Scrittura

Il punto di vista

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Questo è uno degli argomenti meno ovvi quando si parla di scrittura, quasi impossibile da azzeccare senza scivoloni sulla base del puro istinto narrativo, e non facile da capire fino a quando non ci si è fatto l’occhio. Non per niente si trovano imperfezioni anche nei libri pubblicati da editori prestigiosi, e sui manuali di scrittura l’argomento è trattato in cento modi diversi.

Il punto di partenza è semplice: ogni storia, anzi, ogni momento della storia, è visto dagli occhi di qualcuno. Immaginatelo come un film: la cinepresa dove sta? Lontana, a cogliere la scena nell’insieme, oppure vicina a un personaggio? E in quel caso, quanto vicina? Sentiamo i suoi pensieri e le sue emozioni oppure vediamo soltanto i suoi gesti?

Ecco, questa cinepresa è il punto di vista. Quando si è alle prime armi di solito non ci si pone il problema di dove piazzare la cinepresa, ma ci si limita a “spostarla” dove viene spontaneo in base a ciò che si sta raccontando.

Per fare un esempio, sono con Andrea mentre insegue l’assassino, con l’assassino quando viene catturato, poi vedo tutto con distacco per spiegare
al lettore cosa sta succedendo nel frattempo da un’altra parte. Tutto in base a ciò che valuto più importante “vedere” in quel preciso momento. Beh,
non funziona così. O piuttosto, non deve funzionare così se vogliamo

1) che la storia arrivi al lettore nel migliore dei modi

2) non presentarci come dilettanti agli editori

Stiamo proponendo al lettore un mondo fittizio, e non è un invito da poco. Se c’è un effetto che vogliamo ottenere prima di tutto, è che viva quel mondo come reale, preoccupandosi per i personaggi e restando incollato alla pagina. Questa empatia del lettore dipende molto dalla nostra scelta del punto di vista e dalla coerenza con cui lo applichiamo.

Tecnicamente il punto di vista ha due aspetti: la scelta della persona in cui si narra e quella degli “occhi” che vedono la scena. Per quanto riguarda il primo aspetto, semplificando possiamo narrare in:

1) Prima persona: io.

2) Terza persona limitata: egli, ella, collegata a uno specifico personaggio per volta.

3) Terza persona onnisciente: egli, ella, ma come un dio che tutto vede e tutto sa.

Questa scelta in linea di massima va rispettata dall’inizio alla fine della storia: se siamo onniscienti, tali dobbiamo restare; se scegliamo la terza limitata, idem.

Dico “in linea di massima” perché è anche possibile combinare parti in prima e in terza persona, ma non è l’opzione più semplice da gestire. (Per
vantaggi e svantaggi di queste tre alternative rimando al manuale Nel cuore della storia, N.d.R.)

Per  quanto riguarda il secondo aspetto, dobbiamo domandarci quali siano gli occhi più adatti a mostrare la nostra specifica storia. Sono quelli del protagonista soltanto, quelli del protagonista e dell’antagonista, quelli di un osservatore esterno? Tutto può essere giusto, purché aiutiamo il lettore ad avere chiaro in quali occhi si trova e non lo sballottiamo troppo.

Segnaliamo perciò il passaggio da un punto di vista all’altro con un cambio di capitolo (la scelta migliore), oppure una doppia interlinea, mai all’interno della stessa scena. E non dimentichiamo che al di fuori della terza persona onnisciente possiamo vedere e sentire solo ciò che il personaggio vede e sente, senza deroghe.

Se accenno alle emozioni di un altro personaggio, posso farlo soltanto usando le espressioni del suo viso, i gesti, le parole, ma non i suoi sentimenti, che in quel momento mi sono preclusi. Se il personaggio del
punto di vista si addormenta o sviene, la scena finisce. Se si ubriaca, la
scena si distorce di conseguenza.

Insomma, si può ben dire che il punto di vista ci lega parecchio, ma la sua importanza è enorme quanto spesso sottovalutata. Vale la pena di rifletterci su prima di iniziare il viaggio della prima stesura.    

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