Le emozioni dello scrittore
Alla fine di questa storia, ce ne sarà un’altra?
A chi non è mai capitato di domandarselo, dopo anni di scrittura?
Qualche volta è per stanchezza. La revisione di un lavoro può lasciare esausti – forse deve farlo, o non ha svolto il suo compito. Qualche volta non si profilano all’orizzonte nuove storie, e questo fa nascere dubbi di ogni genere. Si dice che il serbatoio delle idee sia infinito, o persino si faccia più ampio e ricco nel tempo, se si continua a scrivere, ma non si può esserne certi. Se la sorgente si esaurisse, oppure si esaurisse la voglia di aspettare con la brocca in mano che il corso d’acqua sotterraneo si decida a riemergere?
La mia risposta più spontanea è sempre stata quella di fare un passo indietro per prendere le distanze. Va bene, scrivo, ma scrivere è ciò che faccio, non ciò che sono. Se ho sempre vissuto bene anche senza scrivere, posso tornare a farlo in qualunque momento. Non sono il tipo di persona che accumula manoscritti e scrive sempre e dovunque, spinta dalla passione pura, a prescindere dai risultati. Non ho nemmeno una carriera letteraria tale da farmi disperare all’ipotesi di gettare tutto alle ortiche. Quindi nessun problema: se mi stanco, smetto.
La cosa fastidiosa e un po’ inquietante è che quando non scrivo – del tutto, perciò niente romanzi, niente racconti, niente post per il blog – mi sento scendere addosso un senso di vuoto e di insensatezza che sfiora la depressione. È un processo graduale, che inizia dopo pochi giorni, non dopo mesi o anni. Dunque?
Non me la racconto giusta. Il mio atteggiamento di equilibrato distacco quando smetto di scrivere evapora, semplicemente. Anche se mi piace pensare di avere tutto sotto controllo, la verità è che negli anni la scrittura si è infiltrata in me in modo molto più sottile e pervasivo di quanto mi faccia piacere ammettere.
Leggendo un articolo sul blog di Tenar, che parlava degli inizi di una nuova storia, mi sono finalmente domandata non se la scrittura sia davvero importante per me, ma perché lo sia, e mi è parso di trovare un indizio: la vita di chi scrive è ricca, straripante di emozioni che si susseguono e si rinnovano a ogni nuova storia. Le emozioni dello scrittore sono vere montagne russe, che possono indurre dipendenza. Vi racconto le mie.
- Incertezza sfumata di sfiducia prima dell’avvento di una nuova idea. La mia fantasia è ancora attiva? Avrò esaurito il numero di storie che la mia mente è in grado di partorire?
- Sollievo quando qualche idea inizia a circolare. Nessuna ha ancora attirato la mia attenzione, comunque qualcosa si muove. È confortante.
- Eccitazione sottile quando si presenta un’idea promettente, ancora piccola e nuda, eppure carica di forza trattenuta.
- Cautela per non farla scappare. Fingo un interesse moderato. Meglio non illudermi, non è detto che sia l’idea giusta; sicuramente ha qualche tara che si rivelerà molto presto. Sono talmente lanciata nella mia ricerca che rischio di prendere le proverbiali lucciole per lanterne.
- Entusiasmo quando l’idea, invece di sgretolarsi ai miei primi pensieri, si rafforza. Allora è lei! Parte il fantasticare, quello pesante.
- Dubbi destabilizzanti al momento di iniziare a scrivere la storia. Avrò lavorato abbastanza sull’idea? Li conosco davvero i personaggi? Non dovrei approfondire qualcosa per non rischiare di rovinare tutto? E poi, come inizio? Le prime righe sono un tormento.
- Calma appena dubbiosa durante il primo terzo della storia. Okay, riesco ancora a scrivere ed è già qualcosa. Qualche capitolo messo in cantiere, bene bene. Vediamo cosa succede.
