
Scrittura e originalità
Quanto è importante l’originalità per un autore,
e cosa significa essere originali?
Prima di abbordare l’argomento, ci tengo a ringraziare i lettori che hanno voluto approfittare dell’offerta “due romanzi al prezzo di uno” per Cercando Goran e Veronica c’è. È sempre bello sapere che là fuori qualcuno è interessato a ciò che scrivo! Chiusa parentesi.
Se frequentate il mio blog da qualche tempo, sapete già che attribuisco all’originalità un ruolo non proprio centrale nella scrittura. La considero una caratteristica importante, diciamo, ma non proprio irrinunciabile.
In parte questa mia convinzione si basa sui miei gusti di lettrice: anche se una storia originale mi intriga, mi stupisce e mi fa ammirare la bravura dell’autore, ciò che mi resta a lettura terminata è largamente indipendente dalla sua originalità. La capacità di farmi entrare nel mondo narrativo e suscitare emozioni, per esempio, ha un peso di gran lunga maggiore.
Un secondo motivo è che ho un’idea corale-collettiva della creazione di storie. Sono millenni che ne inventiamo, ne raccontiamo, ne ascoltiamo. Al centro c’è sempre l’uomo, con i suoi bisogni, i suoi sentimenti, le sue paure ed emozioni, che lo scorrere della storia ha cambiato ben poco. In questa ottica l’originalità mi sembra poco più di un dettaglio, ulteriormente ridimensionato dal fatto di essere tanto relativo. Per ognuno è originale ciò che non ha mai letto, visto, sentito. Questo non significa che sia oggettivamente nuovo, come ho scoperto quando un lettore del premio IoScrittore dichiarò nella valutazione che la mia storia era copiata da ben due libri, che però non avevo mai sentito nominare.
Terzo e non ultimo motivo in ordine di importanza, provo una certa antipatia per l’egocentrismo che l’originalità sembra sottintendere. Come autori, attingiamo a un serbatoio interiore che si è riempito attraverso le nostre letture, i film visti, i viaggi fatti e chissà cos’altro. Davvero crediamo di inventare qualcosa di sana pianta? In fondo non facciamo altro che rielaborare in modo personale il materiale che abbiamo raccolto nel corso della nostra vita ‒ o delle nostre vite, per chi ci crede.
Per queste ragioni, che non ho messo troppo in discussione in questi anni di scrittura, ho sempre posto l’originalità sul podio dei falsi miti, insieme all’ispirazione e al talento: concetti che contengono una verità troppo spesso fraintesa, capace di portare l’autore fuori centro.
Oggi, però, sono qui a spezzare una lancia proprio in favore dell’originalità. Quale originalità, però? Artificiale o naturale? Entrambe, magari?
L’originalità artificiale, secondo me, è quella che ricerchiamo coscientemente per utilizzarla ai nostri fini. Serve a rendere le nostre storie più appetibili per l’editoria, anche se da sola non basta (cosa basta?). Offre al lettore stimoli più ricchi rispetto a una storia in cui può assestarsi dopo poche pagine sul binario che già conosce, o in gran parte immagina. D’altra parte fornisce stimoli importanti anche all’autore, perché lo allontana dallo scaffale dei cliché e lo spinge verso idee meno ovvie e meno facili da afferrare. L’originalità rende persino più facile individuare il concept del romanzo, da utilizzare per sintetizzare la storia e creare il blurb per la quarta di copertina.
Non si può dire, quindi, che l’originalità e lo sforzo per raggiungerla siano privi di effetti benefici per l’autore. Ma esiste anche un’altra originalità, diversa da quella “utile”, che identifico con l’autenticità dell’autore.

