Guest-post di Alessia Savi
Hai paura di ciò che scrivi?
Molti di voi già conosceranno Alessia Savi per avere visitato il suo sito. Alessia, oltre a scrivere narrativa, è infatti digital strategist e facilitatrice in libroterapia umanistica. Tra i suoi segni distintivi leggo: “spiccata creatività, responsabilità, passionale attitudine alla curiosità”. Un cocktail niente male, anche per la presenza della parola “responsabilità”, troppo spesso relegata nel ripostiglio dei doveri sgraditi. Buona lettura!
Scrivere è catartico. Chiunque prenda in mano penna o tastiera, lo fa con l’esigenza di comunicare qualcosa. A se stesso – perché quando dai voce ai pensieri, qualcosa si concretizza e i confini diventano netti e ben distinti – o agli altri, se decide di pubblicare e condividere ciò che fa. Il problema è che scrivere può essere un’arma a doppio taglio, se non si sa a cosa si va incontro.
Scrivere significa, prima di tutto, mettersi a nudo. Sono sempre stata convinta di essere una di quelle autrici che mettono molto poco di sé nelle proprie storie e moltissimo delle persone che le circondano e che hanno conosciuto. Peculiarità, piccoli dettagli o difetti: tutto quello che con attenzione vedo girarmi attorno durante la vita quotidiana. Forse questo significa che non conosco molto me stessa o che non voglio mostrarmi al prossimo.
Proprio in questi giorni Wilbur Smith, in Italia per la promozione del suo ultimo romanzo, ha dichiarato che la cosa migliore per uno scrittore è rendersi protagonista delle proprie storie. A me non è mai successo, o meglio, ho sempre trovato più congeniale vedere i miei personaggi come amici fidati o fastidiosi come zanzare. Vedo, vivo e sento attraverso di loro la storia che sto raccontando, ma spesso non mi muoverei come loro né farei le loro scelte. Anzi, in linea di massima su questo punto non ci troviamo mai d’accordo.
Davanti a una pagina bianca, restiamo smarriti e impauriti quasi fossimo in presenza dell’oceano in tempesta. Come dice Stephen King, la cosa che fa più paura è la prima serie di battute, proprio come il calcio d’inizio di una partita di calcio. Come affrontarla e superarla? Io, di solito, apro con la descrizione di un paesaggio, di ciò che circonda i protagonisti. Solo poche righe, che mi permettono di focalizzare dove si trovano i personaggi e cosa stanno affrontando. Mi aiuta a staccarmi dalla realtà e visualizzare ciò che sto scrivendo e, mentre (de)scrivo, si distendono anche i muscoli. Sino all’entrata in scena dei personaggi.
Scrivere e pubblicare – anche solo su un blog – significa anche mettersi in gioco, mostrarsi e (di)mostrare ciò che sappiamo fare. E quando si scoprono i nervi sotto pelle, ci si sente messi al muro e spogliati di ogni difesa. La scrittura – come il teatro – non ammette giochi di maschere: sei tu, con i tuoi pensieri e la voglia che hai di raccontare qualcosa. Non è il cosa racconti, ma il come a fare la differenza.
Quando pubblichi, generi aspettativa e crei un’audience che amerà o disprezzerà ciò che fai. Potresti anche passare inosservato, un nulla nell’Olimpo della rete. L’aspettativa del lettore genera su di te un’ansia da prestazione e un’automatica dipendenza dal commento.
Eliminale.
Le aspettative degli altri ne generano una di rimando su di te, in un circolo vizioso che ti lega a doppia mandata al giudizio altrui. Come ha scritto Rita Carla Francesca Monticelli in un articolo per Girl Geek Life, la vita dello scrittore – specie se indipendente – è lastricata di notti solitarie al PC. Parla delle tue storie, dei tuoi personaggi, di ciò a cui stai lavorando e coinvolgi il tuo pubblico,ma non chiedere mai feedback prematuri. Devi essere il solo a mettere la parola fine al tuo romanzo: gli altri, verranno dopo.
