Vita da scrittori (e non)

I problemi dell’aspirante scrittore

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L’aspirante scrittore ne ha un buon numero…

Alcuni li conosce fino alla nausea, di altri non ha nemmeno una vaga  idea. Ma ne paga il prezzo, questo è poco ma sicuro.

1 – Sentirsi un genio incompreso

Scrivere è difficile. Scrivere bene è  difficilissimo. Piacere – piacere davvero – a chi ci legge è un’impresa  titanica. Di fronte a tante difficoltà, pensare che nessuno sappia riconoscere  il nostro valore è la scappatoia più facile. Peccato che questo ci porti dritti  a un binario morto: se ci crediamo già bravi, come faremo a migliorare?

2 – Sentirsi una nullità

Non riesco a combinare niente di buono = non  valgo niente. È impossibile scrivere per anni, con costanza, senza avere  momenti di scoramento. Eppure tutti abbiamo enormi margini di miglioramento se  continuiamo a leggere e scrivere e maturare, senza lasciarci abbattere, amando  il viaggio più della destinazione. Ognuno di noi ha una voce unica e  irripetibile. Impareremo a tirarla fuori, se non molliamo.

3 – Non pensare abbastanza al lettore

L’arte come libertà assoluta. Spalancare le porte della nostra creatività e  lasciare che il nostro mondo interiore si riversi sulla pagina, senza pastoie,  senza porci domande, senza una preoccupazione al mondo. Cosa c’è di male?  Niente. Però scrivere è comunicare. Se non siamo disposti a mettere in discussione  il nostro stile e i nostri contenuti, mettiamo  almeno in conto la possibilità di mancare l’incontro con il pubblico, editore o  lettore che sia. In fondo ci stiamo solo… scrivendo addosso.

4 – Pensare troppo al lettore

Giallo o fantasy? Va bene uno stile asciutto e  sincopato, oppure è già passato di moda? Meglio infilarci almeno una tematica  di attualità? Magari un tantino di sesso, o di vampiri?  Non conosciamo i gusti di chi ci leggerà, né quale sarà la moda rampante nel momento in cui il nostro lavoro vedrà la stampa (se  mai la vedrà), perciò è inutile impantanarci in scelte a tavolino utili solo a  perdere tempo ed energie. Solo se una storia ci brucia, ma ci brucia davvero,  avremo il massimo delle possibilità di raccontarla bene. Se ciò di cui scriviamo  ci lascia tiepidi, altrettanto tiepido resterà il lettore.

5) Dare troppa importanza alla forma rispetto al contenuto.

È sufficiente uno stile impeccabile e originale a rendere valida una storia  scarsa? Per qualche pagina, forse sì. Il lettore può restare a bocca aperta per  la bravura dell’autore, ma prima o poi richiuderà la bocca e si domanderà: “Di  cosa parla questo libro?” Se personaggi, trama e ambientazioni sembreranno creati all’unico scopo di consentire  all’autore di fare sfoggio della propria abilità, lo sbadiglio è assicurato.

6) Dare troppa importanza al contenuto rispetto  alla forma.

Lo stile non è tutto, ma ci sarà un motivo se i  capolavori della letteratura sono curati anche sotto questo aspetto e persino i  best seller più beceri sono scritti in forma almeno accettabile. Non è  questione di guarnire la torta in un modo piuttosto che in un altro: in  narrativa la forma è sostanza. Sapere strutturare la frase nel modo migliore,  scegliere i termini più efficaci, usare bene la punteggiatura, significa  riuscire a trasmettere al lettore idee ed emozioni. Senza la forma giusta –  giusta per noi e per il testo in oggetto, s’intende – la nostra “bella” storia  arriverà al lettore approssimativa e sbiadita. Un vero peccato.

7) Amare la meta più del percorso.

Se il nostro manoscritto giace nel famoso cassetto e non ha nessuna intenzione  di uscirne, questo guaio ci è risparmiato. Se invece ci viene l’idea di farne  qualcosa di diverso dalla carta da macero, ecco spuntare la carota che ci farà  correre, correre… talvolta fino a farci perdere di vista il significato di ciò  che stiamo facendo. Siamo seri: quante probabilità  abbiamo di diventare scrittori conosciuti e guadagnarci da vivere scrivendo?  D’accordo, le probabilità per quanto infime meritano la nostra attenzione, ma  solo a condizione che scrivere ci piaccia, ci piaccia davvero. Anche senza  pubblicare, anche senza l’ammirazione di lettori, amici o parenti, anche senza  guadagnare un centesimo. Se amiamo scrivere fino a questo punto, forse abbiamo  anche le risorse interiori per arrivare a pubblicare, un giorno. E per non  cedere alla tentazione di ridurre la nostra scrittura a un banale atto  meccanico dettato unicamente dalle regole del commercio.

