Scrittura

La morte nella storia

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…che non è la morte della storia, di cui forse parlerò in un prossimo post, né la morte dell’autore in corso d’opera, ipotesi non tanto remota nel caso di saghe multivolume.

Che bell’argomentino per l’inizio dell’anno! La morte, quella che la nostra cultura da un lato spettacolarizza, dall’altro ci insegna a tenere ben lontana dalla nostra coscienza. Qui, però, si parla di raccontare storie. È l’autore il dio che decide, e la morte tocca al personaggio.

Perché?

Già, serve un perché. Come ogni altro elemento, anche la morte del personaggio deve essere necessaria, o almeno utile a un preciso scopo, perché valga la pena di inserirla nella storia che raccontiamo. Le motivazioni possono essere diverse.

Scriviamo un genere che senza cadaveri perde di significato.
La nostra trama ha bisogno di un punto di svolta drammatico.
Vogliamo sorprendere, fare riflettere o colpire emotivamente il lettore, oppure i personaggi.
Ci interessa affrontare il tema della morte.


Prendiamo qualche esempio dalla letteratura.

Nella saga di Harry Potter, la morte di Cedric serve a scioccare il lettore, dimostrando dal vivo la crudeltà di Voldemort, e funge da transizione tra la fase più leggera e quella più cupa della saga. La morte di Silente, invece, recide il cordone ombelicale che lo lega a Harry, ormai cresciuto e in grado di portare avanti la storia sulle sue spalle; sancisce inoltre il crollo del Ministero nel conflitto con i Mangiamorte. In modo simile, nella saga Hunger Games la morte di Rue fa comprendere al lettore la crudeltà dei giochi e rende Katniss più determinata.

Non sempre la morte di un personaggio deve essere un punto di svolta oppure avere un impatto devastante sulla storia e sul lettore. A morire può anche essere un personaggio secondario, nel qual caso le conseguenze possono essere ridotte. A risentire dell’evento può essere il corpo principale della trama oppure una sottotrama. La morte può anche essere un semplice pretesto per far succedere qualcosa. In ogni caso sorge spontanea qualche considerazione.

La morte è un fatto serio.

Tutti la percepiamo istintivamente come tale, a prescindere dal contesto. Per questo motivo la morte che scegliamo per il personaggio deve essere non solo adatta, ma perfetta all’interno della storia, e trattata in proporzione alla sua funzione.

Esistono diversi tipi di morte.

La morte può essere triste, disgustosa, truculenta. Può suscitare rabbia o paura, oppure causare sollievo. Può anche far ridere, ma allora il lettore deve essere preparato a interpretarla in quella chiave. Comunque sia, se sbagliamo registro il lettore lo noterà subito e non ci passerà sopra con noncuranza, perché la morte, appunto, è una cosa seria.

La morte non è la storia.

Può capitare che la morte del personaggio sia il punto da cui siamo partiti per sviluppare tutta la trama. Questo è frequente quando uno dei protagonisti è affetto da una malattia grave, che in qualche modo determina il destino degli altri personaggi.

Anche così, la morte non può essere la storia. Può essere la fine di qualcosa e/o l’inizio di qualcos’altro, ma le ragioni del suo esistere sono sempre nella vita: quella del personaggio stesso prima della morte (e anche dopo, in alcuni casi), quella degli altri personaggi prima e dopo. Questa “vita” nella storia deve essere molto… viva e presente, non un semplice contorno. Se viene a mancare l’equilibrio morte-vita, la morte stessa perde d’impatto.

La morte deve essere realistica.

Se siamo nell’ambito del reale, naturalmente. Se siamo nel fantastico possiamo anche far trapassare il personaggio in una pioggia di scintille colorate (c’è chi l’ha fatto, più o meno), ma se ci troviamo nel nostro mondo, dobbiamo seguirne le regole con precisione. Non è detto che siano sufficienti le conoscenze tratte da film, riviste e romanzi.

Come si presenta la ferita prodotta da una granata?
Che aspetto ha una persona che sta morendo di peste?
Quanto tempo ci mette a morire una persona con l’arteria femorale recisa?
Riesce a parlare il malato terminale di una patologia ai polmoni?

Questi piacevoli discorsi ci portano al punto: se scriviamo delle stupidaggini, qualcuno là fuori se ne accorgerà. Il rischio non è solo quello di sbagliare un dettaglio, ma anche la scena in cui è inserito, per esempio facendo parlare per due pagine il personaggio che al massimo avrebbe potuto rantolare due sillabe.