La paura del giudizio ci accompagna per tutta la vita, ingabbiati in un sistema che ci impone di omologarci e renderci uniformi alla massa. Ti dicono come vestire, come gestire il tuo tempo libero, cosa è trendy e perché lo è diventato (forse).
Tu sii te stesso: la scrittura, d’altra parte, non mente mai.
E ricorda, soprattutto, che lettura e scrittura sono soggettive: non possiamo piacere a tutti, così come le tematiche che trattiamo o i nostri personaggi. I miei personaggi preferiti sono in genere quelli detestati dai miei lettori. Questo la dice lunga, in verità, su quanto il mio rapporto con loro sia conflittuale.
E il blocco dello scrittore?
Capita a tutti, è la condanna di ognuno e spesso è legato alle aspettative (nostre e degli altri). La storia ci convince, ci appassiona, ci prende, poi arriviamo a un punto in cui qualcosa si inceppa. Stanchezza? Fattori esterni o interni? Ha poca importanza: la storia si arresta all’improvviso e più cerchi di scrivere, meno parole sensate escono con tutto il resto.
A volte lasciare mantecare le frasi non serve e non è sufficiente. Sam, nei momenti critici, scrive missing moments delle sue storie, piccoli aneddoti che possono incastrarsi nella trama originale. È un buon metodo e lo condivido. In genere, invece, io stacco proprio la spina e mi metto a scrivere altro, anche se questa prassi è rischiosa se si è in preda a folli attacchi di passione nei confronti dei propri personaggi o di particolari tematiche. Se sei soggetto a questo tipo di follie, lascia perdere, o ti ritroverai tra le mani scatole cinesi di storie incompiute.
E poi arriva lui, il maledetto, sospirato quanto desiderato e temuto al contempo, finale. L’hai voluto e inseguito, ti sei arreso ai tuoi personaggi o li hai schiavizzati facendo percorrere loro una strada ben definita in cui non hanno avuto possibilità di scelta. È il momento di salutarli, eppure qualcosa non va. Ti senti svuotato, spossato, triste quasi. O forse manca qualcosa, ma non sai cosa.
Il peggio sopraggiunge quando hai inseguito a ogni costo l’happy ending, e poi quel matrimonio non sa da fare. Proprio non va. Le scuole di pensiero sono due: c’è chi ti dirà che sei un mostro perché dispensi ovunque finali aperti o, peggio, finali ad alto tasso drammatico e chi, invece, ti dirà che devi farlo, perché la vita è così e pure la scrittura. Nonostante sia parte del secondo schieramento, in realtà sono convinta che il finale debba essere coerente con l’intera vicenda. E non parlo della storia generale, quanto delle storie dei singoli personaggi. A qualcuno andrà bene, a qualcuno andrà male, ad altri malissimo: proprio come nella vita, in cui spesso non esistono né vincitori né vinti.
Queste credo siano le paure più grandi di chi scrive. Le mie, quanto meno, sono – o sono state – proprio queste. Superata anche quella della pubblicazione (almeno in parte) il mio tallone d’Achille resta senza dubbio la dipendenza dai lettori. Se ho un ritorno di feedback costante scrivo veloce, in modo compulsivo. Quando lo faccio da sola, tutto l’entusiasmo si arena e le aspettative diventano così enormi che mi inchiodo a ogni paragrafo. Ed eccolo lì, il blocco dello scrittore.
La soluzione? Io ancora non l’ho trovata, e tu?
Hai qualche consiglio per tirarmi fuori dai guai?
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
31 commenti
Chiara Solerio
Qualche giorno fa ho scritto un articolo dedicato alle tre anime dello scrittore, corrispondenti a tre diverse fasi di lavoro: creatività – revisione – censura. La terza è quella più pericolosa, che riassumi nell' ormai arcinoto concetto di "blocco dello scrittore".
La verità è che nessuno di noi è mai completamente separato e scisso da ciò che scrive. Anche il personaggio che meno ci somiglia, porta con sé qualcosa di noi. Se così non fosse, non potremmo nemmeno crearlo. Idem quando creiamo soggetti ispirati a persone esterne. Perché ci siamo fatti "ispirare" da Mario e non da Gianni? Ogni persona è interessante a modo suo e, scavando a fondo, ciascuno ci può dare un'idea per una storia. Probabilmente Mario ha un'energia che risuona con la nostra, altrimenti non saremmo mai stati in grado di notare la sua peculiarità.