Amare il percorso più della meta.

Siamo fortunati: pubblicare o meno ci importa il  giusto, a noi piace scrivere. Della scrittura amiamo proprio tutto: la  preparazione dell’idea, il fremito di eccitazione delle prime parole, la forza  dei personaggi che creano la storia, il lavoro pesante per arrivare alla parola  “fine”, la correzione precisa e paziente che ci impegna per settimane…  mesi… anni? 

Prima o poi dobbiamo lasciare andare la nostra  creatura per la sua strada, come succede con i figli. Che il destino della  nostra opera sia rimanere segreta, deliziare gli amici o atterrare sulla  scrivania di un editore, c’è un momento in cui bisogna dire “basta”. Siamo  vivi, maturiamo, ci modifichiamo ogni giorno. La nostra scrittura cambia con  noi, così come i nostri gusti. La revisione potrebbe anche durare una vita. Ma  c’è già un’altra storia da raccontare, se solo ci guardiamo intorno… e questa  la scriveremo meglio, naturalmente, e sarà il nostro capolavoro… fino alla  prossima storia.

9 – Comandare a bacchetta i personaggi

Dobbiamo conoscerli come se fossimo sposati  da vent’anni – sì, qualcuno ha detto proprio così –, dobbiamo renderli  credibili, affascinanti, unici. I nostri personaggi dovrebbero balzare fuori  dalle pagine come se avessero le molle ai piedi. Noi ci impegniamo per  raggiungere lo scopo fantasticando su di loro senza fretta, o magari seguendo i  consigli dei maestri di scrittura: compilare questionari e interviste  immaginarie, partire da una foto, persino scrivere il loro necrologio.

Non è  che dopo questo popò di lavoro li mettiamo all’opera… imbavagliati e con le  mani legate? Sì, perché talvolta il personaggio che abbiamo elaborato con tanta  cura non ha nessuna voglia di dire quello che vogliamo fargli dire, né di fare  quello che vogliamo fargli fare. Se vi pare impossibile, domandate a chi scrive  da un po’ di tempo: certe scene non ne vogliono sapere di svilupparsi come  abbiamo deciso, alcuni dialoghi si ostinano a suonare fessi nonostante i nostri  ripetuti tentativi di correggerli.

I problemi dello scrittore iniziano da Snoopy: era una notte buia e tempestosa...

Una delle possibili cause è la violenza che  operiamo ai danni dei nostri personaggi. Siamo sicuri che il protagonista  reagirebbe nel modo che abbiamo deciso a ciò che gli accade? A parlare in quel  punto della storia è il personaggio, oppure siamo noi autori alla ricerca di un  pulpito da cui esprimere le nostre idee? Creare dei personaggi significa dare  loro una personalità, farli diventare reali, e come persone reali avranno da  dire la loro sulla trama che abbiamo in mente. Conviene tentare di ascoltarli  prima di farli obbedire ciecamente. Magari hanno qualcosa di intelligente da  dirci.

10 – Farsi comandare a bacchetta dai  personaggi

“Volevo che iniziasse il combattimento, ma  l’eroe si è perso a parlare con la sacerdotessa, e dopo non mi sembrava più il  momento giusto per la battaglia…” “Doveva dargli il benservito, però lui è  stato così dolce che lei ha capitolato…”

Ehi, un momento: ascoltare i personaggi non  significa far decidere a loro cosa succede nella storia, ma solo dare loro una  possibilità di suggerirci qualcosa. Valutato il suggerimento, saremo noi a  decidere se accettarlo o ignorarlo. Che siamo amanti della programmazione  dettagliata o dell’improvvisazione, dobbiamo comunque avere in mente una  direzione precisa per la storia che stiamo scrivendo. Non possiamo mollare il  timone, pena il perderci per strada e l’essere costretti a giri assurdi per  arrivare a destinazione… sempre che ci arriviamo. Se però le insubordinazioni  si moltiplicano, meglio fermarci un attimo a fare il punto della situazione:  può darsi che abbiamo scelto il cast sbagliato per la storia che vogliamo  raccontare.

11) Non ascoltare i pareri altrui.

