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Bucce di banana nel romanzo storico… e non solo

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Oggi è giorno di ospiti! Ho il piacere di avere qui Cristina M. Cavaliere, titolare del blog Il Manoscritto del Cavaliere, che ci parla dei trabocchetti in agguato nella stesura del romanzo storico, ma anche della narrativa in generale. La ringrazio della disponibilità a condividere con noi una parte delle conoscenze raccolte in anni di esperienza, e le lascio la parola.

Ringrazio Grazia per avermi chiesto di scrivere un guest-post sul romanzo storico, argomento a me congeniale; avendolo però trattato in forma estesa in altri contesti, ho pensato di soffermarmi in questa sede solamente sui rischi e gli errori nel romanzo storico… che però potrebbero riguardare ogni genere di romanzo. In questo modo si potrà estendere il discorso a tutti gli amici di penna per ragionare sui pericoli che ci accomunano, non scivolare sulla classica buccia di banana, e togliere così verosimiglianza alla nostra narrazione.

Ho preparato quindi un elenco di punti esponendo il rischio specifico nel genere storico, ma contrassegnando con un riquadro la riflessione più ampia. Ecco a voi gli errori più comuni.

1. L’anacronismo, peccato capitale

Se ambientiamo un romanzo nel Medioevo attorno al 1100, dobbiamo sapere che, se i personaggi stanno a tavola (e prima o poi mangeranno!), potranno utilizzare solamente il cucchiaio per le zuppe, e il coltello per carni e tutto il resto, e ovviamente le loro manacce, ma mai la forchetta, arnese che si cominciò ad usare attorno al XIV secolo. La succulenta e versatile patata non potrà comparire nei loro piatti, in quanto arrivata tardi in Europa, ed affermatasi solo con la fine del secolo XVIII. Se invece collochiamo una narrazione nella Francia rivoluzionaria del 1789, e scriviamo una scena d’azione con due personaggi che si sparano addosso appassionatamente, dovremo sapere che usavano le pistole a ruota, e come funzionavano.

Insomma, tutte le volte che chiamiamo in causa qualcosa di preciso, verificheremo che fosse già stato inventato o scoperto, e d’uso comune. A questo proposito molto utile è un Dizionario delle scoperte scientifiche e delle invenzioni per poter controllare velocemente i dettagli di quanto ci interessa. Non avremo mai l’assoluta certezza di aver fatto tutti i compiti giusti, ma almeno lo sforzo trapelerà dalle righe. Immaginiamo di scrivere una storia familiare dei nostri giorni che risalga a tre generazioni indietro, e che sia in parte frutto della nostra fantasia. Per quanto riguarda le generazioni più vecchie, non avremo sottomano documenti familiari o testimonianze di prima mano. Quindi, se vogliamo scrivere una scena facendo usare la penna biro ad un avo scribacchino, dobbiamo sapere che è uno strumento inventato dal signor László József Bíró attorno al 1930, e fu chiamato così in suo onore. Quindi non potremo metterla in mano all’arzillo trisavolo, che nella nostra storia muore attorno alla fine del 1800.

2. Occhio alle date

In preda al sacro fuoco letterario, nella prima stesura di un romanzo avevo scritto che Bernardo di Clairvaux, famoso monaco riformatore dell’ordine cistercense e molto collegato con i cavalieri templari, intratteneva un dotto carteggio con Hugues de Payns, fondatore dell’ordine, a quel tempo a Gerusalemme. Peccato che, controllando le date in fase di revisione, Bernardo avesse all’epoca qualcosa come cinque anni, e com’è probabile non si sognava di farsi monaco né tantomeno di corrispondere dottamente (va bene che era un enfant prodige, ma non esageriamo). Mi è dunque corso un brivido lungo la colonna vertebrale…

Siccome nel romanzo storico, poi, c’è una mescolanza di personaggi realmente vissuti e di fantasia, occorre farli interagire in modo sensato, ad esempio non facendoli procreare a due anni con mogli che ne hanno ottanta. E, com’è ovvio, non farli morire o nascere prima che scocchi il momento propizio. In un romanzo di qualsiasi genere, la questione temporale è fondamentale, soprattutto se i personaggi sono molti, se la trama è articolata e se sono menzionate delle date precise relative a fatti. Se decido di far compiere un viaggio alla mia eroina, che so, in Marocco nel 2012, e decido che debba avere vent’anni, non posso poi contraddirmi dicendo che nel 2012 non era andata in Marocco, bensì in Egitto, e che di anni ne aveva quattordici. Il lettore di oggi è molto più scafato di una volta, e coglie al volo le discrepanze…. e comincia a schiumare dalla rabbia e ad arrotare i denti.

3. Peccatucci veniali

Qualche tempo addietro mi è capitato di apprendere, in un saggio, che il paesaggio medievale montano non era caratterizzato dalle mandrie di mucche come se ne vedono abitualmente, ma per lo più da greggi di capre, pecore e maiali. Ho dovuto quindi correggere una scena rinunciando a quei simpatici, massicci ruminanti in favore di altri animali di taglia più piccola. In un’altra occasione facevo compiere a un guerriero saraceno una cavalcata da Gerusalemme ad Ascalona che durava più di un giorno… salvo a scoprire, verificando sull’atlante, che da Gerusalemme ad Ascalona non ci sono più di una quarantina di chilometri, e con un buon cavallo dato di sprone si può compiere il tragitto in mezza giornata all’incirca. Quindi la mia supposizione è che questo poveretto continuasse a galoppare sempre sullo stesso posto come in un cartone animato, o altrimenti non si spiegava come mai ci mettesse tanto.