A volte è la paura di essere riconosciuti nei nostri scritti ad attivare il censore. Io mi sento sempre dire che dovrei "osare" di più. Pian piano ci riesco. Cerco di sciogliermi dalla mia paura di immergermi e di lasciarmi turbare. Il risultato cambia incredibilmente.
Alessia Savi
Ciao Chiara (^^)
Sì, moltissime persone mi hanno detto che è impossibile scrivere mettendo un muro tra di noi e ciò che stiamo scrivendo, tra noi e i personaggi. Credo che mettere tanto o poco di noi non debba interessare al lettore. Certo, se mi trovo davanti un autore la cui biografia o le cose amate sono le stesse dello scrittore, mi pongo troppi interrogativi e lascio perdere la lettura. La vedo come un'inserzione forzata dello scrittore nella sua opera. Se invece i punti in comune sono pochi, o abbastanza sottili da non destare "sospetti" di questo genere, ben venga. Forse a volte ci autocensuriamo per la paura che ciò che scriviamo non piaccia, specie se sono argomenti scomodi o non mainstream. Tu che ne pensi?
Chiara Solerio
Penso che tu abbia ragione. Il timore del giudizio degli altri a volte è un gran limite, così come la paura di dover guardare il lato più oscuro della nostra anima. Ciò che potremmo trovare oltre lo specchio ci terrorizza a morte.
Ho parlato molto del censore, sul mio blog. è un argomento che sto studiando perché… voglio abbattere questo nemico
Alessia Savi
Sono certa che ce la farai.
Un buon metodo secondo me è non essere giudici di sé stessi (non troppo, almeno) e di lasciare che le cose vengano lette dagli altri. Spesso non siamo in grado di essere oggettivi su ciò che realizziamo noi, per cui occorre essere bravi e chiudere gli occhi prima di buttarsi di sotto.
Francesca
Secondo me la soluzione sta nella frase che hai scritto all'inizio:
"Scrivere è catartico. Chiunque prenda in mano penna o tastiera, lo fa con l’esigenza di comunicare qualcosa."
Insomma: non possiamo non farlo, semplicemente. Pubblicazione o non pubblicazione, successo o non successo. E' il nostro modo di essere. Per superare il blocco, io cerco di ricordarmi sempre questo: non posso non scrivere.
Se invece parliamo di velocità, di "produttività", per così dire, allora è un altro discorso. Allora la soluzione non ce l'ho.
Alessia Savi
Ciao Francesca (^^)
Io parlavo più di produttività. E' credo superfluo, proprio per i motivi di cui parli anche tu, dire che uno scrittore smetta di scrivere dall'oggi al domani. Potrà arrestarsi ma troverà sempre il modo di scrivere qualcosa, anche solo poche righe. Il blocco può durare tanto, oppure poco, dipende dagli agenti che incidono su di noi e il nostro lavoro: a quel punto, non si tratta solo di "non scrivere" ma proprio di come andare oltre e riprendere a pieno regime a farlo. Anche tu ci cadi, a volte?
Francesca
Quasi sempre!
Alessia Savi
Ora mi sento meno sola, sai? (^.-)
Sam
Il mio problema, superato lo scoglio del giudizio negativo, è che mi creo delle aspettative troppo elevate: nel senso che tutto quello che faccio deve essere tale da darmi la certezza di aver fatto il meglio del meglio che posso. Ecco perché mi trovo *ancora* a lavorare e lavorare e lavorare sempre sulle stesse tre, quattro storie – senza mai riuscire a mettere il punto definitivo. Se ho una paura, esclusiva dello scrivere, è quella di non fare mai abbastanza bene. Razionalmente so che più di tanto non posso, ma a conti fatti continuo a inseguire la mia Araba Fenice. Nemmeno gli incoraggiamenti riescono a risolvere il circolo vizioso in cui mi sono cacciata. Mi sto autosabotando…
In compenso, sono riuscita a imbrigliare le mie passioni subitanee per le idee che mi vengono in mente e che potrebbero diventare altrettante storie. Ho imparato a dirottarle su quelle a cui tengo di più: così nascono i missing moment che scrivo quando sono bloccata per qualche motivo (a proposito: grazie per la citazione, Ale! <3).
