Maestri

Scrivere con stile insieme a Gary Provost

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Ho scoperto Gary Provost cercando una citazione per il blog, poi finita qui. Non avevo mai sentito parlare di lui in precedenza, ma Wikipedia non lascia dubbi: Provost è stato un punto di riferimento per gli autori statunitensi. Perché non conoscerlo meglio? Ed ecco arrivarmi a casa, tramite Amazon-corriere (che sta ormai diventando un amico di famiglia), 100 Ways to Improve Your Writing.

In caso non vi sia capitato di leggerlo nella pagina delle mie letture, vi dico subito che questo manuale non mi ha entusiasmata. Per me che amo i libri “di sostanza” (neanche il piacere della lettura si misurasse a peso), questo libercolo è già nelle dimensioni deludente; aggiungiamoci che i concetti sono i soliti dei manuali di scrittura creativa, ma privi degli approfondimenti che rendono ogni manuale originale, almeno in una certa misura; aggiungiamoci anche che Provost vuole trattare narrativa, saggistica e giornalismo in un colpo solo, e che parla di fare ricerche usando la biblioteca, senza quasi citare Internet… insomma, il libro non mi ha convinta.

Soldi buttati? Non del tutto. Qualcosa di valido l’ho incontrato, ed è dove Provost parla dello stile. Considerato che si tratta di un argomento difficile da inquadrare, ho trovato la sua lista di consigli utile e abbastanza completa. (In grassetto trovate le sue parole, seguite da un mio riassunto del significato. Cito anche le voci che interessano poco a noi narratori per rispettare il testo.)

10 MODI PER MIGLIORARE LO STILE

1) Presta attenzione allo stile.
Lo stile è la forma assunta dalle idee. Spesso il lettore prende in mano un libro per il contenuto e lo abbandona per lo stile. Confermo: succede di farlo, oppure di storcere il naso fino all’ultima pagina. Non è bello.

2) Ascolta ciò che scrivi.
Leggere il testo a voce alta è il modo migliore per percepire l’armonia del linguaggio e il suo ritmo. E anche per scoprire ripetizioni, assonanze antipatiche, errori e refusi, aggiungo io.

3) Imita il linguaggio parlato.
Nella naturalezza e nel calore, che dovrebbero riprodurre quelli della conversazione, senza però sottovalutare le peculiarità della parola scritta, che permette maggiore riflessione e una scelta oculata dei termini. Discorso valido nei dialoghi, altrove non sempre. 

4) Varia la lunghezza delle frasi.
La monotonia raramente è positiva per la narrazione.

5) Varia la costruzione delle frasi.
Concordo. Esiste sempre una propria tendenza da tenere sotto controllo, almeno in fase di revisione.

6) Scrivi frasi complete.
Di solito la comprensione richiede l’uso di frasi complete, quindi almeno un’accoppiata di soggetto e verbo. Esistono casi in cui frasi incomplete aggiungono al testo, ma vanno usate con parsimonia.

7) Mostra, non raccontare.
Se l’autore mostra, il lettore entra nella storia; se l’autore racconta, il lettore resta ad ascoltare le sue parole. L’effetto non è lo stesso.
Non è proprio uno scoop, ma resta una massima valida. Quasi sempre. 

Mantieni vicine le parole collegate.
Per agevolare la comprensione è meglio collocare gli aggettivi vicino ai sostantivi che accompagnano, gli avverbi vicino ai verbi che modificano, le subordinate vicino alla parola cui sono collegate per significato. Sì, mi capita di risolvere un periodo zoppicante in questo modo. Consiglio approvato. 

9) Usa la costruzione parallela.
Di solito è bene variare la struttura delle frasi in modo da non stancare il lettore, ma ci sono casi in cui la ripetizione della stessa struttura in frasi consecutive è molto efficace.

10) Non forzare il tuo stile personale.
Lo stile non è qualcosa che si indossa, ma il proprio modo di scrivere, che emerge quando si è scritto molto, sforzandosi di scrivere bene e…dimenticandosi dello stile.

12 MODI DI DARE FORZA ALLE TUE PAROLE

1) Usa parole brevi.
Le parole brevi tendono ad avere più impatto e a sembrare meno pretenziose di quelle lunghe.

2) Usa parole “dense”.
Sono quelle che riescono a esprimere il loro significato in poco spazio. (Es.: Qualcosa di nuovo = novità.)

3) Usa parole familiari.
Una parola che il lettore non conosce, oppure trova strana, è un intoppo sgradevole nel flusso della lettura.