Ammetto poi di essere malata nei particolari, quindi in una scena ambientata sulla spiaggia con tanto di luna piena il 14 agosto 1099, sono andata a controllare sul Calendario perpetuo (ne ho scoperto uno on-line utilissimo, perché dà il corrispettivo del calendario musulmano ed ebraico) se vi fosse il plenilunio o meno. Solo il mio peggior nemico si metterebbe a controllare questi dettagli per sbugiardarmi, però la prudenza non è mai troppa. Riprendendo l’esempio del cavaliere che compie un percorso da Gerusalemme ad Ascalona, abbiamo un manager che deve mettersi in viaggio in auto da Milano a Roma, quindi lo faremo arrivare a destinazione in tempi ragionevoli, incidenti, code e contrattempi inclusi. Non possiamo farlo arrivare dopo un’ora, perché significherebbe che ha usato la Batmobile, ma nemmeno dopo ventiquattr’ore… a meno che non sia volontà espressa dell’autore, che è il dio-creatore e detentore del potere di vita, di morte, di casello e di tragitto.

4. L’infodump

Ovvero l’accumulo di informazioni in un determinato punto del romanzo che finisce con l’appesantire la narrazione e inceppare tutto il meccanismo. Questa è una caratteristica dei romanzi storici-mattone, e bisogna ringraziare i loro autori se il genere ha una pessima fama. Pagine e pagine dense di date, e descrizioni di trattati, battaglie, ambascerie oppure elenchi di oggetti e dinastie mettono a dura prova la mandibola e i nervi del lettore senza aggiungere nessuna informazione utile al suo bagaglio culturale (propinati in questo modo, non se li ricorderà mai, anzi!) e tantomeno alla scorrevolezza della trama.

Cito sempre un trauma subito con il romanzo di un esordiente: trenta pagine del mobilio con cui una certa duchessa doveva arredare il suo nuovo appartamento nuziale. Dico trenta perché le ho contate, e nei miei incubi rivedo ancora la cassapanca di legno ornata con teste intagliate di cherubini. Abbiamo una nuova idea per un giallo ambientato nel mondo degli apicoltori, e ci mettiamo al lavoro pieni di entusiasmo. Oltre che documentarsi sulla carta, se possibile è sempre bene recarsi sul posto per vedere con i propri occhi; in questo caso intervistare qualche apicoltore, ammirare all’opera questi insetti affascinanti tanto utili per la produzione del miele, della cera e della pappa reale e cogliere qualche spunto ambientale.

Il lettore non è tenuto a sapere niente, e quindi bisognerà offrirgli tutta una serie di informazioni utili alla comprensione della trama. Però, come si diceva sopra, guai a infarcire il nostro romanzo con pagine e pagine di ronzanti informazioni, piuttosto disseminarle nel testo in cellette ottimali.

5. Lo scrittore moralista

Quando si scrivono romanzi storici, una delle maggiori difficoltà è quella di calarsi mentalmente in un mondo che non esiste più, o perlomeno che è così cambiato da essere irriconoscibile, e di considerare la realtà con occhio contemporaneo. E, quindi, di ergersi a giudici. Sempre per ritornare al Medioevo, di far trapelare la propria derisione e soprattutto applicare il nostro metro di giudizio al comportamento dei personaggi. Agire, cioè, come lo scrittore moralista dalle gengive alte.

L’innocenza o la colpevolezza dell’accusato venivano testate attraverso la cosiddetta “ordalìa”, cioè una prova dolorosa o un duello? Mamma mia, che barbari. Pensavano che la pantera avesse la pelliccia con le stelline e cerchiolini colorati, che nel mare c’erano dei mostri pronti a balzar fuori e che durante le eclissi un mostro mangiava il sole? Ma quant’erano ignoranti! Festeggiavano non tanto il compleanno ma l’onomastico, perché ognuno si metteva sotto la protezione del santo del giorno di nascita, o di cui portava il nome? Davvero dei bigottoni superstiziosi!

Per inciso, la cattiva fama del Medioevo è dovuta all’Illuminismo, in cui i filosofi misero alla berlina le credenze dell’epoca e lo definirono “il secolo buio”. Nell’età romantica, invece, fu rivalutato a livello letterario se non altro con l’avvento dei romanzi gotici. All’epoca era così, che ci piaccia o no. Tuttavia, secondo la legge del contrappasso dantesco, tra qualche secolo i nostri discendenti si metteranno probabilmente a sghignazzare delle nostre convinzioni su quanto ancora non sappiamo, e ci daranno degli ignoranti. E ben ci starà.

Persino scrivendo una storia moderna, c’è il rischio, sottile ma non troppo, di parteggiare per un personaggio o un altro, oppure di fare la morale al lettore. Possiamo narrare vicende terribili di violenza, pedofilia, torture, ma dovremmo, in un certo senso, sospendere il giudizio. Siamo narratori di storie, e scusatemi se è poco, e starà alla nostra abilità avvincere il lettore e permettergli di crearsi una propria opinione, di gioire o soffrire con i nostri personaggi, di parteggiare per l’uno o l’altro. Questa, secondo me, è la vera applicazione del principio “show, don’t tell” di cui tanto si discute attualmente.

6. “Io so com’è andata a finire”

Nello studiare la Storia, noi sappiamo “com’è andata a finire”, quindi ad esempio che la Rivoluzione Francese non ha mantenuto le premesse iniziali ed è sfociata in un bagno di sangue, che l’Impero Romano al massimo della sua espansione è collassato sotto le invasioni e il peso della sua stessa grandezza territoriale, che durante la Seconda Guerra Mondiale veniva messo in atto il terribile progetto di sterminio dell’Olocausto. Per passare dal grande al piccolo, sappiamo che Robespierre fu ghigliottinato, che Romolo Augusto fu l’ultimo imperatore romano d’occidente, e che Anna Frank morì nel campo di Bergen-Belsen. Ma popoli e individui ignoravano il loro destino, e naturalmente l’essere umano vive nella speranza che tutto vada per il meglio.

Nello stesso modo, noi dovremmo poter coniugare il dato storico, quindi la Storia così come ci è stata trasmessa (e che è comunque piena zeppa di errori, di contraddizioni, di alterazioni per motivi politici e religiosi, di omissioni e intrighi dietro le quinte) con quello immaginativo, in cui siamo liberi di inventare pur mantenendo una certa verosimiglianza e credibilità. In fondo anche noi non sappiamo oggi come andranno a finire tante situazioni contingenti a livello planetario.