- Pessimismo nel secondo terzo della storia. Che fa la storia, si raffredda? Siamo sicuri che la trama qui sia abbastanza interessante? Non sembrerà forzata? Il finale è così lontano…
- Ottimismo nell’ultimo terzo della storia. Evvai, la tensione cresce, il climax si avvicina! Sono talmente presa da ciò che succede ai personaggi che mi trovo a ragionare con la loro testa. Sembrano così reali che potrei passare al protagonista il sale durante il pranzo.
- Emozione esplosiva mentre scrivo il climax. È una sorta di cocktail delle emozioni vissute dai personaggi principali, perciò si tinge di rosa e di nero, di luce e di ombra a seconda di ciò che succede. È un po’ come finire nel frullatore, in effetti, e quando finisco sono distrutta.
- La quiete dopo la tempesta. Adesso lascio calmare la furia della storia e trovo il modo di coccolare il lettore per fargli terminare la lettura con un delizioso sapore in bocca. Non è detto che ci riesca, ma intanto ci provo. Falso: ci riuscirò, perché in questo momento sono invincibile e onnipotente. Adoro cercare le frasi finali che racchiudono il senso della storia, suggestive ma non troppo rivelatrici, sintetiche e potenti.
- Sollievo, sorpresa e stanchezza a prima stesura finita. Davvero ce l’ho fatta anche stavolta? Chi l’avrebbe mai detto. Lo so, in teoria è normale, non sono una scrittrice? Ma non è così semplice. Intanto ho tagliato il traguardo. Ancora non ci credo, ma domani ci crederò.
- Relax durante la pausa prima della revisione. Per distrarmi inizio ad annusare l’aria alla ricerca di una buona idea per la prossima storia. Mi piace farlo adesso, senza pressioni di sorta. La storia “vecchia” l’ho messa nel ripostiglio, non esisterà per qualche settimana.
- Solennità a inizio revisione. Qui inizia il lavoro tosto. Dio sa cosa troverò rileggendo la storia. Mi aspetta un numero di riletture sufficiente ad ammazzare un cavallo.
- Nausea a due terzi della revisione. Basta, non ne posso più! Mi fa schifo tutto, i personaggi sono di cartone, la trama è banale, lo stile è piatto, i dialoghi sono ridicoli…
- Speranza e stanchezza verso la fine della revisione. Però, però, intanto sto finendo. Ma sai che la storia è carina? Alle decima rilettura mi sono ri-ri-ri-emozionata… chissà se il lettore con una sola lettura proverà quello che ho cercato di trasmettergli o resterà indifferente.
- Sollievo e brindisi. Ci siamo, la barchetta è pronta per il varo! Vai, figliola, e che la sorte ti sia propizia. Mi aspetta un bel periodo di riposo.
Non ho esagerato, queste emozioni ci sono tutte, e forse ho dimenticato di citarne qualcuna. Perciò lo ammetto: mi sono sbagliata. Non posso considerare la scrittura con equilibrato distacco senza mancarle di rispetto, e pensare che smettere di scrivere sia una decisione come un’altra è un vero sproposito. Chiedo venia.
E voi? Quali sono i vostri momenti peggiori, e quali quelli più gloriosi, cui non rinuncereste per nulla al mondo?
LO HA DETTO… Chuck Wendig
Il modo più semplice per distinguerti dalla massa informe degli aspiranti scrittori è 1) scrivere davvero, e 2) portare a termine ciò che scrivi. Basta questo a risalire la scala per approdare al secondo livello. Scrivi e porta a termine. È così che ti lasci alle spalle il branco e ti allontani dai lupi affamati chiamati vergogna e insicurezza. E anche dai lupi veri, per quanto ne so.
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
34 commenti
Chiara Solerio
Mi ha fatto colpita la tua frase “scrivere è ciò che faccio, non ciò che sono”. L’ho detta proprio qualche giorno fa ad una persona, riferita al mio lavoro “vero”. Per la scrittura, invece, è l’esatto opposto. Io sono una scrittrice, anche se non è la mia occupazione ufficiale, non compare su nessun documento e non è uno status symble. Preferirei essere identificata con essa. Preferirei essere definita “la scrittrice” invece qualunque altra cosa strettamente connessa alla sfera del fare.