4) Usa verbi attivi.
Sono i verbi che implicano movimento e azione (es. mangiare, correre, colpire), più efficaci dei verbi che esprimono staticità (essere, restare, riflettere).

5) Usa verbi forti.
I verbi deboli sono banali, usurati dall’uso quotidiano (bere, dormire, camminare). I verbi forti sono più specifici e trasmettono una maggiore intensità (es. sorseggiare, appisolarsi, incedere).

6) Usa sostantivi specifici.
Un bulldog” è meglio di “un cane dal muso schiacciato”, “l’Everest” è meglio di “un’alta montagna”. Siccome il significato diventa più specifico, bisogna fare attenzione a non inquinarlo involontariamente (il personaggio che guida una Ferrari è percepito in modo diverso da quello che guida una Panda!).

7) Usa i verbi in forma attiva… quasi sempre.
In generale la forma attiva rende più interessante la lettura, perché richiama l’attenzione sul soggetto attivo. La forma passiva diventa preferibile nelle situazioni in cui si vuole mettere in risalto il soggetto che subisce l’azione.

Esprimi le frasi in forma positiva… quasi sempre.
Di solito interessa cosa succede, piuttosto che cosa non succede, perciò in linea generale è meglio esprimersi in forma positiva (in italiano, anche per evitare il moltiplicarsi delle doppie negazioni). Esistono comunque miriadi di casi – a partire dai dialoghi – in cui la forma negativa è più efficace.

9) Sii specifico.
In narrativa, talvolta serve e talvolta no.

10) Usa le statistiche.
In narrativa? Vediamo… “Luigi si passò le dita tra i capelli, che crescevano con una densità media di trenta per ogni centimetro di cuoio capelluto…”. Piace? Okay, questa la lasciamo a giornalisti e saggisti.

11) Fornisci fatti.
Credo che questo consiglio non sia pensato per la narrativa, ma conserva una certa validità: anche se come raccontastorie ci occupiamo di fatti immaginati, è importante che il lettore li trovi plausibili. In un certo senso, come autori inventiamo prove che depongano a favore della storia.

12) Inserisci alla fine le parole su cui vuoi porre enfasi.
Alla fine della lista, della frase, del paragrafo, del capitolo: ecco dove si concentra maggiormente l’attenzione. Se un elemento deve rimanere impresso nel lettore e le circostanze lo permettono, meglio posizionarlo in coda al suo “segmento”. Un indizio che deve passare inosservato, invece, va collocato all’inizio oppure in posizione intermedia.

Trovate i consigli di Gary Provost condivisibili?
Vi vengono in mente altri suggerimenti sullo stile?

33 commenti

  • Serena

    Grazie per la recensione e il riassunto! Per una "tossica" di libri sulla scrittura quale io sono, è un bel regalino. Non credo che comprerò questo manuale, al massimo tornerò a leggere il tuo post
    Mi ha colpito il consiglio n. 2. Sto battagliando dal 2012 con un articolo, nella serie delle "Regole della Scrittura", che non mi viene mai come vorrei. Vorrei inserire la regola "rileggi sempre ad alta voce" ma poi, quando spiego il perché, mi vado a impegolare in robe complicate e probabilmente inutili. Mi metto a discutere con il mio lettore immaginario e concludo "Come, perché? Perché sì, ca**o! Che domande mi fai?". Ecco, tu l'hai spiegato benissimo (o tradotto benissimo), il perché in quattro parole e mezza XDDD

  • Chiara Solerio

    La cosa che mi colpisce maggiormente, leggendo questi consigli, è che alcuni di essi (n.b: non dico "molti", né tanto meno "tutti") sono entrati naturalmente nel mio modo di scrivere, senza forzature. Ad esempio, l'usare parole "dense" (non utilizzo due termini, se ne posso usare uno solo) oppure scegliere termini molto specifici: "fiore" è vago, "geranio" è meglio. Su altri, invece, devo prestare maggior attenzione: di solito intervengo in fase di rilettura. Importante, però, notare come con il tempo si sviluppi una sorta di "orecchio" che consente di comprendere, quasi intuitivamente, se c'è qualche elemento stonato. Proprio per questo non amo molto i consigli sullo stile: ho una gran fiducia nella capacità dello scrittore di trovare il proprio, senza forzature.

    • Grazia

      E' buffo: spesso facciamo le stesse osservazioni sul campo, ma poi ne traiamo conclusioni quasi opposte. E' vero che si sviluppa l'orecchio, ma in che modo i consigli sono forzature? Ho l'impressione (e la speranza!) che nessuno obbedisca ai consigli come se fossero comandamenti, né nella scrittura, né in altri aspetti della vita. Non si andrebbe nemmeno a scuola, se si dovesse restare così impermeabili alle possibili influenze altrui, no?