Se noi abbiamo in mente una trama e dei personaggi, è chiaro che “sappiamo come andrà a finire”… ma non dobbiamo dirlo ai nostri personaggi! Il discorso è un po’ schizofrenico, lo riconosco. Però se non riusciamo a distaccarci mentalmente dal nostro personaggio preferito, e sappiamo ad esempio che farà una brutta fine o non riuscirà a realizzare il suo sogno d’amore, potremmo essere tentati di non impegnarci a fondo, e di “tirar via” le scene. Di scrivere male o in maniera affrettata.

***

Vorrei chiudere quindi il post con quest’ultimo punto sul “come è andata a finire”, nella speranza di avervi dato degli spunti di riflessione, ma anche divertito. E chiedendovi se ci sono delle difficoltà in cui vi riconoscete, o altre ancora cui non ho pensato e che vorreste aggiungere.

Cristina M. Cavaliere (Milano, 1963), pseudonimo di Cristina Rossi, lavora da molti anni come editor nelle redazioni dell’editoria scolastica di lingue straniere. Dal 1990, ha pubblicato una serie di romanzi e racconti storici, e un atto unico teatrale. La sua ultima pubblicazione è La Colomba e i Leoni – Libro I La terra del tramonto, edito da Silele edizioni. Appassionata di letteratura, gestisce il blog Il Manoscritto del Cavaliere.

70 commenti

  • Anonimo

    Ma dai? Cristina M. Cavaliere è uno pseudonimo? Non l'avrei mai detto. Non mi avventuro nel romanzo storico, scriverei un sacco di strafalcioni. Bacione a tutte e due. Sandra

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao Sandra, grazie per il tuo commento! Sì, per quanto riguarda il filone storico ho scelto uno pseudonimo per due motivi: mi piaceva l’idea di avere qualcosa di maschile, e anche qualcosa di storico nel cognome. Così ho scelto la figura del cavaliere, che per me non è tanto la figura romantica dell’uomo senza macchia e senza paura (che non credo sia mai esistita!), quanto di un esploratore. Qualche tempo dopo ho capito che attribuirmi il titolo di “cavaliere” poteva sembrare un po’ pomposo: ma ormai la frittata era fatta!

  • Chiara Solerio

    Articolo veramente interessante, nel quale mi sono ritrovata sebbene non scriva romanzi storici.
    Mi sto occupando di una storia che copre un lasso di tempo di quindici anni, ed è incredibile notare quante cose siano cambiate dal 2000 ad oggi senza che ce ne rendessimo conto. Trattandosi dei giorni nostri, si tende a trascurare la documentazione, illudendosi di cadere tutto. Ci si appoggia ad automatismi mentali, per poi tirarsi pugni in fronte non appena la verità si manifesta. Un esempio? Scena ambientata nel 2000, con il protagonista che tira fuori dalla tasca una monetina da un euro.
    Qualche mese fa avevo scritto un post al riguardo. Chiedo il permesso di poter mettere il link!

    Per quel che riguarda le date, anche io sono molto precisa. Ogni capitolo ha la sua data, quindi verifico anche il clima, gli eventi atmosferici (quando rilevanti) e – soprattutto – il giorno della settimana.

    • Cristina M. Cavaliere

      Grazie del tuo commento, Chiara, e anche del link.

      A distanza di dieci anni dalla chiusura, ho rivisto in tempi recenti un romanzo per inviarlo a un concorso. Non si può definire storico quanto appartenente ad un filone che, con una parolaccia, si definisce “ucronico”, cioè di storia alterata (un po’ come “La svastica sul sole” di P. Dick), ed è una carrellata post-rivoluzione francese nel corso di trecento anni fino alla New York del 2004. Mi ha fatto effetto rileggerlo anche perché ho visto quante cose a livello editoriale, tecnico e tecnologico sono cambiate (un paio di personaggio lavorano in una casa editrice), ma le ho lasciate anche se potrebbero apparire obsolete.

      E, per ritornare agli automatismi mentali, non ti dico quanti automatismi ci sono quando si parla di Medioevo, ad esempio, il periodo di cui mi sto occupando ora.

  • Salvatore

    Credo che scrivere un romanzo storico sia davvero un'impresa titanica. Impresa che al momento non mi attrae affatto. Come dici tu, serve fare molta ricerca e continue verifiche. Inoltre è difficile superare si il "moralismo" del punto di vista (molto brava nell'aver individuato questo dettaglio), sia il "so già come finisce"… Due atteggiamenti mentali inevitabili… Quindi serve fare un grosso lavoro sia sul testo, sia su se stessi.

    • Cristina M. Cavaliere

      Il moralista nel romanzo storico mi ricorda alla lontana lo stile del “narratore onnisciente”, sebbene quest’ultimo sia un atteggiamento puramente letterario. Alcuni dei miei lettori storcono il naso di fronte a scene violente nei miei romanzi, che comunque non sono mai fine a se stesse, ma sempre funzionali alla trama. Ad esempio la violenza nei confronti dei bambini, che ad esempio nel Medioevo erano – e sono, peraltro – davvero carne da macello.

  • Marina

    Un post davvero interessante, complimenti! Trascurando il fatto che neanch'io sarei in grado di scrivere un romanzo storico, mi sono piaciuti i consigli e le avvertenze associate alla scrittura contemporanea. Non sapete quante bucce di banana abbia incontrato io semplicemente nell'ambientare una storia ai tempi del movimento studentesco della "pantera" (che mi vedeva, tra l'altro, universitaria attiva sul campo!). Era il 1990 ed io ho fatto usare alla protagonista una mail (quando all'epoca i messaggi tra facoltà si inviavano ancora tramite fax) e le ho messo in mano un libro che il suo autore ha pubblicato nel 1995. Magari sono particolari che sfuggono, ma quando mi sono accorta degli strafalcioni ho urlato MIO DIOOOO! (Anch'io malatissima nei particolari!).

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao, Marina, grazie del tuo intervento, mi fa piacere che il post ti sia stato utile.