Qui si apre un vasto mondo sconosciuto. Hic sunt leones. Cosa significa essere autentici? Essere se stessi fino in fondo, si potrebbe dire; ma questo presuppone una conoscenza di sé non inclusa nel pacchetto-vita di base. Anche se ci fermiamo al livello della personalità, quello in cui siamo convinti che “io sono fatto così”, e basta, quanto materiale c’è da spalare prima di capire davvero? Amo A, detesto B, sono stato ferito da C, mi spaventa D… ce ne sono di domande da porsi. Per andare fino in fondo, può non bastare una vita.
Qui siamo ancora a un livello costruito dalle nostre esperienze passate. Se sfogliamo strato dopo strato per andare oltre queste sovrastrutture, utili per la sopravvivenza, ma rigide e “vecchie”, che essere umano troviamo? E se riusciamo a trovarlo, saremo capaci di collegare quell’essere umano all’atto dello scrivere?
Di questa forma di originalità, che consiste nell’indagare la nostra essenza, niente mi sembra spontaneo o ovvio. Qui non c’è un punto di partenza, né un traguardo, ma solo una ricerca fine a se stessa, che proprio per questa sua libertà porta cambiamenti di vasto raggio. Se arrivi a conoscere davvero te stesso, sarai per forza originale, perché avrai scoperto la fonte della tua unicità. La luce arriverà molto oltre le pagine del romanzo. Potrai attingere a ricchezze interiori che forse sarebbero rimaste per sempre fuori portata.
Inventare storie è un’operazione che si può fare a diversi livelli di profondità, senza che un livello sia migliore, o più giusto, dell’altro. Ognuno richiede un impegno di un certo tipo e può dare risultati di un certo tipo, e spesso attira lettori di un certo tipo. Credo però che un viaggio oltre la superficie di noi stessi sia necessario, almeno in una certa misura, se non vogliamo rimanere incagliati in secche che non ci lascerebbero più andare.
Più ci si inoltra nel labirinto, più i riferimenti si diradano. Si va per tentativi, immagino. Si dimenticano le tecniche narrative, si dimentica il pubblico. Si resta soli con quello che vuole uscire e chiede spazio. Il risultato può essere spazzatura per il mondo e un capolavoro per la propria interiorità, o viceversa; oppure una storia che vale per l’uno e per l’altra. Sarà così che scrivono i Grandi Autori, quelli che vengono riconosciuti come tali anche dopo secoli?
Mi viene da domandarmi se alla fine non sia proprio questo il vero scopo dello scrivere: liberare la nostra essenza imbrigliata dalle pastoie di una realtà che le va stretta. Scrivere per noi stessi, sul serio, non solo come modo di dire o come fase iniziale prima di avere il coraggio di proporci sul mercato.
Eppure, già mentre lo dico, sento che con le mie parole sto distorcendo il significato di ciò che penso. Scrivere può essere anche questo, ma la storia, come l’originalità, è qualcosa di più e di diverso. Esce dall’autore e crea un ponte che gli permette di arrivare a chi legge. Non si limita a scavare in se stessa; cerca un linguaggio che renda possibile la comunicazione di idee, sentimenti, intuizioni.
Idealmente, combinerei allora l’originalità utile all’autenticità. La prima si costruisce con la pratica della scrittura e con le scelte di ogni giorno; la seconda va conquistata millimetro dopo millimetro.
Cosa ne pensate? Sto facendo ragionamenti che forse non si combinano bene con la presunta leggerezza dell’estate…


Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.

Il momento della copertina
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17 commenti
Mattia Loroni
Io sono d'accordo soprattutto col fatto che l'originalità non è un fattore determinante per la valutazione di un'opera, di qualsiasi tipo essa sia (non necessariamente deve essere un romanzo). Per esempio, per la mia webzine musicale mi arrivano spesso dischi originali, con un genere non battuto o addirittura innovativo; tuttavia, solo alcuni sono grandi album, altri invece non sono granché. Questo perché l'originalità è un bene, ma se non la sostieni con la giusta qualità serve a poco; dall'altra parte, se riesci a non suonare troppo trito coi soliti cliché, a dar loro una forma non scontata, anche senza originalità puoi arrivare lontano.