Ho imparato anche a fare a meno del feedback costante. Ne ero diventata talmente dipendente da trasformarlo in un ostacolo, invece che in uno stimolo. Senza quei dannati feedback a rassicurarmi non andavo più avanti. Perciò taglio netto! E da quando scrivo "in solitudine" ho terminato una storia. Ci sono riuscita in poco più di cento giorni. Se mi guardo indietro, invece, vedo che in anni di spasimi per l'okay a procedere… di storie non ne ho concluse nemmeno una. Mi darei uno sberlotto da sola
Alessia Savi
Ciao Sam!
La tua tecnica funziona: impossibile non citarti! (^^)
Tu sei una Penelope, e secondo me questo rischia di bloccarti sempre nel solito circolo. E' un'autocritica che ti blocca, magari perché vedi che ci potrebbe essere qualcosa ancora da migliorare, fosse solo un paragrafo su mille. Ecco, devi secondo me cercare di essere meno critica con te stessa e lasciare agli altri questo lavoro: quanto vuoi limare quegli angoli? Non potrai farlo all'infinito, o rischi di trovarti con una sfera anziché un cubo! E sai bene che portano a due luoghi totalmente differenti, no? (^.-)
Quando è pronta la storia, lasciala a macerare giusto un po', e poi via… avrai sempre tempo per ritoccarla negli anni, quando la riguarderai a mente lucida e avrai scritto e pubblicato altre storie nel mezzo. A quel punto sì, che sarai più oggettiva! Il feedback ti frega perché è una cosa che si avvicina pericolosamente al fangirling. Cerco di uscirne, promesso! E la tua testimonianza mi aiuterà a uscire da questo tunnel, spero! Farai il tifo per me?
Anonimo
Le parole che hai scritto le condivido quasi completamente.
La mia paura, però è quella del confronto. A metà corsa comincio a dubitare di me stessa e della storia: e se non piacerà a nessuno? e se fa schifo?
e via dicendo… Insomma… Paure che potrebbero stare benissimo lontane da me… Ricominciare a scrivere è un lavoraccio, anche più che iniziare a scrivere per la prima volta.
Alessia Savi
Ciao Letterelastricate! (^^)
Il confronto con te stessa o con gli altri?
I paragoni dovrebbero aiutarci a migliorare, non essere un'arma a doppio taglio. I dubbi vengono anche a me, sono onesta. Come dicevo a Chiara, io ho la tendenza a scrivere "le storie che vorrei leggere e che nessuno scrive" e temo seriamente di essere al di fuori di ogni logica. Così spesso mi domando se sono così pirla – diciamolo – da amare idee, topos e situazioni che piacciono solo a me!
Anche a te capita questo?
Tenar
Mi è piaciuto molto questo post.
Alcune paure, credo, non passeranno mai, al massimo si arriva a conviverci, come fanno le persone soggette ad attacchi di panico. E se non riesco più a pubblicare nulla (c'è un mio manoscritto che è in giro da quasi un anno e non riesce a trovare casa, e se nessuno lo adottasse?)? E se il libro fa schifo? E se non riesco più a scrivere? E se finisco le idee?
Poi inizio a mettere su una pagina bianca una lettera dopo l'altra e la paura svanisce, c'è solo la storia e io sono al suo servizio (anche se magari finirà male) e null'altro è importante.
Alessia Savi
Ciao Tenar!
Sugli attacchi di panico ho scritto qualcosa durante il blog tour (se ti interessa, ero ospite di Less Is Sexy) ma devo dire che le paure, prima o poi, vanno messe da parte, o resteremo sempre ancorati al nostro porto di fiducia. Il manoscritto non trova casa? Perché non provi con l'autopubblicazione? (^.-) Il libro fa schifo? Lascialo giudicare ai lettori! Le idee non le finirai mai. A me è capitato di crederlo possibile, sai? Poi, alla fine, è successo che semplicemente ero così presa dalla praticità che non avevo il tempo di raccogliere le idee e farmi ispirare da ciò che avevo intorno. A volte spegniamo il cervello e smettiamo di osservare e lì, spegniamo anche le idee. Forza Tenar, lanciati! Sono certa che farai faville!