      L’esempio che mi porti del fax è quanto mai pertinente, vedi sopra il mio commento a Chiara sulle tecniche di stampa editoriali che sono cambiate moltissimo nel giro di dieci anni. Ad esempio nel romanzo che citavo (s’intitola “Gli Immortali”), nel rileggerlo non mi ricordavo più che all’epoca si parlava di ctp (cioè il computer-to-plate), e mi ci è voluto qualche secondo per ricordarmi che cos’era questa strana sigla. A parte che poi c’erano anche le cianografiche che puzzavano di ammoniaca… ora non più, per fortuna! Tutti dettagli utili a dare veridicità al romanzo. Quando ho iniziato a lavorare all’età di vent’anni negli anni ‘80, per fare un altro esempio, si usava addirittura il telex oltre che il fax, e se uno dovesse scrivere una scena in un ufficio, sarebbe un tocco da maestro inserirlo!

  • animadicarta

    Ho abbandonato da tempo l'idea di scrivere un romanzo storico, già con quelli ambientati ai nostri tempi ci metto anni per scriverli, figuriamoci con tutti quei particolari da curare… Però ammiro chi sa trasportarci in un'altra epoca, la trovo una capacità narrativa affascinante e persino superiore alle altre tipologie.
    Ottimo articolo come sempre!

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao Maria Teresa, grazie per il tuo commento. In effetti ogni tanto mi chiedo: “Ma chi te lo fa fare?” e poi mi rispondo da sola. Il che significa che sono sulla buona strada di uno sdoppiamento di personalità, peraltro. Aspetto allora di avere il tuo parere sul mio ultimo romanzo, e se sono riuscita nell’intento di farti compiere un balzo all’indietro di ben mille anni.

  • Luz

    Ho scritto un romanzo storico e di formazione anni orsono, e come ho scritto altrove urgerebbe di una approfondita revisione e un recupero, per constatare la sua validità. Mi servii delle fonti della mia tesi di laurea sui nativi americani. Avendo a disposizione un'enorme mole di materiale, e avendo approfondito la mia conoscenza riguardo alla Storia americana e gli usi di questi popoli, mi piacque fare questa esperienza e mi inventai una protagonista che si fa strada attraverso mille vicissitudini.
    Come scrivi, imbattersi in questo tipo di scrittura è estremamente difficile, ma credo che sia veramente stimolante ricostruire fedelmente un'epoca.

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao Luz, grazie del tuo commento. Una parte del romanzo che citavo sopra (“Gli Immortali”) è ambientato tra i nativi americani, in special modo nella tribù dei Lenape (“il popolo” per gli europei), e mi ero documentata moltissimo. Uno dei testi che avevo letto è “Miti e leggende degli indiani d'America”, e in occasione del mio primo viaggio a New York avevo visitato il Museo dei Nativi e avevo comprato un libriccino proprio sui Lenape. Ero andata inoltre all’Università Statale di Milano per parlare con un ricercatore e leggere altri testi. Quello che mi terrorizzava era il rischio di cadere nello stereotipo, altro grande problema del romanzo storico. Complimenti e moltissimi auguri per il tuo romanzo.

    • Luz

      Nella mia bibliografia c'è "Miti e leggende degli indiani d'America". Fammi un riassunto breve del tuo romanzo. Il nucleo della vicenda tutta?

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao Luz! Non facile riassumere un romanzo così complesso, ma ci provo aiutandomi con un pezzo della quarta: "New York, anno 2003. Un direttore editoriale riceve i primi capitoli di un romanzo dal titolo Gli Immortali. Ambientato nella Francia postrivoluzionaria di fine 1700, in una Storia che è 'Storia altra', il romanzo narra le vicende di tre celebri protagonisti maschili della Rivoluzione – Maximilien Robespierre, Antoine de Saint-Just, Camille Desmoulins – che abitano in una Parigi cupa e notturna, gelida e claustrofobica, e conducono tra loro un infinito gioco al massacro fatto d’amore e di morte lungo trecento anni. Narrazione del flusso di un tempo storico che scorre sui tre personaggi immortali, il romanzo vuole essere anche il racconto del viaggio di redenzione di uno di loro, e delle numerose figure femminili che incontra sul suo cammino. Sarà di fatto una donna a costituire l'elemento risolutore, nel triplice colpo di scena finale."

  • Tenar

    Innanzi tutto vi ringrazio entrambe per aver espresso così bene i problemi del romanzo storico, che, come sapete, amo molto, da lettrice e da autrice.
    Tutti questi punti sono importantissimi e li avete spiegati benissimo. Da lettrice sono implacabile. Libro ambientato in paesello sulle alpi, leggenda che locale che parla dell'albatros (comunissimo sulle Alpi, eh?)=libro abbandonato.
    Come autrice vivo nell'incubo costante di incappare in questi errori. E divento maniacale. Non al punto di controllare le fasi lunari (ma solo perché non sono mai state importanti in una mia storia), ma quasi

    • Cristina M. Cavaliere

      Per quello infatti ho scritto che il lettore oggi coglie al volo le discrepanze…. e comincia a schiumare dalla rabbia e ad arrotare i denti. Siamo tutti molto più informati, e di conseguenza attenti.

      Nel caso del mio romanzo sui crociati ho avuto una difficoltà ulteriore e di natura molto delicata, come se non bastassero le altre: quella dovuta alla religione. Siccome nel Libro I parlo molto del mondo musulmano, ho dovuto controllare di necessità anche le date di digiuno del Ramadan. Ricordo che descrivevo una scena a Cordova dove i miei emiri banchettavano. Peccato che poi, controllando il calendario perpetuo, ho visto che erano in pieno Ramadan e che quindi la scena diurna non stava in piedi. A parte che contano il tempo partendo dall’Egira, ma poi il loro calendario è lunare. Quindi… correzione! Auff!

    • Tenar

      Problemi simili ne ho avuti io scrivendo di Roma antica poco prima della riforma giuliana al calendario, con tutti i mesi scompigliati!
      Ti capisco benissimo.

