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Tre motivazioni sbagliate per scrivere…

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…ovvero: l’unica giusta

Oggi dalla cucina del blog si levano aromi diversi dal solito: c’è un ospite! È Salvatore Anfuso, che già conosciamo per i suoi commenti qui e soprattutto per il lit-e-non-solo blog che porta il suo nome. Che dire di lui? Sbirciando nella pagina “chi sono” del suo blog trovo una persona che vive bene le sue apparenti contraddizioni – quelle che (ci insegnano gli orientali) insieme creano la completezza. Legge da sempre e scrive da quando era un ragazzino, tanto che ha avuto modo di allenarsi su sette romanzi, rimasti per ora incompiuti. Ha vinto concorsi, superato un incidente di percorso, ed è attualmente impegnato a scrivere l’ottavo romanzo. Lo fa con una convinzione nuova, che potrebbe portarlo a una svolta? Forse lo scopriremo quando lo intervisterò, perché Salvatore mi incuriosisce. Oggi è qui a parlarci di motivazioni sbagliate per scrivere. Lo ringrazio e gli lascio spazio.

Volevo scrivere un post estremamente tecnico. Il mio obiettivo era letteralmente ammazzare di noia tutti i lettori di Grazia. Poi ho pensato che già lo faccio normalmente, nel mio blog, per una volta invece ho voglia di svagarmi. L’argomento quindi è: perché scriviamo?

Scriviamo per tanti motivi. Ognuno di noi poi, ne ha di propri. Tra questi, alcuni sono molto simili, altri tanto peculiari. Ma ce n’è uno che è valido per tutti e che può fare la differenza tra essere uno scrittore mediocre, perché scrive per le motivazioni sbagliate, e essere uno scrittore da urlo, perché scrive per l’unica motivazione giusta.

Scrivi qualcosa che valga la pena di leggere, oppure fai qualcosa di cui valga la pena scrivere. (Benjamin Franklin)

Scrivere è vivere

Prendo spunto dal nome stesso del blog che mi ospita per introdurre il primo concetto. Noi scriviamo perché pensiamo di non poterne fare a meno. Ci struggiamo romanticamente all’idea che scrivere sia più di uno stile di vita: l’unico modo in cui potremmo esistere. Riuscireste a pensare a voi stessi in termini differenti? Dite la verità: in segreto, nella solitudine del vostro bagno, vi guardate allo specchio e vi chiamate scrittori; non è forse così?

No, io non lo faccio. Non ho bisogno di un bagno per chiamare me stesso scrittore. Certo, fingo umiltà facendo precedere il sostantivo dall’aggettivo aspirante, ma non ci credo nemmeno per un secondo. Io non aspiro a essere uno scrittore, già lo sono. Aspiro invece ad altre cose: la pubblicazione, per dirne una. La fama, al posto della solita fame. Alla notorietà, perché no? Ai quattrini, tanti quanti ne guadagna il Re. Tutte valide motivazioni, non c’è che dire. Concordate?

Io no, non concordo. Non fraintendetemi, non è che non pensi tutto ciò che ho appena scritto. Se avete un briciolo di onestà, se siete “aspiranti” scrittori come lo sono io, allora lo pensate anche voi. Questo fa di noi dei pessimi scrittori? Quante motivazioni sbagliate si possono avere prima di considerare se stessi in questo modo? Se ve lo state chiedendo, per essere pessimi scrittori non serve scrivere male, basta pensare male. Io credo che ognuno di noi abbia diritto a un’infinità di motivazioni sbagliate se poi ce n’è anche solo una giusta. Quella fondamentale. Volete sapere qual è? Bene, vi tocca leggere fino in fondo allora.

Guadagnare la pagnotta

Un anno fa ho deciso di confrontarmi con i miei colleghi, nonché con i miei rivali più diretti: voi. Sì, perché ci facciamo concorrenza a vicenda. Di questo spero ne siate consapevoli (ne parleremo un’altra volta, in un’altra occasione magari). L’ho fatto aprendo un blog e commentando i blog di altri; alcuni perfino scritti da voi che leggete. Quello che posso dire di voi è che finora siete stati meravigliosi. Non posso onestamente affermare di avere incontrato anche solo uno fra voi che non meritasse almeno una vera chance. Se non come scrittore, quantomeno come persona. Scusate se è poco. Nella professione della politica, per dirne una, si può forse affermare altrettanto?

