C’è un libro in te?
Tecnicamente basta scrivere per essere scrittori. Non pensare di scrivere, progettare cosa scrivere, discutere i dettagli di ciò che scriveremo, programmare le future operazioni promozionali. Scrivere davvero, con approccio il più possibile professionale. Ma a questa domanda: c’è un libro in te… non è facile dare una risposta.
Anche se sentirci scrittori “veri” ci incoraggia a diventarlo, altrettanto ci aiuta porci alcune domande fondamentali, come queste che ci propone Alison Baverstock nel suo “Is there a book in you?”.
1 – Quanto desideri che il tuo lavoro venga pubblicato?
Che ci riporta alla domanda più importante: perché scriviamo? Scrivere per organizzare il proprio pensiero o comprendere le esperienze della vita è molto diverso dallo scrivere per entrare in contatto con il mondo, non nelle premesse ma nel percorso. Essere fortemente motivati alla pubblicazione significa fare le cose giuste per avvicinarsi a quel traguardo, nonostante l’incertezza di riuscire a tagliarlo.
2 – Quanto piace agli altri leggere ciò che scrivi?
Possiamo saperlo solo facendo leggere a qualcuno il nostro lavoro. Dopo averlo corretto al meglio, non prima. I lettori cercano letture interessanti e coinvolgenti, che siano sotto qualche aspetto originali e accendano in loro una scintilla di empatia.
3 – Quanto sei creativo?
Lo scrittore è una persona che vede nella realtà un vasto reticolato di possibilità degne di essere esplorate. Se non vediamo nessi nascosti e non ci soffermiamo mai a fantasticare su come potrebbero andare le cose “se”… bene, alleniamoci.
4 – Quali sono i tuoi personali meccanismi di supporto?
Cosa ci sosterrà nei momenti di difficoltà, oltre alla nostra testardaggine? La famiglia, gli amici, il nostro forum di scrittura, la lettura dei nostri classici preferiti, il caffè? Quali che siano questi meccanismi di supporto, ne avremo bisogno.
5 – Quanto è affidabile la tua personale routine di scrittore?
Ciò che non è abitudine richiede sforzo nel momento in cui l’entusiasmo propulsore si smorza, e sforzo significa maggiori possibilità di rimanere bloccati. Di questa “abitudine” faranno parte il tempo che dedichiamo pressoché quotidianamente alla scrittura, il luogo in cui scriviamo, la scelta dell’orario, il nostro modo di gestire gli impegni quotidiani senza sacrificare la scrittura, e molto altro. Se non siamo disposti a crearci una nostra piccola routine, tarata sulle nostre esigenze ma anche su una certa disciplina, non stiamo cercando di fare della nostra scrittura una professione.
6 – Hai in mente un argomento di cui vuoi scrivere che possa interessare gli altri?
Se la risposta è affermativa, sei sicuro che l’argomento possa reggere un’opera di una certa lunghezza?
7 – Hai abbastanza fiducia in te stesso per presentarti come scrittore?
Pubblicare significa avere contatti con editori, editor e librai, fare presentazioni e interviste, parlare in pubblico. Non sono cose inaffrontabili, ma è importante sapere se siamo disposti a farle, pur con le difficoltà del caso.
8 – Quanto sai essere positivo di fronte ai rifiuti?
Di sicuro a qualcuno capita di proporre la propria opera e di vederla immediatamente opzionata da un editore importante. Che succeda proprio a noi, però…
9 – Sei un buon lettore?
Non credo servano specifiche.
10 – Quanto ne sai del mondo dell’editoria?
Se la risposta è “poco o niente”, è il caso di rimediare. Con internet a disposizione la pigrizia è ingiustificabile. Impiegando un po’ del nostro tempo capiremo meglio a quali editori proporci e come, se ci interessa la pubblicazione in ebook oppure no, quanto conta la distribuzione, come si legge un contratto, e così via per una lunga lista di cose per niente secondarie. Rimanere nella nostra ignoranza e credere che basti avere scritto qualcosa per inserirci nel mercato può darci soltanto delusioni.
Come vedete sono tutte domande pratiche, che possono suscitare un certo fastidio in chi vive la scrittura come un gradevole passatempo. Infatti proprio questo è il loro scopo: aiutare l’autore a comprendere la propria situazione e chiarirgli motivazioni e obiettivi.
Chi lo dice che si debba scrivere solo per pubblicare? È una scelta del tutto personale. Si può scrivere anche senza regole e routine da osservare, e chi ha questa passione è comunque un privilegiato. Come sempre, sapere dove si vuole andare è fondamentale.
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
2 commenti
Francesca
Ciao Grazia, è da mesi che ci rimugino: perché è così importante scrivere sempre più o meno alla stessa ora? Mi è parso di capire che tu condivida questa teoria. Che sia importante scrivere tutti i giorni o almeno cinque o sei giorni alla settimana ok, è quasi intuitivo, ma…perché sempre alla stessa ora?
Grazia Gironella
Secondo me la regolarità dell'ora non è affatto necessaria in sé, ma aiuta in due modi, soprattutto all'inizio: contribuisce a farti acquisire un'abitudine solida, che ti permetta di metterti a scrivere rilassato, senza tensioni e senza distrazioni; inoltre, se puoi scegliere l'ora che ti è più congeniale (privilegio di pochi!) ti fa rendere di più, sia come qualità che come quantità. E' uno dei tanti strumenti a disposizione per avere un approccio professionale alla scrittura. Nelle interviste gli scrittori affermati dicono sempre di avere una loro abitudine, che include anche la fascia oraria in cui scrivono. In pratica per loro diventa così normale che all'ora giusta vanno alla tastiera senza nemmeno pensarci. Ecco, sarebbe bello arrivare a quella naturalezza; ma non vale la pena di fare dell'orario una specie di legge.