    • Cristina M. Cavaliere

      E che mi dici di quando i personaggi sono come la Primula Rossa? Mi spiego meglio: nel Libro I compare la famiglia Saint-Omer con il leggendario Geoffroy de Saint-Omer, uno dei due cofondatori dei cavalieri templari. Nel Libro II volevo dare spazio alla sua giovinezza, e alla famiglia paterna, e che cosa scopro? Che non si sa nemmeno se sia esistito, cioè testimonianze dell'epoca lo danno come "Geoffroy", peccato che nell'albero genealogico della famiglia di questo Geoffroy non c'è nemmeno l'ombra. Poi da un'altra parte ho letto che forse si chiamava Hugh!!! Da uscirne pazzi.

    • Grazia Gironella

      Questo vostro scambio vuole essere un deterrente, vero? Del genere "sappiate a cosa andrete incontro se". Bene, mi avete convinta.

    • Tenar

      Diciamo che è uno sfogo tra chi è incappato in questi guai!
      Immagino che da fuori sia peggio di una riunione degli alcolisti anonimi, in cui ciascuno racconta il peggio che ha fatto per colpa della propria dipendenza…
      A proposito, Cristina, hai idea di quante ipotesi ci siano sulla morte del padre di Cesare?
      O vogliamo parlare delle genealogie romane in cui le donne sono prive di nome proprio, hanno solo quello di famiglia, così metà delle patrizie romane si chiama Cornelia?

    • Cristina M. Cavaliere

      Grazia, ti ho dato un indizio quando scrivevo che ormai mi faccio le domande e poi mi rispondo da sola…

      Sì, come giustamente dice Tenar potrebbe sembrare una riunione nello stile del film "My name is Joe", che si conclude con tutti che battono affettuosi colpi sulla spalla e il malcapitato di turno che piange a calde lacrime dopo aver confessato le sue malefatte.

      Ritornando alla questione dei nomi e al famoso albero genealogico dei Saint-Omer, tutti i maschi (ovviamente) avevano nome e titoli altisonanti, mentre per le povere donne era già un successo se venivano menzionate con il nome (Mathilde ecc.). E dovevano pure essere contente di non finire nel dimenticatoio della Storia!

    • Tenar

      … Ri a proposito, credo che voi siate fuori zona, ma sabato mi sono iscritta a una giornata di seminari sul romanzo storico tenuta a Verbania da F. Forte e M. Camocardi. Mi è venuta voglia di iscrivermi proprio grazie a questo post!

    • Cristina M. Cavaliere

      Sì, l'ho visto perché circolava l'invito in un gruppo FB sul romanzo storico cui mi sono iscritta la settimana scorsa. A volte penso che dovrei avere dei cloni per tutte le cose che mi piacerebbe fare.

    • Cristina M. Cavaliere

      Sì, è vero. Se abitassimo vicine, ci si potrebbe anche suddividere le iniziative, e poi scambiarsi le relative esperienze. In questo fine settimana, ad esempio, avrei bisogno di un paio di cloni di scorta.

  • Francesca

    Grazie Cristina! E anche a Grazia per averti ospitato con questo post! Interessantissimo: è esattamente l'argomento su cui sto riflettendo in questo periodo!
    Non scrivo romanzi storici anche se mi piacciono molto e sarebbe bello essere in grado di scriverli, ma questi problemi sono presenti anche nel cosiddetto mainstream. Per non averli, occorrerebbe scrivere qualcosa ambientato oggi (non oggigiorno, proprio oggi) e che non uscisse dai confini di questa giornata! Tipo un post di facebook. Riguardo a ciò che sostieni nel punto 1): bellissimo l'esempio della storia di famiglia. A chi non è venuta l'idea? Ma se io provo, oggi, a interrogare mia madre, ultrasettantenne e lucidissima, su come viveva in campagna sessantacinque anni fa, spesso fatica a ricordare i particolari perché in questi decenni la vita è cambiata così profondamente che ormai lei rischia di ricordare oggetti e situazioni come se fossero esistiti da sempre. E anche a me capita di dovermi sforzare parecchio per ricordare come viveva la gente nelle mie zone, come vivevo io stessa vent'anni fa.
    In un certo senso l'autore di romanzo storico, malgrado tutta la fatica che fa, è favorito perché non rischia di trascurare il problema! E credo che sia questo il motivo per cui cade nell'eccesso opposto, come hai sottolineato nel punto 4). Non sapevo che si chiamasse infodump: ad essere sinceri, a me non dispiace!

    • Cristina M. Cavaliere

      Grazie a te del contributo, Francesca! I romanzi storici sono affascinanti e a me piace leggerli (sebbene legga davvero di tutto, a parte il thriller di spionaggio) e scriverli. Di recente mi sono chiesta perché mi piacciono tanto, e sono giunta alla conclusione che… è perché sono una buona forchetta! A parte la voluminosità del romanzo storico, anche in quello più sottile ci sono tanti aspetti che contribuiscono a renderlo appetitoso.

      Hai ragione quando dici che non si può prescindere dal passato in narrativa: se già scrivi della giornata di ieri, sta scrivendo storia. Poi c’è tutta la questione accademica di che cosa sia un romanzo storico, ad esempio la Società angloamericana per la promozione e la tutela del romanzo storico (Historical Novel Society) propone la seguente definizione: « Per essere ritenuto storico, un romanzo deve essere stato scritto almeno cinquanta anni dopo gli eventi descritti, o deve essere stato scritto da un autore che all'epoca di tali eventi non era ancora nato (e quindi ha dovuto documentarsi su di essi).” ma quello è un altro discorso che sarebbe lunghissimo da fare.

      Sul punto 1. Io rimpiango moltissimo di non aver potuto raccogliere le memorie di mio padre, carrista in Africa ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Ho ricordi confusi dei suoi racconti perché ero troppo piccola. Di recente invece ho trovato un carteggio familiare di due parenti di mio marito, uno dei quali era medico in Russia, poi disperso. Ho assaporato ogni singola frase, rivivendo le loro condizioni.