Dobbiamo sapere quale reazione vogliamo suscitare nel lettore.

Se la morte del personaggio è funzionale alla storia, ma tutto sommato accessoria, non è un problema se il lettore la vive con superficialità. Se invece contiamo sul suo responso emotivo, dobbiamo essere in grado di suscitarlo.

Non tutte le persone sono sensibili agli stessi “tasti”, perciò è utile toccarne diversi, piuttosto che uno soltanto. Questo, ovviamente, nel modo meno verboso possibile, perché nel raccontare la morte è più che mai importante non esagerare. Per non scivolare nel melodrammatico, ci serve che l’emozione del lettore compia il suo lavoro su un terreno il più possibile sobrio.

Dobbiamo capire cosa suscita commozione.

Ecco una lista degli elementi che “funzionano”:

– sottolineare le qualità umane del personaggio che muore
– mostrare la vulnerabilità, accentuata in caso di età giovanile o senile
– porre enfasi sui legami della persona che muore con gli altri personaggi
– collegare la morte a una tragedia del passato
– ricordare i tempi felici del personaggio morente, da solo o insieme a chi gli era vicino
– dare il tempo al personaggio di prendere posizione nei confronti della morte, per combatterla fino all’ultimo oppure accettarla
– mostrare il personaggio morente che mantiene le sue manie e stranezze fino all’ultimo
– fare pronunciare al morente qualche parola finale incisiva
– menzionare dettagli minimi, con lentezza e quasi al microscopio
– mostrare il dolore dei sopravvissuti, subito e in seguito
– mostrare i pensieri assurdi dei personaggi vicini al personaggio morente, nati dal senso di straniamento dovuto al dolore
– mostrare il rito funebre
– fare in modo che il personaggio muoia lasciando un compito da svolgere a chi gli sopravvive

Per tornare ai nostri esempi, a commuovere il lettore nella morte di Silente sono la sua serena accettazione e l’impotenza di Harry, che è perfettamente consapevole di ciò che sta succedendo, ma non può intervenire per espressa richiesta di Silente. Nel caso della morte di Rue, negli Hunger Games, sono toccanti l’età della vittima, la ninna-nanna che Katniss le canta e i fiori che sparge sul suo corpo.

Dobbiamo conoscere le fasi del lutto.

Se vogliamo descrivere le reazioni dei personaggi vicini al morto, dobbiamo tenere presente il succedersi delle fasi del lutto: negazione, rabbia, presa di coscienza, depressione, accettazione. Non tutte queste fasi devono per forza essere presenti, ma è importante sapere che esistono.

Dobbiamo tenere d’occhio il rapporto del lettore con il personaggio che muore.

Alla base della reazione del lettore alla morte del personaggio c’è il legame che si è stabilito tra i due nel corso della storia. Simpatia, identificazione, empatia, ammirazione, antipatia e odio sono sentimenti diversi, che intrecciati alla drammaticità della morte susciteranno sfumature di sentimento diverse. Questo può essere insidioso per l’autore, che in certe situazioni può voler risvegliare nel lettore sentimenti incompatibili tra loro, come per esempio la pietà nei confronti dell’antagonista morente e la simultanea esultanza del protagonista. Le acrobazie emotive richiedono un certo spazio in narrativa, e anche una mano sensibile.

Il personaggio non deve portare il marchio del morituro.

…se non dove questo è necessario alla storia.
È fastidioso incontrare in film e romanzi quei personaggi così buoni, teneri e perfetti da farci subito pensare: “morirà”; e indovinare. Il
personaggio di solito non sa di essere destinato a morire, ed è bene che anche
per il lettore questo sia, almeno parzialmente, una sorpresa.

Dopo questo bel discorso sui “tasti” da toccare per far consumare al lettore pacchetti di kleenex, mi sento una persona orribile. Eppure è così: l’autore deve saper essere un freddo opportunista, almeno mentre pianifica. Dopo, può anche commuoversi sulla storia che sta scrivendo (e capita, come no).

A mia giustificazione posso dire di avere una competenza non acquisita sui libri: come lettrice e come spettatrice rispondo a ogni possibile stimolatore di commozione, anche il più becero, hollywoodiano e mal combinato. Se è questione di tasti, non me ne manca uno. Ho persino sviluppato tecniche personali per mantenere la situazione “sniffio” nei limiti della decenza, cosa che al cinema può sempre fare comodo. Perché, non ditemi che a voi non è mai capitato di impiegare cinque minuti ad allacciarvi le scarpe (senza lacci) a film terminato! Le luci che invadono la sala dovrebbero essere rese illegali.

Vi saluto con un aneddoto in tema, e precisamente un commento curioso comparso su un blog dove si recensiva il film Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate, che ho visto di recente (quattro volte): una ragazza dice di avere pianto così tanto e così forte che il suo vicino di posto le ha chiesto se aveva bisogno di aiuto!

E pensare che sono soltanto storie…

42 commenti

  • Tenar

    Questo post mi ha spiazzato nel senso migliore del termine. Scrivi di un momento importantissimo all'interno di una narrazione, eppure che pochissimi approfondiscono.
    Scrivendo gialli la morte, purtroppo, c'è in moltissimi dei miei scritti. Il primo problema che mi pongo è proprio quello della credibilità. Ho letto testi di medicina forense, ho anche incontrato un medico legale e mi sono dovuta fare una cultura in fatto di decomposizione e di altre amenità simili. I morti, purtroppo, sono, appunto morti e la morte non ti fa bella. Devo sapere che aspetto ha un annegato, piuttosto che uno morto per la perdita di sangue, piuttosto che per infarto e via discorrendo.
    Poi ci sono gli aspetti psicologici. La morte deve pesare (almeno nelle mie storie) non una cosa del tipo "tizio morì con un grido strozzato" e poi via, altra scena. Ci sono famiglie distrutte, affetti negati, attività sospese, anche quando a morire sono i "cattivi", qualcuno comunque li piangerà. Come autrice devo rispetto a tutti i miei personaggi (anche a quelli che voglio ammazzare perché non li sopporto).
    Per gli effetti narrativi della morte di un personaggio la folgorazione è arrivata niente di meno che da un manga, FullMetalAlchemist. Non muoiono molto personaggi in questo fumetto, ma ce n'è uno che l'autrice riesce a farti amare in pochissime scene la cui morte è un punto di non ritorno per tutti i personaggi. È la gentilezza e la promessa di un futuro migliore che viene spezzato. È un padre di famiglia che scompare per sua figlia, ma era anche una figura paterna per i protagonisti adolescenti. La morte, sopratutto se percepita come ingiusta, spinge a prendere delle decisioni, anche sbagliate. Per uno dei dei protagonisti adulti, ad esempio, è la causa di un giuramento di vendetta che poi rischia di distruggerlo. A dieci volumi di distanza l'autrice faceva ancora rotolare gli effetti di questa morte.
    Narrativamente credo sia un ottimo esempio: poche morti, che siano un trauma per il lettore e per i personaggi, i cui effetti devono ripercuotersi per tutta la trama.

    • Grazia Gironella

      Poche morti che influiscano su tutta la trama. Mi piace questa idea, e anche il fatto che non piazzi lì qualche cadavere per poi tirare dritto con la storia, come spesso succede nei gialli (forse quelli di scarsa qualità, leggendone pochi sono ignorante in materia). In effetti non mi sembravi quel tipo di autore, per quanto ho capito leggendo "La roccia nel cuore", che ho apprezzato molto.

  • Salvatore

    Articolo molto carino e ben curato. Trovo molto utili sia ciò che provoca commozione, così come l'hai elencato, sia le fasi del lutto. Tuttavia sono inutilizzabili per me, i miei personaggi muoiono così spesso che, se dedicassi per tutti le dovute cure, finirei per essere sempre presente a qualche funerale…

  • Chiara Solerio

    A me non è ancora capitato di affrontare il tema nella morte, anche se nel mio romanzo ci saranno, come da scaletta sommaria, almeno due episodi, forse tre. In un caso la persona in questione è molto anziana, e l'evento provoca una reazione fondamentale nel personaggio. Inoltre porta con sé nella tomba un segreto importantissimo.
    Per il secondo punto mi sembra lo sviluppo più adatto ad un determinato nodo narrativo.
    Per il terzo, invece, sono indecisa perché devo verificare la funzionalità di una scena del genere.
    Nessuno dei tre personaggi appartiene al cast dei "principali", sono tutte figure minori. Avevo pensato inizialmente di sacrificare uno dei personaggi più importanti, poi però ho deciso di "resuscitarlo" (stiamo parlando sempre della scaletta, ovviamente, non della trama visto che non è beautiful!) perché mi serve!

    • Grazia Gironella

      Due o tre morti da scaletta? Però! Meno male che hai "resuscitato" qualcuno…
      A me ancora non è mai capitato di far morire nessuno. Qualcuno ci è andato vicino, nei racconti, oppure sparisce e si suppone morto, ma niente di più. Comunque è un tema che non sto evitando di proposito (almeno non a livello conscio).

    • Chiara Solerio

      La storia che racconto copre un arco di tempo molto ampio, circa 15 anni, dunque è normale che qualcuno venga a mancare, specialmente qualche nonno un po' anzianotto, o qualche personaggio poco pulito. Queste scelte, oltre ad essere pertinenti con la trama, sono dovute al fatto che amplificano il realismo. In sede di stesura, poi potrei sempre cambiare qualcosa.

  • Gloria Vanni

    A me sembra qualcosa di più di un articolo "molto carino e ben curato", Salvatore! Mi sembra un gran bel pezzo che affronta un tema, la morte, che la nostra cultura evita di affrontare. Con il risultato che ci arriviamo tutti poco preparati e all'arte viene affidato il compito di fare ciò che non fa la realtà. Ovvero, ricordarci un giorno sì e l'altro pure che la morte è un passaggio della vita. Per fortuna c'è Grazia che ci "educa" a come usarla nella scrittura! Ho fatto un post su "perdita e perdere" che ha scatenato un po' di clamore e ho perso un po' di fan

    • Grazia Gironella

      Vado a cercarlo, allora… così magari imparo a perderne un po' anch'io!
      E' vero, certe volte tocca all'arte sopperire alle carenze della cultura e della società. Un ottimo motivo per alzare il livello, se ci si riesce.

  • MikiMoz

    Ciao Grazia!
    Io sono un amante della morte per fiction, sai?
    Mi piace perché crea un giro di boa, a corto – medio – lungo termine, per quanto riguarda la storia.
    Spesso la morte rappresenta la momentanea sconfitta dell'eroe, il suo esame e il punto per ripartire.
    Non nego che amo anche le morti finali, liberatorie. Ci sono personaggi nati per morire, io li chiamo "agnelli sacrificali"
    Bel post.

    Moz-

  • Francesca

    Un post utilissimo! Credo che lo studierò a memoria, risposte comprese, se riuscirò a superare una certa repulsione, credo naturale. Sono allergica alla morte nella storie che scrivo. Ovviamente come essere umano sono spaventata dal pensiero della morte mia o altrui e questo è normale per cui non mi preoccupa più di tanto, ma come scrittrice o aspirante tale sono consapevole di dover fare un po' la pace, prima o poi, con questo tema!
    Una mia amica un paio d'anni fa mi regalò un romanzo da lei amatissimo di uno scrittore italiano esordiente, dove a un certo punto, verso la fine, il protagonista si ammalava e moriva, nel giro di poche settimane. Il registro era realistico, ma io mi arrabbiai perché mi sembrava che la morte non fosse molto funzionale alla storia, che fosse bieco sensazionalismo. Tuttavia questo romanzo suscitò l'entusiasmo dei lettori e della critica. A un certo punto dovetti farmi un esame di coscienza e mi chiesi se per caso quell'opera non avesse funzionato anche su di me, visto che ero scioccata! Forse lo scopo era proprio scioccarmi…
    Insomma, a dire il vero non riesco quasi mai a capire perché un autore infili la morte del protagonista – per i personaggi secondari, hai ragione, è diverso – nella sua storia e perché dovrei farlo io.
    Oltre a faticare a comprendere l'utilità artistica del Tristo Mietitore, ammetto che mi sento un po' un avvoltoio se scrivo di morte e disgrazie gravi che portano alla morte. Forse mi ha stufato, influenzandomi negativamente, certo giornalismo, o forse questa è una scusa e in realtà come scrittrice non sono ancora in grado di prendermi le mie responsabilità, perché scrivere della morte è appunto una grossa responsabilità.

    • Grazia Gironella

      Mi sento molto vicina al tuo modo di sentire. Dammi una storia triste e che va a finire male, magari proprio con la morte del personaggio cui mi sono affezionata, e la uso come combustibile per il caminetto, fosse anche scritta dal miglior autore al mondo. Non solo: detesterei pensare di fare lo stesso effetto ai miei lettori. Piuttosto mi metto a scrivere romanzetti rosa, giuro. Detto questo, credo che la morte abbia dei risvolti importanti nella vita, perciò spero di riuscire a esplorare bene questo tema, se mi capita la storia giusta.

  • Sam

    La morte di un personaggio è qualcosa che sento moltissimo (anche quando è un secondario a lasciarci le stracce) e che non riesco mai a scrivere con la sensibilità che vorrei. In un modo o in un altro, subito dopo averne scritto mi sembra sempre di renderla o in modo superficiale o in modo troppo melodrammatico. Poi rileggo e o trovo il tutto troppo scarno o lo trovo privo di emozione. Insomma, non riesco a trovare il giusto equilibrio tra il mostrare la morte e farla percepire.
    Mi riesce più "naturale" scriverne attraverso le reazioni di chi resta.
    In ogni caso, anche se molti dei miei personaggi muoiono (alcuni nascono già con la crocetta sulla testa) sono sempre abbastanza restia a scrivere determinate scene.

    • Grazia Gironella

      Quelle scene sono difficili da scrivere, anche al di là della nostra antipatia per l'argomento. Lo hai detto bene: si fatica a trovare un equilibrio tra melodramma e freddezza. Un conto è sapere che devi ottenere l'effetto in modo sobrio, un altro conto è riuscirci. (Come va la tua storia, se non sono indiscreta?)

  • Cristina M. Cavaliere

    Questo post è un capolavoro, perché tocca un tema che molti evitano, sia a livello esistenziale che letterario. Mi ha fatto anche venire in mente il film "Departures" del 2008 diretto dal giapponese Yōjirō Takita, dove la cerimonia funebre di preparare il cadavere per le esequie mostra quanto rispetto questa cultura riservi ai morti. Nello stesso modo dovremmo trattare i nostro personaggi, come ben dici.

    Credo che per i personaggi primari la morte sia un punto di arrivo, il risultato di tutta una serie di avvenimenti cui hanno contribuito attivamente, proprio perché ci hanno fatto compagnia magari per molto tempo.

    Un'altra cosa su cui si riflette poco è che non è per niente facile il trapasso, perché lo spirito si rifiuta di lasciare il corpo e lotta attivamente. Ad esempio leggevo alcuni casi di omicidio in cui l'assassino raccontava di non avere previsto tutto il tempo impiegato alla vittima per morire. Ci sono anche degli esempi in letteratura, come i feriti nelle trincee in "Niente di nuovo sul fronte occidentale" o "Delitto e castigo". Agghiacciante ma vero.

    • Grazia Gironella

      Credo che quello dei rituali funebri sia un risvolto molto interessante, anche per capire una cultura. Mi piacerebbe approfondirlo in futuro.
      E' importante ciò che dici sulla morte come punto d'arrivo. Se la inserisci come evento isolato, non credo che il lettore riesca a sentirla davvero.

  • animadicarta

    Complimenti, Grazia, davvero un bel post.
    Come lettrice/spettatrice resto sempre infastidita da quegli autori o sceneggiatori che trattano questo tema con superficialità. Brutto per esempio vedere come un personaggio muore e dopo qualche pagina viene dimenticato, come se non fosse mai esistito.
    Tra i film quello che mi colpì di più, in positivo, fu "La stanza del figlio", dove la morte viene vista in modo estremamente realistico e coinvolgente. Ovviamente una mazzata in testa, ma è giusto che sia così.
    Devo ammettere che anche per me non è un argomento facile da affrontare sulla carta e le tue riflessioni mi saranno senza dubbio utili in futuro.

    • Grazia Gironella

      Come lettrice sono poco brava a ricevere le mazzate. Anche quando tutto mi dice che quel personaggio fa bene a morire, e magari sentivo arrivare il colpo fin dall'inizio della storia, una parte di me si ostina a dire "ma no!".
      Una cosa non ho detto, ora che ci penso: bisognerebbe evitare di far capire subito al lettore che si vuole far morire il personaggio. Creare la situazione per cui la morte abbia un senso è giusto, creare un po' di suspense anche; mettere subito al personaggio la veste della vittima, come succede in certi film in cui riconosci già tutti i segnali, non è bello.

  • Renato Mite

    Complimenti per l'articolo, è molto esaustivo e tratta l'argomento nel modo giusto.
    Io ho dovuto fare i conti con molto di quello che dici per il mio romanzo Apoptosis. A parte il titolo, nella storia c'è la morte di George Tobell che segna un punto di svolta per l'intera vicenda. Infatti questo evento non è solo l'occasione per Matt di impossessarsi di nuovi dati per attaccare la HOB, ma segna proprio il momento in cui Matt resta solo e deve portare avanti la sua missione e cominciare ad agire. Inoltre la vita di Tobell segna tutta la storia, infatti nella seconda parte del libro il ricercatore è presente, la sua presenza è l'espediente che contraddistingue tutte le digressioni che rivelano i segreti della Patoneuroscopia. Senza esagerare, direi che la storia è un monito a considerare la morte nell'ottica della vita che la precede.