Marco Lazzara
Devo dire che non mi piace essere il protagonista dei miei racconti… sono una persona talmente noiosa che finirei col tramortire l'eventuale lettore. L'ho fatto unicamente per il blog di un mio amico, raccontando episodi della mia vita come chimico, ma aveva un senso più profondo, dato che ricalcava uno dei libri di Levi.
Non so invece d'accordo sull'affermazione "non è il cosa racconti, ma il come a fare la differenza." Sono sia la storia, sia come viene raccontata a fare la differenza. Una storia banale, ma raccontata in maniera magistrale, è più un esercizio di stile che altro, può divertirti per un po', ma poi non te ne rimane nulla.
Marco Lazzara
Potrei risponderti dicendo che l'umanità da millenni non fa che raccontare sempre le stesse storie, miti universali originali, e citare anche il celeberrimo racconto di Brown "Sentinella". E' il modo in cui viene raccontata ad averla resa immortale.
Quindi sì, mi hai convinto, in parte, anche se per esempio devo dire che lo stile di Stephen King è sempre lo stesso, i temi che tratta non cambiano, ma se alcune sue storie sono capolavori, altre (soprattutto le ultime) sono immondizia.
Alessia Savi
Ciao Marco!
Credo tu ti stia sminuendo: non ci credo che sei noioso! Altrimenti non scriveresti, sai? Le persone noiose non hanno mai nulla da raccontare (^.-)
Io sono convinta che se dovessimo dare le linee guida di una storia: due personaggi, una situazione, un inizio e una fine con paletti ben precisi a N scrittori, colpirà per forza il come è stato scritto, e sarà quello a fare la differenza. Puoi raccontare di vampiri, ma è il come lo fai a cambiare le carte in tavola. Se è una storia originale, con uno stile accattivante, sarà pur sempre la solita storia di vampiri ma… siamo sicuri sia davvero la "solita"? La letteratura difficilmente può rinnovarsi in tempi brevi. Per questo il come racconti il cliché e lo adatti alla tua storia farà la differenza.
Ti ho convinto almeno un po'? (^.-)
Alessia Savi
Quel racconto lo lessi almeno sedici anni fa, e ancora lo ricordo benissimo, riga dopo riga. E' quello l'esempio che dobbiamo ricordare quando scriviamo: a come stiamo raccontando, non cosa. Su King, benché sia uno dei miei autori preferiti, ti dò ragione su tutta la linea e trovo che sia un autore eccezionale nelle storie brevi, mentre nei romanzi si perde un po', con le solite tematiche da cui non riesce a staccarsi. Finisce per ripetersi, e se da un lato il tuo lettore saprà sempre cosa aspettarsi… dall'altro, sarebbe meglio rinnovarsi e cambiare. Tu preferisci un autore poliedrico o uno "statico"?
Grazia Gironella
Grazie del tuo articolo, prima di tutto. Mi sono riconosciuta molto nelle paure che hai nominato, ma da una certa distanza, come se appartenessero al passato. Perché adesso sono più brava, dici? Niente affatto. O magari lo sono, almeno un po', ma non al punto di non dover temere gli scogli nella navigazione (queli che hai citato e tanti altri). Il fatto è che una paura ha reso nebulose le altre, diventando "la Paura": quella di smettere di scrivere per carenza di risultati importanti prima di avere combinato qualcosa di davvero buono, magari proprio quando il vero passo avanti è dietro l'angolo. Se scrivi storie il successo, piccolo o grande, coincide con l'avere un pubblico che ti legge, e non è questione di avidità o presunzione. Niente lettori = storia muta. Però credo di avere un po' imparato a convivere con questa paura, e ti dico come: prima scrivevo sentendo fanfare di accompagnamento, adesso scrivo in silenzio, buona buona, perché tanto ho capito che scrivere non è proprio come l'uncinetto, che se non riesci bene lo metti nell'armadio, e avanti il prossimo hobby. Quando hai creato storie è difficile smettere. Scrivere dà assuefazione (oppure è una vocazione?). Perciò torno a preoccuparmi della pagina bianca, del finale e di tutto il resto, e lascio perdere le maxi-paure, perché è meglio così.