In letteratura è lo stesso. Lo dico in primis come lettore: ci sono storie che non sopporto per quanto sono banali, ma altre che lo sono allo stesso modo e riescono lo stesso a piacermi. E come scrittore, la penso come per la musica: cerco di essere originale nelle mie storie, ma non punto solo a questo. Per quanto possibile, curo anche la trama, l'ambientazione, i personaggi: voglio in primis che sia un libro coerente e ben scritto. Se poi non riesce a essere originale come vorrei – perché come successo a te, può capitare che le idee che ritieni tue le abbia già espresse qualcun altro – non importa: rimarrà comunque un buon libro .
Grazia
Concordo su tutto. Serve sempre un cocktail di caratteristiche positive, che magari vengono valutate diversamente da ogni lettore, ma creano comunque una qualità che si percepisce.
Marco Freccero
Però si potrebbe anche aggiungere: l'originalità, l'autenticità di un autore, è tale anche dopo che è passato l'editor? La esalta? Oppura la annacqua? Se Dostoevskij avesse avuto un editor, sarebbe stato proprio "così"? Certo, qualcuno potrebbe dire che un editor deve essere rispettoso. Ma non può certo essere trasparente. Anzi, alcuni critici letterari si lamentano del peso che questa figura ha ormai nella scrittura.
Di più: e se l'originalità e l'autenticità di un autore fossero frutto del lavoro di un editor?
Grazia
Brutto tasto, questo. L'intervento dell'editor sicuramente toglie autenticità al testo, anche nel caso fortunato in cui lo rende oggettivamente migliore (ma esiste, poi, questo "oggettivamente"?). Ma quando puoi scegliere se avvalerti o no dell'editor, di solito sei nella situazione in cui vendi dieci copie in tutto. Bello, no?
LiveALive
Una volta ad un amico avevo commentato una cosa tipo "perché qui non hai usato un verbo denominale come fai di solito?", e lui mi ha spiegato che essendo un testo da pubblicare per un editore "mainstream" aveva preferito non usare uno stile troppo personale che il suo pubblico non avrebbe capito. In questo caso, capisci che invero l'intervento può aumentare l'autenticità, può eliminare le remore e i freni che fanno compiere scelte che non si sentono davvero.
In linea di massima, l'autore accoglie l'edit se gli sembra migliorare il testo: quindi rimane come una sua scelta, solo che magari non ci aveva pensato prima, gli fosse venuto in mente mentre scriveva avrebbe fatto lo stesso. Allora, questo non è un ostacolo all'autenticità.
Poi ci sono comunque anche casi in cui lo è. Non voglio difendere a tutti i costi questa attività, di editing ne ho fatti un po' facendomi anche pagare, ma non penso sia indispensabile nella forma in cui è fatta oggi.
D'altro canto, non è vero che gli autori dell'800 non fossero sottoposti ad un qualche tipo di Editing. La moglie di Tolstoj ha influito non poco sul suo lavoro, Ezra Pound ha controllato verso per verso i primi lavori di Eliot, Joyce e Svevo di contenevano i testi, Lovecraft faceva editing simile a quello di oggi agli autori suoi amici, Kafka leggeva i suoi testi agli amici per riceverne consigli, eccetera, e ancora prima Goethe ha mandato il Wilhelm Meister a Schiller per avere consigli su cosa cambiare, Dante mandava sonetti agli amici chiedendo commenti e modifiche, i poeti romani del primo secolo pure si ritrovavano per correggersi i testi, e via così. C'è sempre stato un feedback da parte di colleghi su come uno avrebbe dovuto modificare il testo prima di pubblicarlo.