Io sono una di quelle persone, forse romantiche, ancora convinta che scrittori si nasca. Certo, la tecnica si affina con il tempo. Ci possono essere periodi di blocchi o di silenzio. E, credimi, non è vero che si vive bene anche senza la scrittura. Almeno per me non è stato così. Quando Chiara è felice, scrive. Se non scrive, è perché sta male. Questa è un’equazione inscindibile nella mia vita. Almeno così è stato negli ultimi quindici anni. Un mio amico buddhista una volta mi ha detto che una persona che non asseconda la sua natura è destinata ad essere insoddisfatta. Ed io ho vissuto questa sensazione per moltissimo tempo. Ora invece mi sento appagata. Per quanto la scrittura rappresenti appena un 10% di tutte le cose che ho da fare, mi rende così felice da riuscir ad invadere anche i settori più cupi.
Il bello è che non so nulla sul mio talento. Non saprei quantificarlo e non so nemmeno se esiste. Non so se sono brava. So soltanto che scrivere mi piace tantissimo, che da quando ho ripreso sono cambiate moltissime cose, la mia autostima è cresciuta al punto da condizionare altri settori della mia vita, portandomi a compiere un passo che fino a ieri mi faceva una paura boia: smettere di fumare. Mi trovo in una fase in cui l’unico risultato che mi interessa è arrivare alla fine dell’opera, senza accantonarla come ho fatto altre volte. Per me sarebbe già un grandissimo cambiamento.
Il libro Scrivere Zen, se non sbaglio, parla dell’ “essenza dello scrittore”: se ho materiale consistente, magari lo uso come base per il post di domani. Vedrò.
Perdonami il lunghissimo off-topic. Per quanto riguarda le emozioni, anche io a volte ho paura che non avrò altre idee all’infuori di questa. E parlo di paura proprio per il motivo di cui sopra, per quella presunta mutilazione dell’identità che temo di subire un’altra volta. Per il resto, provo un gran senso di appagamento ogni volta che una scena mi esce bene. Adoro assistere al passaggio dal caos all’ordine. Mi sento una specie di demiurgo!
A presto!
Grazia Gironella
Sono convinta che il tuo amico buddista abbia ragione: ognuno di noi ha un talento che chiede di essere sviluppato, e se quel talento è la scrittura, non dargli voce è deleterio.
Eh sì, io lo dico “scrivere è ciò che faccio, non ciò che sono”, ma poi i fatti mi smentiscono.
Francesca
Quando dici "Non sono il tipo di persona che accumula manoscritti e scrive sempre e dovunque, spinta dalla passione pura, a prescindere dai risultati"…beh io invece mi ci sono riconosciuta!
Per me è una esigenza primaria, subito dopo respirare e mangiare e uno dei motivi per cui mi sono accostata al tuo blog è il titolo, che mi ha subito attirato moltissimo!
Le emozioni principali sono: lo stupore, come dici tu, sia all'inizio che alla fine, per due motivi diversi: di essere stata proprio io a pensare quella storia e di accorgermi che qualcuno la apprezza; un senso di pienezza, di completezza e di autorealizzazione sia durante la prima stesura che nelle fasi iniziali della revisione, si tratta di quel sentimento che ti fa pensare: "comunque vada, sono felice e vivo il presente, dovesse essere l'ultima cosa che faccio", un po' come quando t'innamori.
E poi sì, hai ragione, la nausea. Soprattutto quando devo finire in fretta, arriva un momento in cui mi sento male solo all'idea di rileggere un rigo di ciò che ho scritto e mi sembra tutto assurdo, pedante, smorto!
Una sorta di sindrome abbandonica quando ho finito, aspetto che le persone a cui ho consegnato il lavoro si esprimano e quando non ho nulla da scrivere.
Sì, temo si tratti di una dipendenza!