      Sull’infodump cui accenno al punto 4: non ti dispiace come termine, o non ti dispiace come accumulo di materiale nel testo?

    • Cristina M. Cavaliere

      Ah, OK. Dipende da come è scritto, però. Come dicevo nel post, trenta pagine descrittive di mobilio nell'economia di un romanzo da centocinquanta mi avevano davvero sfibrato.

  • Grazia Gironella

    Mi piace molto sentirvi parlare di questo argomento, che sento lontano perché non amo i romanzi storici e "non amo la storia". Lo metto tra virgolette perché questo non è del tutto vero. Purtroppo ho avuto insegnanti di storia grigissimi e libri scolastici in tono, che mi hanno fatta partire con il piede sbagliato. Per il racconto "La terra negata" (che potete leggere sulla pagina dedicata ai racconti) sono entrata in contatto con le vicende dei cosacchi in Carnia. Ho dovuto parlare con qualche anziano di qui e farmi tradurre alcune frasi in dialetto carnico da una gentile bibliotecaria. Per un romanzo, invece, ho avuto bisogno di qualche simbolo per i ragazzi degli anni '80 in Germania, tra oggetti, abbigliamento e musica, ed è finita che mi sono iscritta a un forum tedesco incentrato su quel periodo (incredibile, ma esisteva!) e ho chiesto lumi direttamente ai partecipanti. Questa piccola esperienza di ricerca storica mi è sembrata interessante, perché i mezzi utilizzabili sono diversi a seconda della situazione, e bisogna ingegnarsi un po' per trovarli. Non c'è una procedura scontata, insomma. E' davvero così per tutti i romanzi storici, Cristina, oppure vale solo per il passato recente? Tu non hai intervistato crociati…

    • Cristina M. Cavaliere

      Non ho intervistato i crociati, è vero, anche se mi sarebbe piaciuto! Probabilmente il colloquio sarebbe finito in una rissa da taverna, com'era nello stile dell'epoca. Di solito leggo molti saggi e ascolto interviste di storici (Cardini è il mio mito, ad esempio).

      Però sono abbastanza temuta sul web, perché faccio le domande impossibili. Ecco qualche esempio.

      Sulla questione dell'araldica attorno al 1100, ad esempio, avevo contattato un'associazione francese che si occupa della figura di Hughes de Payns (il cofondatore dell'ordine templare) per chiedere se fosse noto uno stemma. Il risultato è che ho dovuto togliere le mie ipotesi sugli stemmi perché all'epoca non si usavano. C'erano invece anelli sigillari. Sono stati comunque gentilissimi e li ho menzionati nei ringraziamenti.

      Per gli indiani d'America, invece, sono andata in Università Statale per parlare con un ricercatore e consultare documenti sui Lenape, e avevo corrisposto con uno studioso (vedi sopra il commento a Luz).

      Invece ho scocciato un po' di persone delle associazioni culturale belghe per sapere se nel 1100 c'erano già i canali a Bruges, ma nessuno lo sa.

    • Cristina M. Cavaliere

      Fare il detective è divertente, poi cerco sempre di vedere con i miei occhi luoghi e oggetti.

      Ricordo in particolare la caccia alla casa di Tiziano Vecellio, perlomeno l'esterno visto che non è visitabile. Mio marito (soprannominato Giobbe per la sua pazienza) ed io ci siamo passati davanti non so quante volte. Non si riusciva a capire dove fosse, infatti c'è una targa scolorita e quasi illeggibile. Ma alla fine ce l'abbiamo fatta e i miei trofei sono stati una dozzina di fotografie.

    • Cristina M. Cavaliere

      Dimenticavo la questione canali di Bruges… quando si hanno incertezze, molto meglio stare sul vago nelle descrizioni, ovvero farsi di nebbia… il che è molto azzeccato parlando di Bruges!

    • Tenar

      Per la parte italiana di Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico io mi sono appoggiata ai due storici che hanno ritrovato e studiato l'uomo meccanico. Sono stati gentilissimi, non sembrava loro vero che qualcuno volesse dare voce ai loro studi. Per la storia romana, la moglie di un amico scrive le grammatiche latine e ormai è assuefatta alle mie domande improbabili.
      Alla fine ho deciso che se con questi metodi da detective non si arriva a una risposta è perché nessuno ce l'ha e si può inventare.
      PS: nel racconto che mi ha pubblicato Mondadori ambientato a Roma antica c'è un'imprecisione, ma al momento pare che me ne sia accorta solo io…

    • Cristina M. Cavaliere

      Io avrei anche bisogno di un teologo che non inorridisca di fronte a certe domande. Per quanto mi riguarda la parte più scivolosa in assoluto è appunto quando parlo di questioni religiose.

      Sul resto incrocio le dita e mi dico che sono un essere umano, errori e imprecisioni purtroppo ce ne saranno sempre. Come nel mio lavoro, tanta fatica e poi qualcuno apre il corso a casaccio e trova un refuso. Che nervi!

    • Grazia Gironella

      Vogliamo parlare di un libro a caso, appena uscito, che ha una doppia erre fuori posto nel titolo di un capitolo? No, meglio non parlarne…

    • Cristina M. Cavaliere

      Per me – che ho il difetto del perfezionismo – ogni volta è un colpo al cuore. In un romanzo storico, citando sempre a caso, ad esempio hanno inserito tutte le mappe in bassa risoluzione. Peccato non abbiano incluso una lente d'ingrandimento nella confezione. Quelle più minuziose sulle religioni e i flussi degli eserciti nel Mediterraneo sono inservibili.

    • Luz

      Grazia, mi collego al tuo riferimento a insegnanti che ti hanno restituito un'immagine grigia della storia. Da insegnante dico… che peccato. Sono consapevole che esistano tanti colleghi per nulla appassionati di questa straordinaria disciplina, che non è che un racconto coinvolgente e spesso perfino travolgente.