Grazia Gironella
Forse dopo quattro-cinque anni di scrittura intensiva e rifiuti da parte degli editori. La mia autostima ha resistito; ho solo pensato di dover lavorare di più e meglio. Però nel tempo ho capito che per farsi conoscere le capacità possono non bastare. Devi avere scritto la cosa giusta e averla proposta all'editore giusto nel momento giusto, e che sia capitata in lettura alla persona giusta, che in te vede qualcosa di speciale. Non è un cocktail tanto semplice da preparare, e soprattutto non è certo che riesca. Con questa ipotesi ci devi convivere, se non scrivi solo per te stesso.
Ho continuato a scrivere senza rallentare anche con il pessimismo a mille, domandandomi quanto tempo avrei resistito, fino a quando mi sono accorta che dovevo cambiare atteggiamento: o facevo uscire il mio scrivere dai riflettori della grande impresa, o avrei mollato. E' un po' come in bicicletta: se vedi una salita ripida e la affronti pedalando come un forsennato, è probabile che ti ritrovi spompato a lato della strada; se invece stringi i denti e ti concentri sulla regolarità della pedalata e sul respiro, arrivi in cima. Piano, ma ci arrivi. Ecco, per me è così. Il mio non è distacco, quindi, anche se così può sembrare, ma una (spero) saggia amministrazione delle risorse per durare.
Alessia Savi
Ancora grazie per avermi ospitata, Grazia (^^)
La tua Paura forse le racchiude un po' tutte, alla fine, o magari ne è la madre. I risultati sono un qualcosa che può dare dipendenza esattamente come i feedback, per questo credo che occorra imparare – ed è un monito per me stessa – a gestire la proprie solitudine scrittoria e poi, solo dopo, aprirsi al mondo. Devo crescere ancora tanto, questo lo so. Tu quando hai capito che le cose erano cambiate e le guardavi da un punto di vista differente, più distaccato?
Gloria Vanni
"Scrivere significa, prima di tutto, mettersi a nudo".
Grazie anche da parte mia, Alessia. anche io mi sono ritrovata in molte paure: l'ho pubblicamente confessato nella tua tappa sul mio blog
E condivido pure la paura di Grazia: "smettere di scrivere per carenza di risultati importanti prima di avere combinato qualcosa di davvero buono, magari proprio quando il vero passo avanti è dietro l'angolo…". E come te, Grazia, convivo abbastanza serenamente con questa sensazione che a volte è più incertezza che paura. Dall'altra parte c'è la passione e allora mi butto: anche se l'acqua è fredda, con quattro bracciate raggiungo l'altra riva e poi si vedrà!
Grazia Gironella
E' proprio questo: convivere con l'incertezza, senza camuffarla e senza odiarla. Poi si vedrà!
Alessia Savi
Grazie Gloria per essere passata anche di qui!
Come al solito la tua energia è contagiosa (^^)
Sì, credo che alla fine siano le aspettative (forse più le nostre che quelle degli altri) a incastrarci. Come superarla?
Corredo più veloce di loro!
Francesca Lia Sidoti
Ciao! Articolo splendido, mi ha emozionato. Ho poco da aggiungere, perchè concordo su tutto.
"Non chiedere mai feedback prematuri", questa me la devo scrivere in fronte. Le rare volte che ho mostrato qualche piccola anteprima, i risultati sono stati disastrosi, e la dipendenza da conferme ha sempre strozzato la mia vena creativa, più che stimolarla. Adesso presento al pubblico solo i lavori conclusi.
I miei finali sono…una diretta conseguenza di ciò che li precede, spero. Cerco di non consolare mai i lettori con qualche risoluzione facile, ma nemmeno di spremere tutte le loro lacrime con una tragedia gratuita. Spesso un finale naturale, necessario è più spiazzante di ogni soluzione posticcia.