In questo anno, passato parlando con aspiranti o veri scrittori, c’è stata però una costante che è saltata fuori sempre: la necessità di guadagnare la pagnotta scrivendo. Questa sembra essere la preoccupazione principale di chi si approccia a questo mestiere. Altro che struggenti pensieri. È lo stomaco a parlare. Se poi, fra voi, si nascondono anche scrittori veri, cioè gente che qualche libro lo ha pubblicato sul serio, be’, loro potranno confermare agli altri che dopo è perfino peggio. Il denaro è un pensiero costante, a meno ché non siate già benestanti di vostro. In quel caso la parola “scrittore” non è un sostantivo, ma un aggettivo. Chi vuol capire capisca.

Un’altra costante è l’incapacità di guadagnarne a sufficienza. Quindi, se scrivete per denaro, o avete sbagliato professione o avete una stima di voi superiore al mio ego. In questo secondo caso mi inchino. Se scrivete per la pagnotta possono capitarvi due cose: di scrivere roba banale, ma molto commerciale; di scrivere così male da non essere presi in considerazione nemmeno dagli editori EAP. Non so davvero cosa augurarvi.

Tuttavia, onestamente, più ci penso e più non riesco a considerare questa motivazione come una cosa negativa. Perché dovremmo sentirci in colpa per il desiderio che il mestiere che ci siamo scelti paghi anche le nostre bollette? Gli avvocati esercitano la loro professione per carità morale forse? E i dentisti? Conoscete una sola professione che non venga svolta per guadagnare denaro? Certo, poi ci possono essere tante altre motivazioni. Il penalista migliore del mondo è quello che crede davvero che anche il criminale più efferato abbia comunque diritto a essere difeso in tribunale. Nonostante questo, la sua professione la pagnotta gliela paga.

Ripensandoci, scrivere con la speranza di ricavarne denaro non mi pare più così tanto sbagliato né tanto pessimo. Forse potrebbe penalizzare un tantino la qualità di ciò che scriviamo, ma è poi davvero così? In fondo dipende molto dal carattere e dalla propensione di ognuno.

Se scrivo roba commerciale nella speranza di raggiungere un pubblico più vasto e guadagnare qualche soldo in più, questo può influire davvero negativamente sulla qualità del prodotto? Se scrivo male, scrivo male sia narrativa commerciale, sia narrativa di nicchia. Del resto se mi sforzo di offrire ai miei lettori una qualità elevata, be’, lo posso fare anche scrivendo qualcosa di un po’ più vendibile. Detto fra noi, scrivere sperando di guadagnare la pagnotta non mi sembra una motivazione poi così esecrabile.

Di fama e notorietà abbiamo fame

Su questo bisogna intendersi. Se pensate che fare gli scrittori vi renda individui estremamente appetibili per il sesso (opposto o meno) di vostro gusto, be’, qualche problema lo avete, ma non ha nulla a che fare con la scrittura. Scrivere non vi renderà mai attraenti agli occhi di nessuno. Davvero considerereste Stephen King attraente? Io no, anzi mi fa anche un tantino schifo, ma non faccio testo, me ne rendo conto.

Scrivere non vi renderà individui interessanti. Semmai noiosi. Lo sapete da voi, che ve lo dico a fare? Come minimo sembrate pedanti. Eccessivamente appassionati. Con la testa sempre fra le nuvole, ma disinteressati alle cose più concrete, necessarie. Pronti a mettere i puntini sulle I, quando invece il resto del mondo ormai scrive così: TVBTTBAS’ (ti voglio tanto, ma tanto, bene assaje!).

Scrivere non vi renderà intelligenti. Perché poi? Scrivete narrativa, mica enciclopedie. Come minimo non sapete nulla di nulla, oppure un sacco di cose che di concreto non hanno niente. E poi, diciamocelo, si impara a leggere e scrivere in prima elementare, possono farlo tutti volendo. Perché questo dovrebbe identificarvi come individui eccezionali?