Grazia Gironella
Sai che un po' ti invidio? Devi sentirti molto libera a scrivere con lo stesso gusto per te stessa o per un pubblico. Ti salvi da una parte di stress che certe volte può diventare decisivo nella scelta di continuare a scrivere o smettere… anche se poi, come dicevo, nei fatti la dipendenza c'è anche per me.
Sam
Accidenti, la lettura di questo post mi ha fatto rendere conto che la maggior parte dei miei sentimenti, invece, ormai è perlopiù negativa (tranne quando arrivo alla conclusione della prima stesura): su tutti domina l'incertezza. Non saprei nemmeno dire, adesso, quando mi sono persa per strada il resto. Però sono sicura del fatto che diventare una scrittrice è sempre uno dei miei obiettivi principali.
Forse è solo un momento di stanchezza. O forse mi ci vuole una riflessione più profonda.
In ogni caso, il tuo post ha smosso qualcosa. Grazie!
Grazia Gironella
Si va un po' a periodi, secondo me. In certi periodi la nebbia è così fitta che non sai minimamente cosa stai facendo, ma poi in altri momenti la strada la vedi, almeno per un piccolo tratto. Del resto uno scrittore ha detto che scrivere è come guidare la macchina nel buio, e che riusciamo a farlo perché la luce dei fari ci permette almeno di non andare fuori strada.
Francesca
Se ti può consolare, Italo Calvino diceva che scrivere non lo divertiva per nulla. Che lui intendeva divertire il lettore ma non si divertiva a sua volta.
Sam
@Francesca: non sapevo di Calvino! Grazie, è un aspetto interessante dello scrivere. In realtà io mi ci diverto. Ma solo finché non penso a nient'altro. Nel momento in cui stacco, per valutare quello che ho fatto e quello che devo ancora fare, scatta la negatività. Per quello che ho già scritto… niente di nuovo sotto il sole. Il problema è pensare al resto della storia da scrivere chiedendomi se ne valga la pena. Sarà anche per questo che, nonostante continui ad andare avanti, a volte succede che tra un capitolo e l'altro io non apra i file per una intera settimana.
Come dice @Grazia, si va a periodi. Solo, non mi ero accorta di essere finita in un loop in nero. Adesso che me ne sono resa conto… meglio che ne esca
Tenar
Innanzi tutto ti ringrazio per la citazione!
Mi sono ritrovata molto nelle emozioni che descrivi e anche nell'incapacità di non scrivere. O, meglio, so che da qui ad almeno Natale non avrò il tempo materiale per scrivere. Ce la posso fare (si diceva della dipendenza, eh?), ma non riesco a smettere i immaginare storie. Frammenti che, quando poi non si compongono tra loro in un tutto che abbia senso, rimangono taglienti e frustranti. Quando invece tutto torna si vola, come dicevi tu.
Visto da fuori ammetto che non sembra un meccanismo psicologico molto sano. Però, insomma, scrivere farà meno male alla salute di tante altre cose, no?
Grazia Gironella
Eh sì, me ne vengono in mente parecchie, anche poco riconosciute… Nei tempi morti (per diversi motivi) anch'io frullo con la fantasia, ma se quei tempi si dilatano troppo sento che la sfiducia e i dubbi si solidificano in una nube sempre più cupa, sempre più pesante. Questo mi preoccupa, perché mi domando se poi riuscirò a uscire dalla tempesta. Ma sono tutti viaggi mentali, perché se mi obbligo a scrivere una frase – una sola frase! – si accumulano subito le pagine. Dovrei avere più fiducia in me stessa, nella storia e nella sua ignota origine.
Francesca
Nei tempi morti io m'impongo una "cura ricostituente" di letture che m'impongo anche di schedare. Proprio come se fosse una (auto)prescrizione medica! E, devo ammetterlo, conta sì il tipo di letture, ma più ancora la quantità. Solo così non cado in depressione!
Grazia Gironella
Vero, anche un bell'impacco di libri da leggere fa miracoli. La schedatura in particolare è molto professionale.