  • Nadia Bertolani

    Care scrittrici tutte, siete ineffabili, neppure la pignoleria di Umberto Eco può reggere il vostro passo. Ma tornando alle cose serie non mi sono mai divertita tanto come nel leggere la casistica delle bucce di banana. Cristina è seria e rigorosa, scrive senza temere ostacoli, è vigile, pronta, modestissima mentre ha molto da insegnare, ma è anche dotata di uno humour tale da restituire come avventure leggere quelle che sono imprese gravose. Viva tutte voi, scrittrici, lettrici e commentatrici, viva il romanzo storico, viva la letteratura. (Non porto nessuna mia esperienza personale perché l'unica volta che ho affrontato la Storia con la S maiuscola ho dovuto virare sul tema della memoria e della sua inadeguatezza).

    • Grazia Gironella

      Mi unisco al "viva!". A Cristina ho detto lo stesso, dopo avere letto il suo post: ha saputo tradurre le sue conoscenze approfondite in una forma piacevole da leggere. Come professoressa farebbe faville!

    • Cristina M. Cavaliere

      Cara Nadia, come al solito mi fai diventare rosso carminio. Grazia, non avrei mai potuto essere una buona insegnante perché non ho pazienza con i gruppi numerosi; di fronte alla minima insubordinazione si risveglia la mia indole di stampo prussiano e comincio a innestare la baionetta.

      Comunque ho voluto dare un taglio tra il serio e il faceto all'articolo, in quanto il romanzo storico ha una cattiva fama, forse proprio perché collegato alla materia scolastica e agli insegnanti che si sono avuti a scuola e che ce l'hanno propinata tra un nostro sbadiglio e un conseguente attacco di sonno. E' un po' la tecnica delle guide turistiche, che spiegano i monumenti alternando la spiegazione storica con qualche aneddoto o curiosità per divertire.

    • Grazia Gironella

      E' una tecnica che apprezzo molto anche nelle guide, in effetti. Per la pazienza, ti consiglierei una classe di liceali sui quindici-sedici. Dove non uccide il comportamento, uccide l'indifferenza!

  • Gloria Vanni

    Il mio giovedì s'illumina d'immenso, sono scivolata su due bucce di banane… Grazia e Cristina siete grandi, non scriverò mai un romanzo storico, al massimo posso continuare a occuparmi di presente e pure breve! Ma ho appena ricevuto due libri, di cui uno sulla scrittura creativa e se mi applico, dico se, qualche chance di migliorare forse ce l'ho. Grazie, Giro e che bello trovare i tuoi messaggi sulle pagine nuove, me li sono stampati nel cuore

    • Grazia Gironella

      Bene, sono arrivati! Anch'io dico "mai un romanzo storico", ma il mai… è un tempo troppo lungo per vedere così in là. (Ho scritto in italiano? Mi pare di no, ma sono sicura che hai capito.)

    • Cristina M. Cavaliere

      Grazie del tuo commento Gloria, ma ribadisco a entrambe: "Mai dire mai." E provare con un racconto breve breve? Vi avviso però: la Storia crea dipendenza, quando incominciate non riuscite più a smettere.

  • Daniele

    Un romanzo storico per me è molto più complicato di altre storie, proprio perché devi riuscire a coniugare veridicità storica con invenzione. Bernard Cornwell, autore che mi piace molto anche se ultimamente l'ho abbandonato, a fine romanzo mette una nota storica, in cui spiega ciò che ha modificato della storia per esigenze narrative.
    Il lavoro più grande secondo me è proprio sulla documentazione, per evitare tutti gli esempi che hai mostrato. Sul medioevo ho un libro interessante: "Medioevo sul naso", che parla delle varie invenzioni come occhiali, bottoni, forchetta, ecc.
    Io procederei così: individuare il periodo storico preciso e poi fare un elenco di tutto ciò che potrebbe servire, come: vestiario, mezzi di trasporto, arredamento, usi e costumi, festività, cibo, mestieri, ordinamento del governo, guerre in corso, giustizia, religione, ecc. Insomma, un megaelenco su cui documentarsi, che però ti toglie dai guai.

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao Daniele, grazie del tuo commento. Di Bernard Cornwell me ne parla sempre bene una mia amica, che scrive romanzi storici sui Celti. La soluzione da lui adottata mi sembra sia sensata sia corretta, con buona pace degli integralisti. Qualcosa di simile lo avevo letto nel romanzo di Camilleri "La rivoluzione della luna" in cui alla fine specificava dove aveva piegato leggermente la Storia per adattarla, e anche alla fine di "La Cattedrale del Mare" di Falcones c'era addirittura l'elenco dei documenti legali di cui si era servito come base per la narrazione.

      Il libro "Medioevo sul naso" che mi citi mi attira molto, lo cercherò in rete e quasi sicuramente lo ordinerò. Per quanto riguarda elenchi e tabelle, ne faccio moltissimi anch'io. Durante la prima stesura però ho paura di farmi ingabbiare troppo, mentre invece preferisco far viaggiare la fantasia, e mettere le briglie dopo, vale a dire procedere con un controllo. Alcune cose in linea di massima le conosco a priori, altre no. Con la lettura dei saggi, poi, ti vengono altre idee!

      C'è da dire che i miei ultimi romanzi sono corposi, quindi qualcosa scappa sempre. Ad esempio nel Libro II della saga crociata, che ho rivisto ed è pronto, parlavo dei visconti Trencavel a Carcassonne in un certo anno, Poi con un approfondimento ulteriore ho scoperto che proprio in quell'anno specifico non comandavano i Trencavel, ma i loro rivali politici Bérenger.

    • Grazia Gironella

      Anch'io adotterei la tecnica dell'elenco, se dovessi scrivere narrativa storica; credo che ne avrei bisogno, mentre tu, Cristina, probabilmente hai già interiorizzato certi elementi e puoi avviare il lavoro senza bisogno di puntelli.

    • Cristina M. Cavaliere

      Diciamo che è come guidare una nave, o meglio un vascello: un po' vado a esperienza come un vero lupo di mare, un po' a fortuna sperando nel vento e nelle correnti giuste, e un po' navigo con il supporto di carte nautiche, bussole e sestanti.