Tutte motivazioni sbagliate. Se non per voi, quanto meno per gli altri. La fama e la notorietà viste in questo senso sono certamente pessime motivazioni. Nessuno vi fermerà per strada chiedendovi un autografo. Non succede al King, dovrebbe succedere a voi? No, è più probabile che capiti a una soubrette.

La fama e la notorietà a cui penso io però, sono una cosa diversa. Può capitare, ad esempio, che per puro caso incrociate per strada un ragazzino con un vostro libro sottobraccio. Lui guardandovi vi riconosce. Poi si rivolge alla madre e sottovoce dice: «Mamma, lo sai chi è quel signore? È quello che ha scritto questo!». Sfila il libro da sotto il braccio e lo alza mostrandoglielo. Forse lui un autografo ve lo chiederebbe davvero.

Non capiterà mai, certo, ma se dovesse capitare anche una sola volta varrebbe la pena della fatica sopportata per scriverlo quel libro? Io credo di sì. Fama e notorietà, in questi termini, sono una motivazione poi così sbagliata? Lo lascio decidere a voi.

Della pubblicazione

Tradotto in termini più umani, stiamo parlando di vedere un giorno un vostro libro dietro la vetrina di una libreria. La pubblicazione. C’è gente che c’è morta dietro questa parola, quantomeno di vecchiaia. Le parole uccidono, a volte. C’è gente che si è indebitata per pagare un editore dietro la promessa di vedere il proprio nome su una copertina. Se siete giovani, questo argomento vi tocca meno. Io però lo ricordo bene. È uno dei motivi per cui smisi di scrivere tanti anni fa e per tanti anni. Non il solo, certo, ma anche.

All’epoca dicevo a me stesso: “Che ti sforzi a fare? Tanto non ti pubblicherà mai nessuno. Se vuoi pubblicare il tuo primo libro, da esordiente sconosciuto, come minimo devi sborsare un capitale. Per cosa poi? Per distribuirlo fra amici e conoscenti?”.

Oggi invece è diverso. Gli EAP, anche grazie agli sforzi di qualche coraggioso e di internet, sono stati scoperti e ridimensionati al loro ruolo di truffatori. Questo sono. Diciamolo apertamente. Con gli ebook poi, chiunque può pubblicare a costo zero. Certo, la qualità e la professionalità meritano qualche fatica e forse qualche soldino, ma è ben altro discorso rispetto a: 25.000 lire a copia per una tiratura minima di 150 copie… Pagamento all’ordine, sia chiaro. Mai letto niente di simile fra le proposte di certi editori? Siete giovani!

Visto che pubblicare oggi è facile e praticamente alla portata di chiunque, ha ancora un valore come motivazione? Sperare di vedere il proprio libro stampato; aspettare con ansia una lettera da un editore che probabilmente non arriverà mai, ma che se arriva si stappa la bottiglia, quella buona, offre ancora una spinta alla voglia di scrivere? Cazzo sì! La offre, perché per tutto il resto ci sarà anche MasterCard, ma per cose di questo tipo no, non c’è carta di credito che tenga.

A proposito della motivazione fondamentale

Sono partito con l’idea di scrivere un post che vi redarguisse sulle motivazioni sbagliate che coltivate dietro la scrittura e vi indicasse invece la via corretta: l’unica possibile. Man mano che scrivevo però, ho trovato che le tipiche motivazioni che additiamo come scorrette, tanto sbagliate forse non sono.

A questo punto non credo abbia più senso dirlo e, se concordate con me, smettete pure di leggere adesso. Non serve continuare. Tuttavia mi sembra comunque giusto tenere fede alla promessa iniziale.

Dunque, l’unica motivazione valida, quella fondamentale, per scrivere davvero: non esiste.

Post Scriptum

Se pensate che questo articolo sia una fregatura, ritornate all’inizio e rileggete d’accapo. In caso contrario, vi faccio io una domanda: ma davvero pensate che esista una motivazione fondamentale? Davvero quelle comunissime che coltiviamo in segreto, negandole a noi stessi, non vi bastano?