Salvatore
Ma quanto mi piacerebbe provare quella sensazione di relax prima della revisione… Ovviamente per provarla devo prima finire il manoscritto! Meglio lasciare perdere.
Tornando al tuo post, non so perché amo scrivere. Forse non mi sono mai posto davvero la questione. Sono stato dieci anni senza farlo (tranne casi sporadici, racconti buttati giù di getto) e ho vissuto bene. La verità però, è che se avessi vissuto davvero bene senza scrivere non sarei tornato a farlo. Invece, eccomi qua.
Scrivere, potrebbe dire un Bukowski qualsiasi, è un fatto di stomaco: che tu abbia fatto una bella scorpacciata o una maledetta indigestione, prima o poi devi tirarla fuori…
Grazia Gironella
Pensa quanto è importante finire il tuo romanzo: dopo, anche nei momenti più fiacchi, saprai che ce l'hai fatta una volta e quindi puoi farcela ancora. Per me è così. Se ci pensi, scrivere è semplice: appoggi le dita sui tasti e scrivi quello che ti passa per la mente, per quanto schifoso sia, tanto a correggerlo ci pensi dopo. E' il nostro emisfero razionale – tanto utile in altre circostanze – a crearci tutti questi problemi.
Grazia Gironella
Sul tirare fuori sono molto d'accordo. Ogni tanto mi trovo a scrivere qualcosa con un impeto all'apparenza ingiustificato, e poi mi viene in mente la sua origine, in qualche angolo in teoria dimenticato.
Anonimo
In realtà ho provato a scrivere senza "pensarci". Ho scritto ben 200.000 caretteri in quel modo, uno dei tanti romanzi abbandonati, ma non va bene ugualmente. Bisognerebbe trovare il giusto mix fra le due cose. Ho letto un tuo articolo del 2012 sulle scalette… proverò a riempire la scrivania di foglietti e vediamo.
animadicarta
Direi che la penso come te su tutta la linea e condivido ogni tua emozione. Compresa la sottile depressione che avanza quando smetto di scrivere o non posso farlo. Deve essere come dici, la scrittura è qualcosa che dà dipendenza Forse pensiamo di poter smettere in qualsiasi momento, ma non è così!
Grazia Gironella
Infatti non lo dirò più, perché non ci crede nessuno; certo non i miei familiari, che sopportano le mie paturnie nelle crisi di astinenza. Adesso sono nella fase di soggezione che precede l'inizio di una nuova stesura (ho scritto le prime frasi, ma è solo un trucchetto per dire che sono partita) e mi sento in un limbo strano, da cui osservo me stessa pensando "adesso che succede?". Sono curiosa di scoprirlo.
Anonimo
Ho apprezzato molto questo tuo post così dettagliato nel quale mi sono ritrovata. Ti dirò avendo un blog credo che non si smetta mai del tutto di scrivere, per me il blog è una palestra attiva dove mi alleno con regolarità. La preoccupazione maggiore è temere che mai mai mai più una buona storia si affaccerà alla mia mente, chiedendo strada e parole. Come ora, ora che però sono ancora abbastanza rilassata, con 3 romanzi pubblicati, non sono certo famosa, ma ho raggiunto come ho spesso detto, il massimo. Ho terminato la prima stesura del quarto e davvero ora è vuoto di idee, zero, chissà, il futuro non lo conosco, ma in questo momento mi va bene anche così. Sandra
Grazia Gironella
Anch'io trovo che il blog sia un'ottima palestra, ma per me c'è un piccolo prezzo da pagare: quando finisco di scrivere il post per il blog ho le batterie scariche, proprio come quando finisco di scrivere narrativa o altro. Questo riduce il tempo dedicato al romanzo in corso d'opera, ma ne vale assolutamente la pena.
Grazia Gironella
Bello sentire, come dici, di avere raggiunto il massimo. Non l'ho mai provato, ma deve essere fantastico.
Grazia Gironella
Scusa, scrivo a rate: qual è il tuo blog? Se posti il link possiamo venirti a trovare (anche se credo di essere già passata).
sandra
Ma figurati, mi fa piacere se hai ripensamenti che ti inducono a tornare per dire altro.