    • Chiara Solerio

      Scusami, non volevo essere fraintesa. I consigli servono tantissimo (sennò non citerei il tuo manuale un post sì e uno no :-D) però mi rendo conto che molti usano i libri come se fossero la bibbia, mettendo in secondo piano la propria creatività. Io credo che uno scrittore debba essere selettivo, esercitarsi tantissimo fino a trovare la propria strada. E te lo dice una che comunque studia e legge un sacco di manuali e di blog…

    • Grazia

      Scherzi? Nessuna scusa e nessun fraintendimento, solo opinioni un po' diverse. So che tu studi e approfondisci, ma trovo spesso nelle tue parole (e in quelle di altri) un avvertimento contro influenze e forzature che mi dà sempre da pensare. In questi anni non ho conosciuto una singola persona che rischiasse di applicare le "regole" troppo alla lettera, mentre ne ho conosciute decine che temevano di essere snaturate dallo studio. Per questo mi stupisce che si senta tanto il bisogno di prendere le distanze. Mi sembra sintomo di scarsa autostima, un'ammissione di incapacità di discernimento. I consigli servono a far riflettere prima di tutto, e gli autori che li forniscono di solito sottolineano bene come niente sia valido ovunque. Per questo, se dovessi mettere un messaggio nella bottiglia, non sarebbe "occhio a non farvi snaturare dai maestri", ma "occhio a non tenervi cari i vostri limiti". Chiarito il mio pensiero, grazie per le tue tante citazioni.

    • Chiara Solerio

      Forse ciò dipende da esperienze soggettive, perché io invece ho trovato molte persone che trattano la scrittura come se fosse un semplice esercizio tecnico: applico pedissequamente il viaggio dell'eroe, quindi okay, sono uno scrittore. Anche come beta-reader, mi è capitato di leggere storie tecnicamente impeccabili, ma fredde come il ghiaccio, e mi sono trovata a consigliare allo scrittore di imparare a "sentire" le proprie storie, non mettere da parte il sentimento che è alla base dell'arte (per lo meno in prima stesura) per agevolare artifici che, se applicati senza cognizione di causa (perché spesso è così) finiscono per impoverire il narrato.
      Inoltre ho trovato anche persone che si consideravano scrittori solo per aver letto un manualetto e provato ad applicare i principi lì descritti. Il caso più significativo, a tal proposito, riguarda un guest-blogger che mi aveva mandato un articolo sgrammaticato (Maria Teresa l'ha letto in mail, te lo potrà confermare) in cui pubblicizzava la sua raccolta di racconti auto-pubblicata e diceva che per essere scrittori fossero sufficienti due cose: 1) pagare per autopubblicarsi 2) leggere manuali. Ricordo di essermi infuriata tantissimo, di averlo trovato offensivo nei confronti del mio lavoro, e di quello dei miei lettori, tutte persone che scrivono con impegno e consapevolezza. Non ho voluto pubblicarlo sia perché era scritto con i piedi, sia perché mi sembrava una vera e propria mancanza di rispetto nei confronti di chi vive la scrittura con serietà.
      Certo è, come tu stessa evidenzi, che esiste anche il rischio opposto, ovvero persone che non leggono nessun manuale, non frequentano alcun corso perché ritengono di essere già perfetti così … ecco, questo secondo me è un atto di arroganza!
      Penso che uno scrittore debba avere, nei confronti dello studio, un approccio equilibrato (sai che "equilibrio" e "consapevolezza" sono le mie parole preferite) e usarlo come uno strumento per superare i propri limiti e migliorare. L'esercizio quotidiano nella scrittura è fondamentale, ma a volte non sufficiente, perché anche la "teoria" ha la propria importanza. Non immagini quanto mi sia stato utile, nel periodo di "rinascita", frequentare i vostri blog e leggere il tuo manuale. Lo studio però va di pari passo con l'esercizio, ed è solo questo che mi ha fatto migliorare.
      Un abbraccio, buon weekend!

    • Grazia

      Ricordo il tuo guest-blogger… un bel tipo, davvero. Sì, è proprio come dici: serve equilibrio tra questi due aspetti della scrittura, uno istintivo e l'altro appreso. Anche così il risultato non è garantito, ma del resto parliamo di magia… Buon fine settimana anche a te, e grazie per avere avuto voglia di approfondire il discorso.

