW! ti invidio parecchio, sappilo, saggia amica mia. Grazie per questa riflessione che non avevo mai fatto. Eppure faccio i conti con la mia evoluzione ogni giorno ma non faccio molto caso ai termini desueti, specie se da me usati copiosamente. Forse perché frequento persone mie coetanee a differenza tua che hai l’opportunità di confrontarti con un’altra generazione. Ma davvero non so se quest’onda di modernità debba coinvolgere la nostra scrittura. Cioè non è forse normale che il nostro linguaggio e il nostro vissuto si rispecchi nei nostri racconti e nel modo di raccontarli? Nella scelta del periodo storico, dei personaggi, delle ambientazioni, ecc. Non è forse questo che ci caratterizza come autrici? Se raccontiamo qualcosa che conosciamo bene e abbiamo vissuto o visto da moooolto vicino, non corriamo rischi (con qualche scelta accorta sulle parole, appunto). Quando invece tracciamo ritratti di protagonisti di altre classi d’età, beh, allora arriva il pericolo.
    Nel mio caso in Càscara come ricorderai ho dato voce a dei bambini, e mi è piaciuto tantissimo. Ho dovuto pescare nel mio vissuto ma anche ricercare termini peraltro coerenti con il periodo storico in cui la storia è ambientata, il dopoguerra. Ho contestualizzato si direbbe, e pescando nella mia di infanzia ho ritrovato alcune connessioni. E’ stato un percorso molto piacevole e apprezzato, mi risulta.
    Tutto per dire che il mio processo di maturazione mi soddisfa anche perché si porta dietro un bagaglio di esperienza e di parole per raccontarla. Ma vuoi mettere usare una delle parole che hai citato in mezzo a un racconto o a una conversazione? Sai la faccia del tuo interlocutore…
    Pensa che io uso ancora mutatis mutandis. E lo adoro. Le ragioni sono intrinseche nel significato ma anche nel suono e nell’allure vagamente retrò. Bacio, salutami figlio cane e ibis

    • Grazia

      Secondo me è normale e bello che scriviamo con il nostro stile e il nostro lessico, che naturalmente è legato anche all’età. Se così non fosse, sai che noia? Finiremmo con il somigliarci tutti. Però un conto è scegliere valutando, un altro è non farci caso. In particolare mi sembra importante chiedermi se il personaggio si esprimerebbe in un certo modo oppure no, perché lì sto cercando la sua voce, e non la mia. Gli ibis spero di salutarteli tra un paio di mesi, quando dovrebbero ripassare da qui per andare a svernare in Toscana… se hanno imparato la rotta.

      • Elena

        Ce l’abbiamo fatta!
        Certo che è necessario domandarselo sui propri personaggi. Non avevo mai pensato al mio di lessico. Ma alla fine, da brava anzianotta ormai, me lo tengo che mi piace così com’è
        Abbracci

  • Luz

    Eh sì, Grazia, tutto cambia, tutto si trasforma. A partire da noi, e tu come me senti che nell’avanzare dell’età perfino la realtà viene percepita in modo diverso, fino ai gusti, al modo di comunicare, agli scenari. Ricordo anch’io l’epoca delle epopee africane e australiane e aggiungo, che ne sanno questi giovani d’oggi del respiro di quelle storie? A parte gli scherzi, al momento sembra che il fantasy sia l’unico genere in grado di suscitare reale interesse. Le saghe fantasy o fantastiche sono le più diffuse, a discapito del romanzo storico, per dire un genere non apprezzato dalle nuove generazioni. Secondo me, però, continua a resistere quella scrittura e quel tipo di storia di sostanza, solida, magari non potrà arrivare a tutti, ma non voglio pensare che l’unico modo di narrare oggi sia quello apprezzato dai più.

    • Grazia

      La mia Africa della Blixen, Orzoway in tivù, oppure Uccelli di rovo, erano già fantascienza per noi. E’ normale che ora sia diverso. Credo però che alla fine l’importante sia questo: i generi vanno e vengono, gli stili anche, ma le storie di qualità trovano sempre un loro pubblico, e in qualche modo gli cambiano la vita. Perché lo fanno, altroché, anche quando come lettore non te ne accorgi.

  • Cristina

    Avevo letto questo tuo articolo alla pubblicazione, ma arrivo soltanto ora a commentarlo per bene… meglio tardi che mai! A mia discolpa vi sono stati i problemi di salute che ben conosci. Venendo al linguaggio adottato, io sono avvantaggiata perché scrivo romanzi storici dove il termine desueto non soltanto ci può stare, ma è addirittura indispensabile… per cui da quel lato mi sento abbastanza tranquilla. Certamente se un domani scrivessi un romanzo ambientato ai giorni nostri dovrei fare molta attenzione ai termini, specialmente se messi un bocca a dei ragazzi. Anche in questo campo però il terreno è scivoloso, perché mio figlio di 27 anni non usa il linguaggio di uno Youtuber di 18, insomma c’è una grande segmentazione di età.
    Mi hai fatto ricordare quanto entusiasmo si provava di fronte alle mete esotiche e lontane, io ho il diploma da operatrice turistica e rinunciai ad andare all’università per rendermi indipendente e viaggiare. Ho avuto paura, in questi mesi, di non poterlo più fare.

    • Grazia

      Non riesco a immaginare che sia facile scegliere il linguaggio per un romanzo storico… devono esserci trappole ovunque, e poi se sbagli registro e usi quello, chessò, del secolo precedente? Brrr…
      Per quanto riguarda i ragazzi, hai proprio ragione. Mi fa impressione sentire mio figlio parlare dei giovani nati nei primi anni del Duemila come se fossero di un’altra generazione, ma credo che con la velocizzazione di tutto si accelerino anche i cambiamenti nel linguaggio.
      P.S.: A furia di resuscitare commenti dal cestino mi sta crescendo l’aureola… ma che storia è mai questa? Sembra che WordPress ce l’abbia con le persone che scrivono commenti più lunghi di due-tre righe.

  • Daniele

    Giusta considerazione quelle dei termini desueti. Ogni tanto mi segno su un foglio le parole strane che incontro e leggendo molti libri attempati ne trovo molte (come per esempio montagnardo).
    Secondo me dipende da cosa stiamo scrivendo. In un romanzo storico stanno bene, ma termini antiquati sulla bocca di un ragazzino di oggi no. A meno che quel ragazzino non sia un tipo originale.

    • Grazia

      Come sempre, bisogna essere sensibili al contesto. Certi termini mi risvegliano l’attenzione come “vecchi” – di solito sostantivi e verbi – ma i modi di dire, per esempio, sono difficili da tenere sotto controllo, almeno per me.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *