Scrittura

10 modi per concludere un romanzo… più uno

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Tutte le storie hanno una fine.
Vediamo come concludono alcuni scrittori affermati.

Capita spesso di parlare di incipit e analizzare quelli di romanzi famosi per cogliere gli approcci dei diversi autori. È un’operazione interessante, che spesso ci mostra come i vari consigli dei maestri (ne ho parlato di recente qui) vengano spesso ignorati proprio nei romanzi più apprezzati.

La storia, però, deve pur finire in qualche modo. Non parlo dei finali propriamente detti, lieti o cupi, movimentati o quieti, con il loro bravo climax al posto giusto, ma dell’ultima manciata di parole che leggiamo (e scriviamo) prima che torni a regnare la pagina bianca.   Che se ne parli così poco è un peccato, visto che in queste ultime frasi c’è tutto il nostro stile e il gusto finale della nostra ricetta narrativa, ma tutto sommato la cosa è comprensibile: un buon incipit può aiutare il manoscritto a essere valutato per intero dagli editori, mentre la conclusione si può correggere in fase di editing senza problemi per nessuno.

Sia l’incipit che la conclusione, poi, non servono a nulla se la storia vale poco. Lo stesso, se cerchiamo di curare tutto al meglio, perché non curare anche la “coda” della storia?   Ho spulciato nei miei scaffali per raccogliere le righe finali di alcuni romanzi. Non sono i miei preferiti, né i finali né i libri da cui sono tratti. Ho usato come unico criterio la differenziazione, in modo da analizzare più generi, autori e autrici, periodi e stili.  

Concludere la maratona per l'atleta è arrivare al finale per l'autore.

Correvo. Ero un uomo adulto che correva con uno sciame di bambini vocianti. Ma non mi importava. Correvo con il vento che mi soffiava in viso e sulle labbra un sorriso ampio come la valle del Panjsher. Correvo.

(Il cacciatore di aquiloni – Khaled Hosseini)

Indugiai lì vicino, sotto quel cielo benigno; guardai le falene svolazzare tra l’erica e le campanule, ascoltai il lieve sospiro del vento tra l’erba, e mi domandai come fosse possibile immaginare sonni inquieti per quanti dormivano in quella terra tranquilla.

(Cime tempestose – Emily Brontë)

Ma quando giunsero in basso il viaggiatore era già nella barca, e il barcaiolo stava sciogliendo gli ormeggi. Avrebbero potuto ancora saltare sulla barca, ma il viaggiatore sollevò dal fondo una gomena dai grossi nodi e minacciandoli con quella impedì loro il salto.

(La metamorfosi – Franz Kafka)

Il taxi si fermò di schianto. Un improvviso lampo di sole colpì il parabrezza, facendo volare una pioggia di lustrini oltre il vetro. Vecchie chiazze di pioggia o forse segni di foglie, ma per un attimo li prese per qualcos’altro. Erano tanto luminosi e festanti che lì per lì pensò fossero confetti.

(Turista per caso – Anne Tyler)

(La testa) adesso è affusolata e minuscola. È bellissima: sottile, minuscola, angosciata… ma è lei. La tiro fuori spesso, durante il giorno, e resto a contemplarla. E così, vedete, dopotutto ho ancora la mia Stella qui con me.
E naturalmente ho lui.


(Follia – Patrick McGrath)

Risi, diedi una gomitata al braccio di Patrick. Fui costretto a ridere alla sua espressione, la stessa espressione che aveva quando eravamo ragazzi, quando eravamo i Mulvaney.

(Una famiglia americana – Joyce Carol Oates)

Racconta, verranno a dirmi. Così capiremo e chiuderemo il caso. Si sbagliano. Solo ciò che non capiamo può avere una conclusione. Non ci sarà nessuna conclusione.

(Il senso di Smilla per la neve – Peter Høeg)

Alekos vive, vive, vive! Ecco perché sorridevi tanto misteriosamente ora che calavi dentro la fossa dove il Gran Sacerdote coperto di ori e collane, zaffiri smeraldi rubini, simbolo d’ogni potere presente e passato e futuro, ruzzolava grottesco, rompendo il cristallo, calpestando la statua di marmo, credendo che soltanto quella restasse di un sogno, di un uomo.

(Un uomo – Oriana Fallaci)

Si mise a scrivere e, facendolo, capì un’altra cosa: che la casualità governa ogni angolo dell’universo tranne i recessi del cuore umano.

(La neve cade sui cedri – David Guterson)

– Eppure ce l’hai davanti a te. E oltre tutto sarà un bel titolo. Vero, Maestà?
– Signor Malaussène? – domanda la regina Zabo.
– Signor Malaussène – conferma Jérémy.
– Vedremo – dice la regina Zabo.
– C’è poco da vedere, Maestà.
– Signor Malaussène, allora?
– Signor Malaussène.


(Signor Malaussène – Daniel Pennac)

Ecco qui i miei dieci frammenti. (L’undicesimo lo tengo per la fine del post, capirete perché.) Astraendoli dalle storie che li hanno prodotti – quindi facendo una forzatura non da poco – li osservo, e cosa noto?

Queste chiusure sono molto diverse tra loro

E sì che sono tutte abbastanza normali, non leggendo io autori particolarmente estrosi e stralunati (salvo eccezioni). Pare che non esista la formula magica per ottenere una chiusura perfetta. Chi lo avrebbe mai detto?  

In tutti i casi c’è un cambiamento di tono, anche delicato ma sempre percepibile, nelle ultime righe rispetto al testo che le precede

Le modalità di questo cambiamento sono svariate: l’autore può accennare a una struttura circolare (Joyce Carol Oates), uscire dalla finzione citando direttamente l’opera (Daniel Pennac), trarre conclusioni dalle vicende narrate (David Guterson), lasciare al lettore un’immagine forte (Oriana Fallaci), comunicare un senso di mistero (Patrick McGrath), far sfumare la drammaticità della storia in toni più sereni (Emily Brontë). Sto semplificando all’estremo, naturalmente, perché nei finali che vi propongo c’è molto più di questo.  

Si ha la sensazione che l’autore sia stia congedando dalla storia

Entrambe le cose trovano un corrispettivo nella persona che legge: io-lettore mi stacco – talvolta a fatica – dalle emozioni e dai pensieri che la storia mi ha suscitato per cercare una comprensione più obiettiva e scoprire cosa mi porto a casa dalla lettura. Questo quando il viaggio è valso il costo del biglietto. Capita anche che io chiuda il romanzo già pensando al prossimo che leggerò, cosa per niente piacevole, né per me, né per l’autore.

Concludo con un finale che considero speciale, per l’autrice, per la storia che lo contiene e per il fascino che trasmette.

– Avete attraversato il Ghiaccio di Gobrin insieme – domandò Sorve, – voi e lui?
– Sì.
– Mi piacerebbe udire la narrazione di questa impresa, mio nobile Lord Inviato, – disse il vecchio Esvans, con infinita calma.
Ma il ragazzo, il figlio di Therem, disse, balbettando:
– Ci racconterete come è morto?… Ci racconterete degli altri mondi lassù, tra le stelle… le altre razze degli uomini, le altre vite?


(La mano sinistra delle tenebre – Ursula Le Guin)

Siete soddisfatti delle frasi di chiusura dei vostri racconti/romanzi?
Io non sempre e non del tutto, devo dire.
Sono curiosa di sentire le vostre impressioni sull’argomento.  

20 commenti

  • Glò

    Quel finale, l'ultimo, è potentissimo: ho letto il romanzo della Le Guin da adolescente, in piena fase sci-fi (ne ho avute e ne ho ogni tanto XD ovvero passioni sfrenate per un genere o un autore) e mi è rimasto veramente nel cuore. Ho deciso che è il tempo giusto per rileggerlo.
    I finali ottimi, quelli che segnano il lettore, danno il via alla fase di rielaborazione e "sistemazione" di ciò che si è appena letto e restano, in qualche modo, per sempre.
    Cito uno tra i (molti) finali preferiti
    Ci sono stati momenti in cui nei sogni che governavi sorse per te, dalla morte e dalla lussuria del corpo, un sogno d’amore. Chi sa se anche da questa mondiale sagra della morte, anche dalla febbre maligna che incendia tutt’intorno il cielo piovoso di questa sera, sorgerà un giorno l’amore?
    da La montagna incantata di T. Mann.

    • Grazia

      Anch'io vado a ondate, con la fantascienza in particolare modo (ma mi piace quella vecchio stampo, più filosofica che tecnologica). Bellissima la citazione di Thomas Mann.

  • Daniele

    Una volta mi piacevano i finali evocativi, ma poi ho capito che dipende dalla storia e dalla volontà dell'autore: ossia, cosa vuole lasciare al lettore.
    Molte volte mi piace chiudere con una frase o una scena che lasciano presagire qualcosa, o che tutto sia tornato normale o che ci si possa aspettare altro. Dipende sempre dalla storia e anche, credo, dallo stato d'animo dell'autore nel momento in cui conclude.

    • Grazia

      Il finale evocativo è sempre tra i miei preferiti, ma sono d'accordo sul fatto che le ultime righe devono essere prima di tutto giuste per la storia. Hai ragione, forse c'entra anche lo stato d'animo dell'autore, cosa che può creare delle forzature.