  • Fiorella

    Toc toc, e' permesso?…
    Ciao Grazia, e grazie della visita, ora non posso commentarti perche' ti ho appena conosciuta, e devo leggere alcuni tuoi post, poi mi ritroverai, se ti fara' piacere, come tua commentatrice…non saro' assiduamente presente…per varie ragioni, ma ci sarò.
    Un caro saluto e grazie.

    • Cristina M. Cavaliere

      Ciao Fiorella, per il momento faccio io gli onori di casa, essendo la titolare momentaneamente assente…

      Mi auguro che il mio post ti sia piaciuto e che visiti ancora il blog di Grazia, è davvero ben fatto e ricco di spunti interessanti. A presto, dunque.

    • Grazia Gironella

      Avanti e benvenuta, Fiorella! Sarà un piacere risentirti, qui e sul tuo blog, che tornerò a visitare.
      (Grazie, Cristina!)

  • Alessia Savi

    Che bello questo post Cristina!
    Ammetto che io ho alcuni dei problemi che hai citato. Infodump (ma va?) credo sia il mio peggior nemico. Sgrassare, limare, limitare i danni e le indicazioni… a volte sembra impossibile farcela. Spesso mi ritrovo a chiedermi, in preda a crisi mistiche, se quello che sto eliminando sarà davvero superfluo o se poi la storia non sarà più comprensibile. Come faccio a saperlo io, che la storia ovviamente la conoscono a mena dito? Bella domanda!
    La morale… LA ODIO.
    Per me la scrittura è amorale, perché la vita lo è. E non è nemmeno giusto inculcare nel lettore il nostro punto di vista, senza rispettare il suo e la sua logica di arrivo e rielaborazione degli avvenimenti e delle circostanze. Sul parteggiare per i personaggi, temo sia inevitabile, ma lo trovo un peccato meno grave della morale nella storia.
    Chi scrive solo con l'intendo di fare denuncia sociale, per esempio, mi lascia sempre perplessa. E mi chiedo se, dei loro lettori, ne esistano che hanno davvero colto quel messaggio che, a posteriori, lo scrittore si premura di sottolineare.
    Come se fosse necessario per dare importanza a un romanzo dargli una collocazione morale.

    • Grazia Gironella

      Mi inserisco tra te e la risposta di Cristina per dire la mia. Secondo me un valore morale la storia ce l'ha comunque, se è una storia scritta bene, a prescindere dalle intenzioni dell'autore. Mentre racconti inserisci per forza nella storia la tua visione della vita, in positivo o in negativo, in un modo in sé coerente. Per questo dico "una storia scritta bene". Le brutte storie spesso non hanno coerenza. L'intento educativo, invece, è problematico. Se parti dall'idea che il lettore debba trarre le conclusioni che vuoi tu, lo stai teleguidando. A quel punto, o sei bravo, e allora funziona, e il lettore non se ne accorge, oppure sei meno che bravo, e allora il lettore non solo ti sgama, ma ti detesta anche e butta il libro nella spazzatura. Brutto epilogo!

  • Cristina M. Cavaliere

    Ciao Alessia, che bello ritrovarti anche qui!

    Grazie del tuo commento, suddivido la tua risposta in due parti, la prima riguarda il dubbio sulla limatura. Di solito dopo l'ultimissima revisione, decido di lasciar decantare il lavoro un po' come si fa con il vino. Più ci si è lavorato, più va lasciato fermo. Inutile continuare a sfrucugliare, come direbbero a Napoli. Purtroppo però ho sempre la tendenza a chiudere velocemente tutto, anche perché sono rimanzi grossi e impegnativi, così sono esausta.

    Di recente però mi è capitata una cosa davvero insolita, cioè di rileggere un romanzo che avevo chiuso dieci anni fa. Dieci anni! Ho visto che cera un concorso per cui poteva andar bene, così ho deciso di rileggerlo ed eventualmente revisionarlo. Da una parte ho ritrovato gli stessi identici dubbi su alcuni punti di dieci anni fa, il che dimostra che fossero fondati. Dall'altra ho notato dei macrodifetti nella seconda parte che mi hanno messo in allarme. Quindi ho revisionato. Dall'altra ancora mi ero proprio dimenticata di alcuni colpi di scena nel finale, così sono rimasta sorpresa!

  • Cristina M. Cavaliere

    Secondo me ogni scrittore ha un suo particolare sguardo sul mondo. Se si prendessero dieci scrittori e si chiedesse loro di descrivere la stessa scena, lo farebbero in dieci modi differenti, proprio come dieci pittori dipingerebbero in maniera differente la stessa identica scena. Quello è il bello della scrittura (e dell'arte). Ci sono scrittori di cui riconosco la bravura, ma il cui "sguardo" mi lascia indifferente. Uno di questi è Stephen King, ad esempio. E questo attiene senza dubbio ai gusti personali.

    Quello che a me non piace nella maniera più assoluta è lo scrittore che fa la morale, cioè che si inserisce nella narrazione per fare una predica. Questo sistema lo si usava molto di più nel XIX secolo, ora non più per fortuna. Però se una bella storia è raccontata bene, l'intento educativo c'è, ma è sottotraccia, e l'autore ha raggiunto il suo scopo. Ti porto come esempio Charles Dickens, che era sconvolto dalle condizioni dell'infanzia nella sua epoca, oltre ad avere avuto un'infanzia infelice lui stesso: bambini sfruttati, costretti a lavorare per moltissime ore, o a rubare, denutriti, sporchi… Romanzi come "David Copperfield" e "Oliver Twist" o "Grandi speranze" hanno contribuito moltissimo a migliorare le condizioni dell'infanzia tramite una bella storia, una di quelle che rimane nel cuore ma anche nelle coscienze.

  • Cristina M. Cavaliere

    Nel primo commento naturalmente volevo scrivere "c'era" e non "cera". Forse avevo in mente la cera da dare sui pavimenti, o la mia cattiva cera!

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