Lo scrittore è un narcisista. Peggio: è un narcisista convinto di avere  qualcosa di valido da dire (ovviamente parlo dello scrittore che ambisce a un  pubblico). Peggio ancora: è un narcisista convinto di avere qualcosa di valido  da dire che si impegna allo spasimo per riuscirci. Un cocktail che può avere  effetti  impressionanti sull’autostima, anche nella persona più equilibrata. Non vi  riconoscete? Siete sempre in preda ai dubbi, non vi sentite degni di essere  considerati scrittori? Vi credo, ma… siete sicuri di albergare sentimenti  altrettanto umili – giù, nelle profondità più profonde del vostro animo –  quando qualcuno che ha letto il vostro lavoro avanza delle critiche? In queste  circostanze anche la più mite pecorella riesce a ruggire.

Ricevere pareri  negativi è una delle esperienze più sgradevoli che esistano. Le reazioni sono  diverse, e spesso si succedono una all’altra: “Non gli è piaciuto!”  (indignazione iniziale accompagnata da stretta allo stomaco); “Non ha  capito quello che volevo dire” (dispetto); “Come se fosse un  esperto!” (superiorità); “Probabilmente non è il suo genere” (tentativo di  spiegazione); “Di bravi scrittori non riconosciuti ce ne sono a  frotte” (versione variabile del vecchio concetto del mondo crudele e  ingiusto).

Da esordienti, la carenza di riscontri e valutazioni è uno dei principali  ostacoli alla propria evoluzione. Non è detto che quella specifica critica sia azzeccata,  ma potrebbe esserlo. Sfruttiamola. Basta ripensarci su più tardi, quando il  boccone amaro è stato almeno in parte digerito, e fare uno sforzo di  obiettività. In fondo scriviamo per essere letti. Scartare sui due piedi un  qualunque lettore solo perché non ha reagito come volevamo non è un buon punto  di partenza.

12) Ascoltare troppo i pareri altrui.

Un attimo, cosa intendiamo con “altrui”? Tutti hanno il diritto di  dire la loro su ciò che scriviamo, se ne offriamo loro la possibilità, ma non  tutti hanno la competenza e la sensibilità per produrre giudizi degni di essere  presi in considerazione. La mamma, il barista, l’amico amante della lettura, la  vicina di casa, il collega esordiente, l’autore affermato che ci è stato  presentato a una festa… sono tutti possibili lettori, ma quanto diversi! E  nessuno – proprio nessuno – ha la verità in mano. Che sia per ignoranza, gusti,  invidia, superficialità o motivazioni professionali, chiunque può esprimere un  giudizio sbagliato o almeno opinabile. Prima che l’insicurezza ci faccia  mettere da parte il lavoro che ci è costato tanta fatica (o persino smettere di  scrivere!), cerchiamo di capire se la critica ha un suo valore oppure è una  delle tante voci da ignorare.

Che dire per concludere? Un giudizio negativo è un punto di partenza. Bisogna  imparare ad andare oltre lo sconforto. La critica ci pare davvero del tutto  ingiustificata oppure si ricollega a qualche dubbio che ci ha sfiorati durante  la prima stesura o la revisione? Nel secondo caso, abbiamo una traccia da  seguire. Nel primo caso, pensiamo alle caratteristiche della persona che ha  giudicato il nostro scritto: è una professionista del settore? È mediamente  istruita, legge d’abitudine? Possiamo contare sulla sua schiettezza? La  consideriamo sensibile e non ostile? Possiamo chiederle di spiegarci in  maggiore dettaglio quali aspetti del nostro lavoro ha trovato carenti?

Chi non  è abituato a leggere manoscritti si ferma facilmente a un giudizio secco: poco  comprensibile, lento, lungo… Se gli facciamo domande mirate, però, forse  riuscirà a spiegarci se il problema sono le descrizioni, un protagonista  antipatico o i dialoghi poco plausibili. Chiediamoci anche se una certa critica  ci è stata mossa più volte, da persone diverse. In quel caso, quanto è probabile  che tutti si sbaglino e noi siamo nel giusto?

Essere criticati è seccante, ma è anche una grande opportunità. Banale quanto  vero. Molto nel nostro scritto può essere corretto, ripensato, riscritto per  migliorare il risultato finale. È anche possibile che non siamo portati in  assoluto per la scrittura, perché negarlo? Ma prendere decisioni drastiche per  una critica mal recepita, questo sì, sarebbe davvero la peggior beffa.  

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