Grazia
Benvenuto e grazie dell'intervento, che chiarisce e integra ciò che abbiamo detto. Ti do ragione, con due "però": primo, la qualità dell'editor è determinante sul risultato, ma in sé poco determinabile; secondo, la mano dell'editor ha un peso molto diverso da quello che possono avere i pareri di amici, parenti e beta-reader, perciò è molto più facile che un testo sottoposto a editing si allontani dalla forma che aveva nella mente dell'autore. È anche vero che spesso – credo nella maggioranza dei casi – l'editing migliora davvero il testo. Gli editor non sono perfetti, ma non lo sono nemmeno gli autori.
LiveALive
No no, guarda che ci conosciamo già. Facevo guest post su penna blu e da Anfuso…
Grazia
Forse non scrivevi sotto il nome di LiveALive? Tengo traccia di chi commenta, ma non eri sulla mia lista. In ogni caso ti ringrazio della visita.
Grazia
Scusami, ho risposto con la testa da un'altra parte. Non hai commentato qui, ma hai scritto su Penna Blu e Salvatore. Okay, ci sono.
Cristina M. Cavaliere
Per me l'originalità coincide essenzialmente con lo stile, che è la voce dell'autore e dovrebbe essere unica nel suo genere. Per ipotesi, leggendo una pagina qualsiasi, dovresti essere in grado di distinguere l'uno piuttosto che l'altro. Però lo stile non va forzato, altrimenti diventa manierismo. Mi è capitato di provare fastidio per uno dei romanzi di Fred Vargas, "Tempi glaciali": era come se facesse il verso a se stessa.
Grazia
Lo stile deve essere naturale, hai ragione. Uno stile artefatto non esprime l'autore, e credo non gli permetta di dare il suo meglio.
Rebecca Eriksson
Chi lavora come sceneggiatore a Holliwood ha l'obbligo di leggersi il libro Il viaggio dell'eroe, un trattato sulla struttura narrativa che dagli antichi ad oggi può essere schematizzata in dodici passaggi. Una struttura non rigida e non tutti i passaggi sono obbligatori, ma una trama funziona se adotta quei punti.
Se si usa Il viaggio dell'eroe per analizzare le trame, dalla commedia alla fantascienza, dal giallo all'horror, si scoprirà che la loro base è sempre la stessa.
Quindi la differenza la fa chi scrive.
Grazia
Ho letto anch'io il viaggio dell'eroe di Vogler. La differenza la fa sicuramente chi scrive, con il suo modo unico di interpretare materiale che è eterno.
Ferruccio Gianola
L'originalità dovrebbe andare di pari passo con la personalità per conto mio. Ci sono scrittori che riescono a mettere tutto loro stessi nei propri lavori ma riescono a imporli anche ai chi collabora con loro. Al giorno d'oggi temo ci siano mediamente ben pochi scrittori originali visto che sono costretti ad adeguarsi a regole editoriali che non sempre sono di proprio gusto
Grazia
Forse è proprio così, non sempre, ma spesso. Quando l'editoria pensa soprattutto a vendere, è ovvio che cerca di andare sul sicuro, quindi diffida dal diverso, dal nuovo. Questo è comprensibile, fino a un certo punto. Credo – spero – che esistano anche molti casi in cui l'originalità dell'autore è valorizzata e non semplicemente imbrigliata.
Giulia Lu Mancini
"Liberare la nostra essenza imbrigliata dalle pastoie di una realtà che le va stretta", ecco questa considerazione è per me verissima, è uno dei motivi per cui scrivo, l'ho afferrato bene leggendo il tuo post. La mia realtà mi va strettissima, oggi più che mai e, così, inventare storie mi aiuta a stare meglio. Amo anche partire da una storia per cambiarne il finale, magari regalare un lieto fine o una diversa chiave di lettura ad argomenti che sento molto. Sull'originalità sono d'accordo con te, esisterà davvero una storia originale? Secondo me è impossibile, ci sarà sempre qualcuno che avrà già trattato un determinato tema, forse è importante affrontare il tema in maniera diversa che lo renda autentico.
Grazia
Credo che siamo proprio sulla stessa lunghezza d'onda.