C'è da aggiungere che il mio massimo, per altri sarebbe zero, ma sono una persona semplice e credo molto consapevole dei propri limiti.
Il blog è http://ilibridisandra.wordpress.com
Grazia Gironella
Ah, ecco! Avevo cercato un modo per iscrivermi senza trovarlo, ma adesso ti ho inserita nei feeds e riuscirò a seguirti.
Sapersi porre degli obiettivi personali che prescindono da quelli più diffusi e accettati è una dote importante. Del resto non siamo tutti uguali; perché dovremmo desiderare tutti le stesse cose?
Daniele
Io ci vedo solo sofferenza a scrivere, mi piace di più quando arriva l'idea e mi metto a progettare, ma la stesura è una fatica per me. E no, non mi diverto neanche io, sinceramente. Il divertimento è confinato all'idea.
Grazia Gironella
Quella dell'idea è una fase grandiosa, ma non è frustrante vivere la scrittura vera e propria come un fastidio? Beh, immagino che lo sia. Sei bravo se riesci a conviverci.
Grazia Gironella
Infatti non si può semplificare troppo. C'è un bel misto di sensazioni mentre si scrive, e andare a metterle sotto il microscopio può essere utile, ma anche no. Come si suol dire, tutto va bene purché funzioni!
Daniele
Non è un fastidio, altrimenti avrei smesso
Però non ci vedo un divertimento puro. Ma in realtà non so che sentimenti abbia quando scrivo.
Lisa Agosti
Direi che il fatto stesso che scrivere ti provochi tutte queste emozioni sia sufficiente a rassicurarti che non avrai voglia di smettere. Il cervello ordina il rilascio di ormoni e il corpo ne diventa dipendente, e ne vuole ancora e ancora, e sempre di più… è roba buona, eh? Drogata!
Grazia Gironella
Come diceva Antonella rispondendomi sul suo blog, non c'è affatto bisogno di sostanze stupefacenti! Io l'ho sempre detto.
Cristina M. Cavaliere
Bella la citazione di Chuck Wendig!
Per me i momenti più gloriosi sono quelli con cui ho a che fare con i personaggi diventati autonomi, sostanzialmente, quando mi girano per casa in pigiama e ciabatte, litigano tra loro e devo intervenire a separarli o avanzano richieste assurde e petulanti. C'è un film carino di Salvatores "Happy family" in cui a uno scrittore succede qualcosa del genere. Quindi certamente ha a che fare con la scrittura, ma anche con qualcosa che vive di vita propria.
I momenti peggiori sono quelli della revisione in termini di noia, anche se certamente è un passaggio cruciale per arricchire e migliorare la scrittura. Però anche quelli dove ho troppe storie per la testa, che si mette a bollire come l'acqua sul fuoco, e non ho tempo per scriverle.
Grazia Gironella
L'ultima situazione la proverei volentieri una volta almeno nella vita: tante storie che mi frullano per la testa. Io quando ne ho una sola mi sento già fortunatissima!
Renato Mite
Devo dire che sotto questo punto di vista posso ritenermi fortunato, la maggior parte delle emozioni che provo sono positive.
Quando mi mancano le idee, leggo di più e poi qualche idea si accumula qui e là.
Quando scrivo, posso anche bloccarmi, ma questo non mi butta giù, prima o poi torno a scrivere, è una sorta di metabolismo che non ho ancora ben compreso ma seguo fiducioso. I dubbi crescono durante la revisione, ma ho imparato che devo andare avanti. Quell'emozione alla fine del lavoro è davvero meravigliosa, più che sollievo è soddisfazione.
Grazia Gironella
Condivido le tue impressioni e mi piace la serenità con cui le esprimi. Scrivere per anni ha come vantaggio che si impara ad avere fiducia, perciò si vivono anche gli aspetti meno piacevoli della scrittura come qualcosa di transitorio e non davvero critico.