L’importanza del nome
L’importanza di chiamarsi Ernesto? Citazioni a parte, l’importanza del nome dei personaggi in narrativa è un argomento all’apparenza secondario, in realtà decisamente sfizioso.
Il discorso non è nuovo: secondo alcune teorie non saremmo le stesse persone se portassimo un nome diverso ‒ teorie cui possiamo credere o non credere, oppure restare del tutto indifferenti. Quando però stiamo scrivendo una storia, il potere simil-divino che ci deriva dall’essere autori ci impone qualche riflessione, se non altro perché siamo obbligati a inventare ogni singolo nome, di personaggio o luogo o oggetto che sia.
È vero che spesso i nomi da noi scelti con tanta cura verranno messi in discussione nell’incontro-scontro con l’editore, ma è anche vero che la cura nei dettagli si nota già nella prima lettura del manoscritto.
I nomi nella nostra storia parlano di noi. Se il manoscritto è sgrammaticato e fa acqua, non saranno certo loro a salvarlo; ma una mano possono darla, eccome.
Prendiamo i nomi dei personaggi. Voi riuscite a scrivere una storia senza dare un nome al protagonista? Io no, proprio non ce la faccio. È come se il nome mancante, magari sostituito da una provvisoria X, fosse un’etichetta che gli oscura il viso e il carattere. Ma ci sono anche gli altri personaggi, principali e secondari.
È difficile dare indicazioni, visto che molto dipende dai gusti e dalla storia che stiamo scrivendo, ma due degli aspetti da tenere d’occhio sono la lunghezza e il suono. Chiamare un personaggio Mimì e un altro Milù vuol dire fare apposta a infastidire chi legge.
In chiave minore, questo vale anche per il numero di sillabe e le vocali. Per esempio: Carlo, Cinzia, Marzia e Marco non si somigliano… ma devono proprio essere tutti bisillabici, oppure contenere lettere simili?
Ognuno di noi ha una sua preferenza di cui spesso non si rende conto, e questo porta facilmente alla monotonia. C’è poi la questione dell’originalità: nomi strani suonano più interessanti dei nomi comuni… se li senti una volta soltanto. Nella lunghezza di un romanzo possono risultare pesanti o creare assonanze grottesche.
Anche restando tra i nomi italiani, non c’è bisogno di passare per forza da Paolo a Ermenegildo per schivare la banalità. Esiste un’intera categoria di nomi che si situa in mezzo tra l’astrusità e la noia, nomi che magari erano di moda qualche tempo fa e ora non si sentono tanto in giro: Norma, Viola, Massimo, Alice, Veronica… d’accordo, possono farvi orrore, ma una ricerca in rete (per esempio sul sito Nomix) può aiutare ad ampliare la scelta.
Un grammo di valore lo attribuisco anche ai possibili nomignoli e soprannomi. Trovo che l’uso del nome “modificato” crei un buon effetto di realismo, in particolare nei dialoghi. C’è anche chi suggerisce di attribuire ai personaggi nomi che nel loro significato alludano a qualche caratteristica dei personaggi stessi (come “Claudio” per un personaggio che zoppica, per
intenderci) ma a questo punto non mi sono mai spinta, e non ne ho ancora sentito la mancanza.
Un discorso a parte lo merita il fantastico. Premesso che sono un’appassionata del genere, penso che sia criminale proporre pagine in cui vengono buttati lì tre o quattro nuovi personaggi di nome Yrlwz, Krstaz, Wyixil e così via sulla strada dell’impronunciabile. C’è da sperare che il fascino del mondo narrativo non poggi sul numero di x-y-k-w disseminate nel testo!
Lo stesso discorso vale per i nomi dei luoghi. Già il lettore ha il suo bel daffare per calarsi in un mondo ignoto, in cui magari si mangiano i sassi e le persone se ne vanno in giro svolazzando; imporgli nomi che lo confondono inutilmente è una crudeltà. Chiamare un luogo “Terra delle Cascate” invece che “Xarmykrondir” non può fare questo gran danno…
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.
2 commenti
Francesca
Adoro la questione “nomi”!
Vivo su siti tipo “Nomix” quando inzio una storia!
La penso come Calvino: il nome dei mei personaggi non può assolutamente essere casuale e non riesco a inziare la storia sino a che non ho trovato tutti i nomi, anzi questa operazione occupa gran parte della fase preparatoria.
Lo ammetto: faccio anche sondaggi per i nomi. Per gli altri aspetti, in genere non cerco molti consigli da amici e parenti prima della stesura, ma per i nomi sì, perché voglio sapere come suonano: faccio loro scegliere tra una rosa di tre o quattro nomi per personaggio, ognuno dei quali ha un significato per me, che può essere quello intrinseco oppure una suggestione che il suono mi fornisce o, ancora, un motivo culturale-antropologico (come hai detto tu: magari un nome particolarmente diffuso in certe epoche, regioni, cerchie, ceti sociali), oppure persino un anagramma.
Grazia Gironella
Io di solito scelgo i nomi da sola, raramente chiedendo a mio figlio quale gli piace di più tra due già da me selezionati e di uguale gradimento. Mi fido della sua sensibilità perché è molto simile alla mia, ma alla fine decido senza farmi condizionare. Con il personaggio devo conviverci a lungo, perciò devo sentire il suo nome come perfetto, prima di tutto per me. Fino a qui non ho ricevuto critiche sotto questo aspetto, perciò spero di scegliere benino. Però devo dire che, passando il tempo, sono sempre meno propensa a chiedere opinioni su qualunque cosa prima che la prima stesura sia finita. E' facile farsi "inquinare"!