Soprattutto, serve avere una motivazione? Forse sì. Anzi, io lo credo. Davvero. Scrivere è mestiere duro, lo abbiamo detto e letto tante volte. Qualche motivazione che ci spinga, serve! D’accordo, mi avete convinto. Ve la offro, ma dovete fare ancora una cosa per me prima. Quando avrete finito di leggere questa frase, alzatevi, andate in bagno, guardatevi allo specchio e chiedetevi: perché scrivo? Ecco, quella vi darete è l’unica motivazione fondamentale per scrivere davvero: la vostra.

9 commenti

  • Chiara Solerio

    L’ho fatto.
    Mi sono posta la domanda: perché scrivo?
    Ho trovato la risposta: perché mi diverto un sacco.
    È sufficiente? Non lo so. Ma la gioia può essere un motore propulsore importantissimo. Senza di essa saremmo solo dei meccanici che applicano tecniche di scrittura in modo automatico, non degli artisti.
    Una piccola riflessione sul fatto di guadagnare con la scrittura.
    Per mantenersi di narrativa, occorrono molti libri sul mercato ed anni di investimenti di diverso tipo. Però, mettendo insieme diverse attività (ad esempio narrativa, collaborazioni giornalistiche, blogging, copywriting, editing) si può arrivare a fare della scrittura un mestiere.
    Io invidio bonariamente chi ci è riuscito. Se una persona riesce ad essere pagata per fare ciò che farebbe volentieri anche gratis, ha trovato la sua strada. Diversamente è uno schiavo del sistema. Ed io, in questo momento, mi sento tale.
    Ti invito ufficialmente a scrivere un guest-post da me: ti andrebbe?

    • Chiara Solerio

      Intanto ti ho "amicizzato" su facebook. Appena possibile, facciamo due parole. Magari l'idea ci viene insieme. "Chi ama il proprio lavoro non lavora nemmeno un giorno nella sua vita".

    • Salvatore

      Ciao Chiara, se la tua risposta davanti allo specchio è stata davvero: perché mi diverto; allora la scrittura non solo è la tua strada, ma non dubito che diventerà anche il tuo mestiere. C'è in effetti una motivazione superiore a tutte: il divertimento. Se una cosa non ci diverte farla, qualsiasi cosa, allora non può essere la nostra strada. Può essere il nostro lavoro, certo, ma non nella scrittura creativa. È troppo complessa per farla così, perché si deve.

      Ti ringrazio per l'invito e accetto molto volentieri. Mi sento onorato. Adesso spremo le meningi e provo a farmi venire un'idea.

  • Francesca

    Che bello! Allora è vero: la motivazione non esiste!
    Lo sospettavo e sono contenta che qualcuno me lo confermi: posso scrivere solo perché mi va e cavoli miei!
    Riguardo al fatto che scrivere non renda interessanti, è proprio vero. Da quando ho ripreso a scrivere (anche io ho smesso per anni pensando che tanto nessuno mi avrebbe pubblicato) sono forse più interessante ai miei stessi occhi (la faccenda dello specchio del bagno…) ma ho perso gli amici. Non importa essere tanto insistenti: basta fargli leggere qualcosa ogni tanto e dopo un po' si defilano tutti.

  • Salvatore

    Ciao Francesca, grazie per il tuo commento. Anch'io trovo sia più difficile scrivere se si carica la scrittura di troppe aspettative. Meglio scrivere per se stessi e per il piacere di farlo.

    Per quanto riguarda la cosa dell'essere interessanti, be', la mia compagna da un anno non mi rivolge più parola… Vede la scrittura come un ostacolo alla nostra unione. Quasi come fosse un amante. Alla fine però sono felice di scrivere e poi una compagna che non ti rivolga la parola per un tempo così lungo è una fortuna che non capita tutti i giorni…

    P.S. nel caso tu stia leggendo questo commento, cara, non chiudermi fuori casa questa notte, aspetta almeno che prenoti un albergo…

    • Tenar

      Ah, i compagni di chi scrive devono averne di pazienza!
      Sabato ero ad Aronafantasy e lo scrittore Luca Tarenzi raccontava che i personaggi sono come degli abusivi che campeggiano nel tuo salotto e puoi liberartene solo scrivendo di loro. Credo che sia un'ottima motivazione e mi ci sono riconosciuta un sacco!

  • Lisa Agosti

    Questa conclusione non me l'aspettavo! C'è tanto da imparare da te, Salvatore, grazie per aver condiviso le tue riflessioni.

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