Scrivere un romanzo: dialoghi disastrosi
I 7 peccati capitali dello scrittore secondo Angela Ackerman
(sesta parte)
Scegli qualche opera di narrativa a caso e sfogliala alla ricerca dei dialoghi. Con l’eccezione di alcuni generi e libri datati, scommetto che essi occuperanno un 40-50% del testo, e la cifra potrebbe essere anche più alta se il libro si rivolge a lettori giovani. Non è difficile capire perché: la presenza di dialoghi implica scene, le scene implicano azione, e chiunque stia cercando di scrivere un romanzo sa che sono proprio le scene e l’azione a svolgere la maggior parte del lavoro nel portare avanti la storia. Per questo i dialoghi ammontano al 40-50%, il che equivale a un disastro se i vostri dialoghi sono deboli. Vediamo qualche difetto comune.
– Ripetizioni nella struttura e nelle attribuzioni delle battute.
Frase, nome. Frase, nome. “Hai visto il film, Maria?”; “Non l’ho visto, Alberto.” State in guardia da strutture di questo tipo e modificatele se si ripetono troppo spesso. Altra ripetizione comune è quella formata da nome/pronome + verbo “disse” o similari (anche in ordine inverso): “Hai voglia di uscire?”, chiese Maria. Alberto rispose: “Preferisco stare in casa.”
Talvolta queste strutture sono necessarie a collegare la battuta a chi la pronuncia, ma cerchiamo di evitarle quando il nesso è già chiaro, oppure di sostituirle con l’inserimento di una breve azione (vedi seguito). [N.d.r.: Se l’attribuzione è necessaria, spesso per evitare la monotonia si può sostituire il verbo “dire” con altri verbi più precisi: esclamare, insistere, ribattere ecc.]
– Dialoghi privi di attribuzioni.
Possono creare l’effetto-velocità che talvolta è necessario in una scena, ma bisogna usarli con attenzione perché il lettore sia sempre consapevole di chi sta parlando. Se il dialogo coinvolge più di due persone, in particolare, si corre il rischio di creare confusione.
– Usare modificatori per il “dire” e similari.
Come per le droghe, limitatevi a dire “no”. Se sentite il bisogno di modificare il verbo con un avverbio, probabilmente c’è un modo migliore di esprimere il concetto: “lei disse piano” può essere un “lei sussurrò”, “lui disse ad alta voce” un “lui gridò”.
– Brevi azioni collegate alle battute di dialogo: troppe, troppo poche, troppo fiacche.
Possono sostituire efficacemente l’attribuzione della battuta svolgendo al contempo altre funzioni: dare enfasi alla scena, aumentare la tensione, rivelare emozioni e motivazioni.
es. Maria sbatté il piatto sul bancone sporco. “Cosa vuoi per pranzo?”
L’esempio ci mostra non solo che a pronunciare la seconda frase è Maria, ma anche che lei è piuttosto arrabbiata con la persona cui si rivolge, oppure è sotto stress. Ma proviamo a modificare la frase:
Maria appoggiò il piatto sul bancone sporco. “Cosa vuoi per pranzo?”
Ora non sappiamo più come si sente Maria, perché “appoggiò” è un verbo neutro, che non comunica emozioni.
Senza azioni interne, il dialogo rischia di diventare noioso; attenzione però a non esagerare, perché ogni inserimento di questo tipo altera il ritmo del dialogo stesso. Quando l’azione c’è, meglio fare in modo che aggiunga qualcosa all’atmosfera della scena.
– Informazioni travestite da dialogo.
Alcuni autori tentano di evitare brani retrospettivi e informazioni camuffandoli nei dialoghi. Certo i dialoghi devono trasmettere informazioni, ma solo se riguardano i fatti in corso e solo in piccole quantità. I blocchi compatti di informazioni al lettore sono da evitare. Meglio frazionarli e inseriti in contesti credibili se si vuole evitare l’effetto predica. In particolare non si devono usare i dialoghi per ribadire ciò che i personaggi già sanno, ma il lettore no.
– Dialetto, errori, dialogo rigido.
Ogni personaggio è diverso dagli altri, perciò il suo modo di parlare deve avere caratteristiche peculiari, ma senza esagerare. Se nei dialoghi figurano spesso espressioni gergali, termini in dialetto oppure strutture strane, la fluidità ne risentirà.
Siate delicati e usate variazioni non troppo vistose nei modi di parlare e nei gesti che li accompagnano. Il punto di vista del personaggio e la sua personalità dovrebbe emergere da ciò che dice e fa. Assicuratevi che le parole del personaggio siano giuste per la sua personalità e per il suo stato d’animo del momento, ed eviterete che i vostri dialoghi suonino rigidi e poco realistici.
A differenza del resto del romanzo, i dialoghi non devono sempre essere perfetti quanto a struttura e grammatica. Le imperfezioni riecheggeranno quelle dei dialoghi reali, dove vengono omessi termini e si usano frasi frammentate. L’importante è che il risultato finale sia appropriato ai personaggi e non distragga troppo il lettore da ciò che succede nella storia.
(fine sesta parte)
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.