  • Daniele

    Bel post. Io riesco a scrivere bene le scene di morte, perché ho un animo macabro e lugubre. Ho scritto racconti horror che erano quasi splatter, ho fatto morire personaggi a raffica senza problemi.
    Devo però dire che quando un mio personaggio deve morire non mi faccio tutti questi problemi né faccio tutte queste considerazioni, ma credo che vadano fatte, anche perché si tratta dell'uscita definitiva di scena di un personaggio, quindi cambia qualcosa nella storia.
    D'accordo sul realismo, poi: ho letto un paio di volte almeno che un personaggio muore soffocato nel giro di due minuti (come succede spesso nei film, poi), ma credo invece che si impieghi di più.

    • Grazia Gironella

      Nel mio caso, già soffro a informarmi su quanto tempo ci mette il tizio a soffocare… forse dovrei scrivere storie per bambini sui quattro anni.

  • Lisa Agosti

    Complimenti Grazia, come hanno già detto anche gli altri questo post è ottimo, ben scritto, con contenuti originali che fanno riflettere e che interessano chiunque si dedichi alla scrittura.
    Sarei curiosa di sapere perché hai visto il film sugli Hobbit quattro volte?!?

    • Grazia Gironella

      Io e mio figlio siamo appassionati di Tolkien e anche del modo che Peter Jackson ha di interpretarlo (anche se a Tolkien non piacerebbe, immagino), perciò ogni film lo vediamo prima tra-quattro volte al cinema, poi periodicamente, una volta acquistata la extended version. Siamo matti, sì!
      (Sai che da questa settimana la citazione ti arriverà la domenica?)

    • Lisa Agosti

      Direi che il vostro comportamento potrebbe essere inserito nella rubrica dei psicopatici di Salvatore
      Finalmente la citazione arriverà la domenica, beh, era ora, carina (da leggersi con erre parmiggiana snob e tiraschiaffi)

  • Anonimo

    mmmh… Il tema della morte l'ho sempre affrontato nei miei racconti, tanto che alcuni amici ormai sanno già che piangeranno come bambini.
    Prima li faccio affezionare e poi zacchete… certo in passato ho esagerato tantissimo, ora invece doso questo elemento, perché dalla morte non c'è ritorno.
    La morte di un personaggio è anche una svolta e ogni punto che hai elencato sono pienamente d'accordo con te!
    A questo evento di fine io aggiungerei anche la nascita, ma forse mi è venuto in mente un possibile post. grazie di cuore

    • Grazia Gironella

      Benvenuta! Sono contenta che trovi utile l'articolo.
      Bel nome il tuo blog: "La locanda in mezzo alla brughiera". Non posso che venire a trovarti, dopo che mi hai fatto balenare in mente Cime Tempestose.

  • Un tè con Chaplin

    Come promesso, eccomi qui. Lasciami dire che appena mi sono registrata al tuo blog e ho cominciato a esplorarlo, ho trovato due perfette coincidenze: il tema della morte e l'articolo su Samuel Johnson. Ma per non uscire fuori argomento mi soffermo sul primo.
    Sto al momento scrivendo un copione su Frida Kahlo, debutterò il prossimo maggio, e ho voluto un modo diverso di percorrerne il racconto, ossia un dialogo costante tra Frida e la Morte, che nella tradizione messicana assume l'aspetto della Pelona, "la vecchia cagna spelacchiata". Dovendo rappresentare fedelmente il valore di questa entità per il Messico, e con l'intenzione di spaziare anche in altre culture, mi sto imbattendo in molte sue raffigurazioni. Tutte, in certo senso, sono il superamento di quel tabù che è la Morte in tanta cultura occidentale. E' un universo variegato ed estremamente vasto e affascinante. La Morte irromperà nel mio racconto sul palcoscenico, ma come luogo verso cui Frida va a braccia aperte.
    Ottimo questo tuo percorso nel modo di costruire il momento della morte in una narrazione. Brava!
    Luz

    • Grazia Gironella

      Benvenuta! Un raffronto tra i vari modi di dipingere (anche materialmente) la morte nelle varie culture sarebbe molto interessante. In bocca al lupo per il tuo nuovo lavoro! Credo che prenderò l'occasione per conoscere meglio Frida Kahlo, partendo dal tuo blog.

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