La revisione, un boccone per volta
Così si mangia l’elefante…
L’elefante di cui parlo è la revisione del romanzo, un lavoro che spesso viene paragonato al far emergere dal blocco di marmo della prima stesura l’opera finita. In effetti togliere materiale è una delle operazioni fondamentali, ma il procedimento è molto più articolato, se si vuole
che sortisca gli effetti sperati. E va preso un boccone per volta.
Su di me, questo si traduce in una prima stesura di cinque-sei mesi, seguita da sei-sette mesi di revisione, ma tra i professionisti c’è chi parla di revisioni molto più lunghe. (Questo nel caso del romanzo. Per i racconti le fasi sono le medesime, solo ridimensionate in proporzione alla lunghezza e alle diverse problematiche.)
A richiedere tempo è prima di tutto l’attesa. Tra la prima stesura e l’inizio della revisione dovrebbe trascorrere un tempo sufficiente a farci dimenticare cosa abbiamo scritto, o quasi. Più tendiamo a ricordare passo passo il testo, più ci converrà allungare la pausa di decantazione, che si potrebbe aggirare sulle quattro-sei settimane; ma due o tre mesi possono andare ancora meglio.
In questo tempo dobbiamo assolutamente dimenticare il testo, quindi non dobbiamo né rileggerlo, né pensarci. Di fatto faremmo meglio a scrivere qualcos’altro, proprio per dare al cervello il modo di staccare del tutto da ciò che ha prodotto.
Dopo la pausa, che si fa? Si prende il manoscritto, lo si impagina per bene (margini non troppo stretti, interlinea doppia oppure 1,5, font semplice come il Times New Roman), lo si stampa e lo si rilega come si vuole (oppure si infilano i fogli in una copertina ad anelli, se abbiamo usato fogli con i buchi).
A questo punto ci serve leggere il romanzo nel modo più continuato e rilassato possibile, vestendo i panni del normale lettore. Non lo abbiamo scritto noi, okay? Lo abbiamo comperato in libreria e ci sediamo comodi in poltrona a goderci il nostro acquisto.
Leggerlo a quarti d’ora ritagliati tra il lavoro e la preparazione della cena non va bene. In questa fase non dobbiamo fare altro che leggere, senza prendere appunti, senza correggere, senza soffermarci in nessun modo su ciò che stiamo leggendo.
Arriviamo alla fine in un paio di giorni, diciamo. Forse saremo depressi, forse entusiasti. Meglio se siamo depressi, perché vorrà dire che riusciamo a vedere le pecche in ciò che abbiamo scritto.
E adesso?
Secondo giro di lettura con una penna-matita in mano. Evidenziamo sommariamente i problemi più macroscopici con poche parole o simboli che avremo scelto: un punto interrogativo a margine per dire che il passaggio non è chiaro, una sottolineatura ondulata per dire che quella parte ci sembra inutile, una freccia che si inserisce per dire che lì manca ambientazione.
Come ci pare, purché poi riusciamo a decodificare il tutto. Non cerchiamo i dettagli, per quello avremo tempo dopo. Ci serve rilevare le lacune nella trama, le carenze più evidenti nel tratteggiare i personaggi, insomma solo i problemi grandi come case.
Finita la seconda lettura, cominciano le letture mirate. Non voglio tenerla lunga, anche se lunga lo è, nella realtà. Terza lettura: si mette sotto la lente d’ingrandimento la trama, e solo quella. Si prendono note e poi si provvede a riscrivere/correggere/eliminare/inserire. Quarta lettura: i personaggi. Si segna, si corregge. Quinta lettura: le ambientazioni. Si segna, si corregge. Sesta lettura: i dialoghi. Idem.
L’ultimo giro è dedicato allo stile. Inutile correggerlo prima, quando ancora molto deve cambiare. Dopo, aggiungerei un’ultimissima lettura per verificare l’insieme – che può avere subito qualche scossone di troppo negli aggiustamenti – e individuare eventuali refusi.
Lo so, a questo punto mi detestate, più o meno cordialmente. Ma non c’è altro modo per fare la revisione? Certo, esistono tanti modi quanti sono gli scrittori al mondo. Alcuni fatti però sono difficili da ignorare, con buona pace di chi inizia a dibattersi non appena si sente in giro aria di consigli, figuriamoci di regole.
Se non lasciamo decantare il testo non riusciremo a guardarlo con sufficiente distacco da individuarne i difetti.
Se non lavoriamo prima sulla trama, dopo ci toccherà scombinare ciò che già abbiamo corretto.
Se decidiamo di correggere due o tre aspetti in una sola lettura, faticheremo a restare focalizzati.
In sostanza tutto è possibile, purché si tenga presente che lavorare in un modo o nell’altro si ripercuote direttamente sul lavoro finale.
A questo punto penserete che il romanzo fa schifo. Anzi, avrete iniziato a pensarlo prima di finire la revisione.
Non credeteci.
La revisione è talmente lunga e impegnativa che dopo un po’ si arriva alla nausea. Se sapete di avere fatto del vostro meglio – il meglio del vostro livello del momento – non arrovellatevi più e lasciate che il romanzo prenda la sua strada. Ormai è maggiorenne.
Grazia Gironella, nata a Bologna, vive ai piedi delle montagne friulane ed è appassionata di natura e discipline orientali. Tra le sue pubblicazioni: La strada che non scegli (biografia); Cercando Goran (Searching for Goran in lingua inglese), Veronica c’è e Tutti gli amori imperfetti (romanzi); Tarja dei lupi e La pace di Jacum (racconti lunghi), e il manuale di scrittura creativa Nel cuore della storia.