  • Tenar

    Buffo, ho appena finito un post in cui cerco di spiegare cosa intendo per parole "necessarie". In effetti spesso si articola nella ricerca di parole "dense" e "specifiche" (se avessi scritto il mio post dopo il tuo credo sarebbe uscito diverso, al 99% sarebbe uscito migliore).
    Alcuni di questi consigli, però, mi generano enorme perplessità, sopratutto se buttati come verità assolute. Usa parole famigliari? Certo non è che si possa usare ogni due per tre un termine desueto, credo che serva sempre la parola più adatta. Se deve essere "pisiforme" (usata proprio ieri), "pisiforme" sia! L'altro giorno ho proprio apprezzato il fatto di aver trovato in un romanzo il non proprio comunissimo "autiere" dove ci stava.
    Frasi attive? Ma l'effetto è diversissimo! Tra, che so, "sposò Tizio" e "fu presa in sposa da Tizio" ci sono abissi di significato.
    Parole su cui imporre enfasi alla fine? Immaginando di farne una regola verrebbe fuori un delirio sintattico!
    Non so, queste regole messe così come verità mi fanno un po' venire i brividi. Il post mi è piaciuto molto, ma il signor Provost non mi ha convinto per niente… (Che magari in inglese funzionino meglio?)

    • Grazia

      Confesso che "pisiforme" non apprezzerei di trovarmelo in una storia che leggo, se non pronunciato da uno studioso di un certo tipo. Alla fine l'ultima parola ce l'ha sempre il contesto, unito ai gusti dell'autore. Anche in questo senso dicevo che lo stile è difficile da inquadrare: puoi dire tante cose, ma ci sarà sempre un buon numero di situazioni in cui non funzionano. Lo stesso credo che qualche punto su cui riflettere sia utile, se non altro come kit di emergenza per intoppi irrisolti.

    • Tenar

      Certo che "pisiforme" non è che lo può pronunciare un ragazzetto analfabeta, però se devo descrivere le ossa di una mano dovrò pur chiamarle col loro nome, sopratutto se il punto di vista è di chi quel nome lo conosce… Quindi ok al buon senso che sta alla base di molti questi punti, ma la "regola" mi sta un po' stretta.
      Come il divieto che hanno in Australia di cuocere la pizza nel forno a legna. Quello elettrico è più pulito, certo, più salubre. Ma se sai usare il forno a legna la pizza viene più buona. La norma di buon senso è ottima, ma se diventa un diktat toglie tutto il sapore.

    • Grazia

      Penso sempre che l'uso dell'imperativo in questo genere di liste sia dovuto all'esigenza di organizzare e sintetizzare i punti, non alla pretesa di un'applicabilità assoluta. Tra l'altro, come dicevi tu, il cambio di lingua rende ancora più vacillante il tutto. Eppure l'argomento va affrontato in qualche modo, perché le persone chiedono indicazioni sullo stile, soprattutto quando scrivono da poco. Almeno mettere a fuoco le possibili variabili è meglio di niente.

  • Luz

    Incredibile come moltissimi di questi punti si accordino anche alla scrittura teatrale. Un testo destinato alla rappresentazione mira esattamente agli stessi obiettivi di un testo narrativo. Ottimo articolo anche questo, Grazia. Ho intenzione di proporre nella scuola in cui sarò trasferita il prossimo anno (ho chiesto trasferimento finalmente dopo 7 anni nello stesso posto) un corso di Scrittura creativa per ragazzi. Non sai quale utilissima fonte è questo tuo blog.
    P. S. Ho visto il sito della TZLA e l'ho messo fra i preferiti. Ho la sensazione che a questa agenzia mi rivolgerò prima o poi… Presto ti parlerò di un progetto che devo realizzare nei prossimi mesi e che riguarda una biografia.

  • Marco Freccero

    Condivido tutto quanto è scritto. Non conosco Provost, ma i suoi consigli li ho trovati in diversi altri libri, quello di Stephen King per esempio, o di Flannery O'Connor. Credo di dover ancora lavorare sulla semplicità della frase. L'obiettivo è Simenon, Carver.

  • Daniele

    Non tutti, sinceramente. Perché devi usare i verbi attivi? Li usi quando servono, non puoi usarli sempre.
    Da come ne parli, a me non convince in partenza.

    • Grazia

      Non ho capito bene: non ti convince il libro, i consigli o quello che dico io? E' naturale che i verbi attivi li usi quando è opportuno, e non sempre. Quando però sei nel dubbio e la frase non ti suona bene, può essere utile provare a girarla in forma attiva.