  • Tenar

    Una volta ho comprato un libro "Il corsaro nero piange" che racchiudeva solo chiuse di romanzi celebri, adesso non saprei citarne a memoria neppure una, ma credo che sia stato importante per la mia formazione.
    Di mio, cerco di curare molto il finale, anche più dell'incipit, sopratutto se si tratta di un racconto. L'ultimo che ho scritto è stato costruito tutto a partire dall'ultima frase.
    Infine, tu hai già citato il finale del mio romanzo preferito, anche se forse, per quanto sia una chiusa perfetta, su cui non ho niente da dire, non è tra i miei passi favoriti (forse sarei stata più dura e mi sarei fermata con l'arrivo dell'astronave…)

    • Grazia

      Interessante questo libro, non ne avevo sentito parlare. Sono d'accordo sulla particolare importanza dell'ultima frase nei racconti; anch'io ci dedicavo la massima attenzione (il che non significa che adesso non ne cambierei nessuna).

  • Andrea Cabassi

    Dipende dal tono del libro; il finale deve chiudere la storia e quindi deve essere in qualche modo "speciale", ma non per questo deve snaturarsi rispetto a tutto il resto.

  • Giulia Lù

    Questo post mi è piaciuto moltissimo cara Grazia, mai sai che hai ragione! Si dà una grandissima importanza all'incipit ma pochi parlano del finale; invece il finale ha davvero una grande importanza, un libro che mi delude sul finale anche se mi è piaciuto in tutto il suo corso perde qualcosa ai miei occhi. Ammetto che scrivere un bel finale è davvero difficile, io mi sono arenata spesso sulle ultime parole dei miei romanzi e quelle ultime righe le ho scritte e riscritte più volte finché non mi convincevano del tutto, anzi in merito alla coerenza della storia.
    Comunque tra i finali da te riportati secondo me quelli più belli sono quello di Hosseini e quello della Fallaci.
    Dei libri che ho letto di recente un finale bellissimo e struggente è quello di Elena Ferrante Storia della bambina perduta: A differenza che nei racconti, la vita vera, quando è passata, si sporge non sulla chiarezza sull'oscurità. Ho pensato: ora che Lila si è fatta vedere così nitidamente, devo rassegnarmi a non vederla più.

  • Marina

    Cristiano Zena aprì gli occhi.
    Tutti erano in piedi e applaudivano al passaggio della bara bianca.
    Si alzò e urlò: "non è stato mio padre".
    Ma nessuno lo sentì.

    ("Come Dio comanda"- Niccolò Ammaniti)

    La fine di un libro vale anche più dell'incipit. L'incipit cattura l'attenzione, dev'essere convincente, ma non è detto che per scoprire la bellezza della vicenda narrata ci si debba fermare alle prime pagine, mentre secondo me il vero segreto per scrivere un ottimo romanzo è il riuscire a chiudere la storia senza aprire la porta per fare uscire il lettore da essa.

  • Renato Mite

    Senza contesto, i finali perdono un po' di significato ma io credo che il finale sia anche più importante dell'incipit, deve dare un senso a tutta la storia, soprattutto nelle ultime parole.

  • Lisa Agosti

    Scrivere il finale è difficile, il mio (ipotetico, perché non sono mai arrivata a fine romanzo) è già cambiato più volte.
    È fondamentale sapere quale sarà il finale, non tanto all'inizio ma quando si scrivono i capitoli centrali, specialmente quelli del terzo atto, perché la frase finale è come un faro verso cui navigare, decide il tono di tutto il climax secondo me.

    • Grazia

      Verissimo! Se sai cosa vuoi raccontare, non puoi andare alla cieca. Immagino che qualcuno si lasci guidare al cento per cento dai personaggi, così da scoprire lui stesso come va a finire mentre scrive… ma io non sono mai stata tentata di usare questo metodo, per ora.

  • Anonimo

    Il finale mi mette sempre in difficoltà, non tanto l'ultima frase, ma proprio come concludere la storia, il lieto fine per me è d'obbligo. Bisogna un po' tirare le fila, ecco. Sandra

    • Grazia

      In un certo senso è un obbligo anche per me. Non faccio forzature, ma semplicemente scelgo storie che con il lieto fine stanno bene (o almeno lo spero!). Non sarei motivata a raccontare una storia che non finisce in modo positivo, eventualmente con qualche aspetto minore critico.

  • Gloria Vanni

    Anche per me la fine di un libro vale più dell'incipit: parlo da lettrice e quante volte sono rimasta delusa da un finale che non aveva la delicatezza di cui sopra giustamente parli, Grazia. Bellissimi gli esempi che hai riportato: studio e prendo nota per il mio futuro libro, intanto faccio pratica su articoli e post, anche quelli vogliono una fine adeguata, in sintonia con corpo, testo… Grazie!

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