Alessia Savi
Grazie Francesca per essere passata di qui, e grazie per i complimenti (^^)
Vedo che siamo tutti sulla stessa barca, alla fine… il feedback è fare un viaggio in due e cantare a squarciagola senza essere presi per pazzi. Dovremo entrare nell'ottica di un On the Road solitario ormai.
Il finale naturale è difficile, specie se si teme di esagerare in un verso oppure nell'altro. Tu come fai a essere certa che sia naturale e non costruito ad arte per accontentare i lettori?
Seme Nero
Tra quelle descritte manca la paura che mi attanaglia, la paura di mollare. È una paura infida, che mi segue costantemente e lo fa da una vita. È il dannato ideale dell'ostrica che mi blocca ogni volta che cerco di oltrepassare i miei limiti. Paradossalmente l'unica soluzione che ho trovato, non dico per seminare questa paura, ma per lasciarla indietro è di fuggire con calma, a piccoli passi e senza strafare. E da qui mi ricollego ai feedback o riscontri: secondo me non sono mai prematuri o dannosi se sappiamo valutarli per quel che sono, ovvero opinioni, obiettive finché vogliamo ma pur sempre opinioni. E se è valido il consiglio di non essere mai superbi è anche vero che non dobbiamo essere troppo umili. (Anche se forse sarebbe il caso che scrivessi qualcosa di più lungo di 5 pagine prima di dare questi giudizi :p)
Alessia Savi
Ciao Seme Nero grazie per il tuo apporto alla conversazione (^^)
La tua è una paura che non mi prende in realtà, semplicemente perché – come dicevano Grazia e Gloria – sono convinta che se scrivi ce l'hai nel DNA. Altrimenti non lo faresti. Io ho avuto periodi in cui tenere in mano la penna era impensabile, tuttavia devo dire che ho sempre ripreso a scrivere. Mi sono decisa poi a essere regolare per non perdere l'allenamento e l'abitudine, e ha funzionato. Non credo che il problema sia l'opinione in sé, quanto piuttosto trovare un pretesto per andare avanti e sentirsi spronati a farlo, in qualche modo. Non è questione di umiltà, ma una ricerca di condivisione. Tu questa paura non ce l'hai, invece?
Seme Nero
La paura di mollare la intendo nel senso di non portare a compimento un lavoro, uno scritto più elaborato. Ho provato a chiedermi come sarebbe non avere nessuno che legge i miei scritti. Penso che andrei a casa di mia madre, le direi che ho scritto qualcosa che non VOGLIO far leggere a nessuno e lo nasconderei in casa sua. La sua naturale propensione nel mancare di rispetto alla privacy le farebbe scovare e leggere qualsiasi obbrobrio potessi scrivere!
Scherzi a parte, credo che questa sia stata la mia paura iniziale, ma di averla superata nel momento in cui mi sono reso conto delle mie potenzialità. Penso che ci sia sempre qualcuno disposto a leggere e con cui condividere (non riuscire a farlo nell'era di internet mi sembra ridicolo!), si tratta solo di trovare le parole giuste da scrivere. In definitiva quindi, credo che mi bloccherei solo per poco, sono uno dei sostenitori della tesi della non esistenza del blocco, inteso come definitivo. Fosse anche solo un biglietto di auguri (molto elaborato) qualcosa scriverei. Aiutarmi con la regolarità sarebbe fantastico, purtroppo mi trovo in una condizione lavorativa che non me lo consente.
Salvatore
Arrivarci a scrivere un finale… Sarebbe bello, potrei quasi festeggiare. Comunque, hai ragione: scrivere genera ansia e credo succeda perché, a differenza delle parole dette, quelle scritte rimangono. Come scolpite sulla pietra e ti giudicheranno per questo. Lo faranno anche se avrai dato il massimo. Sicura di voler scrivere?
Bel post.
Alessia Savi
Io sicurissima, ma lo so da un sacco di anni (^.-)
Non è detto che poi, si scriva con l'obiettivo di farsi pubblicare, no?
Hai centrato un grande punto: il giudizio degli altri.
Quanto incide su ciò che scriviamo?