    • Daniele

      Non mi convince il libro.
      Sui verbi attivi tu hai scritto:

      "4) Usa verbi attivi.
      Sono i verbi che implicano movimento e azione (es. mangiare, correre, colpire), più efficaci dei verbi che esprimono staticità (essere, restare, riflettere)."

      Non può essere una regola, questa. Mangiare sarà pure più efficace di restare, ma va usato quando occorre.

    • Grazia

      Gli esempi erano miei, ma non intendevo dire che i primi tre verbi siano sinonimi dei secondi! Se devi dire che uno resta, resta; se mangia, mangia. Se però nella pagina i verbi attivi sono pochi e pullulano i riflettere, stare, immaginare e altri verbi statici, forse la scena si sta facendo pericolosamente calma. Questa naturalmente è una mia interpretazione, perché non posso interpellare Provost, che del resto non ha bisogno di me nel ruolo di (pessimo) avvocato difensore. Ma poi, quale consiglio non richiede un minimo di interpretazione e rielaborazione? Nemmeno il nostro vecchio "show, don't tell" vale sempre e ovunque, perciò…

  • Lisa Agosti

    Grazie di aver riassunto le parti interessanti del libro così evito di leggermelo tutto!
    I consigli sono utili come ripasso di concetti già sentiti, che non fa mai male. Anche i commenti dei followers sono interessanti!

  • Gloria Vanni

    "Lo stile è la forma assunta dalle idee"… Parto da questa frase che mi piace moltissimo per dirti grazie perché tutte sono molto interessanti anche per chi come me non scrive libri ma articoli e post. Bellissima anche «Usa parole “dense”»: giustifica il mio stare ore a fare editing

    • Grazia

      Le parole dense piacciono molto anche a me, non solo come parole che riassumono un concetto, ma anche come parole che veicolano un'atmosfera, una situazione. Riuscire a trovarle è una grande soddisfazione!

  • Anonimo

    Maledizione, ogni tanto il tuo blog mi odia e mi cancella i commenti ci riprovo:
    In linea di massima sono d'accordo con questi consigli, che ovviamente devono essere aggiustati a seconda del caso particolare.
    Penso che, se osserviamo la sezione delle parole, la 2 e la 3 vadano spesso in conflitto tra loro. Molte parole comuni sono di una genericità imbarazzante (anzi, sono comuni proprio perchè sono generiche e possono essere usate in tanti contesti diversi). Per cui, se devo scegliere, preferisco essere snob e usare parole poco conosciute, se mi consentono di essere più precisa. Il vocabolario è pieno di tante parole belle e accurate che sono state dimenticate dalla maggioranza. Secondo me usarle è anche un servizio al lettore, che così impara qualcosa di nuovo.
    In genere, si nota la differenza tra uno scrittore che usa parole particolari per essere più preciso, e quello che le usa per darsi importanza.

    • Grazia

      E' vero, la differenza di solito si sente. Il discorso semplicità è a doppio taglio, forse più in italiano che in inglese. L'inglese ama le strutture semplici e dirette, e spesso la semplicità si riflette sui termini. Se penso che i maestri anglosassoni esortano a usare il più possibile il verbo "dire" nelle attribuzioni dei dialoghi, mi rendo conto che facendo lo stesso in italiano si è troppo ripetitivi. Inoltre moltissime frasi in lingua inglese, se tradotte letteralmente, sembrano scritte da un bambino delle elementari. In inglese, però, sono perfette. Tutto va riportato al caso specifico.

  • Kinsy

    "questo libercolo è già nelle dimensioni deludente" – Mi hai fatto sussultare. Davvero un libro ti delude perché piccolino? Poteva essere piccolo ma intenso…
    Ad ogni modo mi piace molto il riassunto che hai fatto e cercherò di tornarci per far miei alcuni consigli. In particolare giustissimo il punto quattro della seconda parte e, invece, nota dolente il punto sette della prima…

    • Grazia

      Lo so che poteva essere piccolo ma intenso! Ho sottolineato l'assurdità della mia preferenza, ma questo non basta ad annullarla: i libri "magri" mi lasciano insoddisfatta. Non sempre, in realtà, ma resta il fatto che li schivo. Per fortuna il lettore non è tenuto a motivare i suoi gusti…

  • Kinsy

    No, infatti. Ma devo essere sincera che solo in questo ultimo periodo mi sono accorta che le persone tendono a schivare i libricini piccoli (con mio grande dispiacere, visto che la mia ultima pubblicazioni ha davvero le dimensioni ridotte…).

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