Editoria

Il viaggio del manoscritto

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Non è facile, ma sono le regole del gioco…

Siamo ad agosto, l’anticiclone delle Azzorre sembra quasi pronto a insediarsi nella sua nicchia (credevamo) naturale e molti blog si prendono il giusto relax dopo un anno di presenze indefesse. Io invece sono qui, per niente crocifissa al dovere, ma semplicemente reduce da una di quelle vacanze che fanno tremare il concetto stesso di vacanza e ti fanno riconoscere come un piacere incommensurabile il semplice fatto di battere sui tasti.

Parliamo di manoscritti, volete? Quelle cose più o meno corpose che noi scrittori curiamo nei minimi dettagli per mesi o anni (se siamo professionali e furbi), e poi sguinzagliamo nel mondo editoriale nella speranza che qualcuno ci noti e dica: “Eccolo, l’autore che cercavo!”.

Le possibilità che abbiamo successo in questi termini sono, dobbiamo saperlo, scarse. Di fatto il mondo fa tranquillamente a meno delle nostre storie, perciò è improbabile che un editore svenga per l’emozione leggendo la nostra creatura.

Se almeno la leggesse…   Perché spesso e volentieri l’editore non va oltre le prime pagine del nostro manoscritto, soprattutto quando è un editore importante. Questa è una delle principali fonti di frustrazione in cui mi sono imbattuta da quando scrivo, insieme alla simpatica abitudine di non degnare l’autore che ha proposto il manoscritto di una risposta, anche negativa.

Puoi lavorare senza risparmiarti sul tuo romanzo, studiare, informarti, ascoltare i consigli, osservare tutte le regole che vuoi… ma forse non avrai diritto a una lettura integrale. Eppure anche gli editori hanno le loro ragioni.

Gli aspiranti scrittori sono tanti. Spesso i loro testi, oltre a invadere le scrivanie, fanno obiettivamente pena, e colpiscono decine di editori in simultanea!

Non potendo risolvere in alcun modo il problema, come autori possiamo soltanto impegnarci al massimo per scrivere un’opera non solo valida sotto ogni aspetto, ma con le caratteristiche giuste perché qualche editore sia spinto a terminare la lettura e farci un pensiero. Forse alla fine deciderà comunque di poter fare a meno di noi, ma almeno la storia che abbiamo scritto avrà avuto una possibilità reale.

Cosa ne dite allora se ripassiamo le caratteristiche che spingono inesorabilmente il manoscritto verso la pila della carta da riciclare?  

Il viaggio del manoscritto di Snoopy

Per questa lista mi ispiro in parte al libro Write to be published di Nicola Morgan, scrittrice scozzese nonché blogger (Help! I Need a Publisher!) e mia quasi coetanea dall’approccio molto franco, o piuttosto simpaticamente brusco, all’argomento.

1 – La narrazione dilettantesca.

Magari gli ingredienti della storia sono quelli giusti, ma come sono presentati? L’italiano è corretto? La voce dell’autore è sicura o sono presenti le tipiche ingenuità che caratterizzano lo scrittore alle prime armi? L’editing costa tempo e denaro; non vale la pena di dedicarlo a un testo
troppo carente.

“Ma l’idea stratosferica? Avrà pure un valore!”

Okay, una buona idea è una buona idea, ma se non sappiamo tradurla in parole nel modo migliore, non siamo “bravi” scrittori. Forse ci conviene “affittare” un ghost writer

2 – Un incipit fiacco…

…pieno di spiegazioni, descrizioni, flashback e infiorettature. Può darsi che il resto della storia sia cento volte migliore, ma quale autore non penserebbe di esprimere il meglio di sé nell’incipit? Un dilettante, poco ma sicuro.

3 – Una storia che si inserisce in filoni e generi già sfruttati, senza aggiungere niente di realmente originale.

Passa circa un anno tra il felice momento in cui l’editore dice “sì” e quello in cui il libro esce nelle librerie. A quel punto qualunque moda può essere già tramontata da un pezzo. Ergo: scriviamo concentrati su qualità e originalità, senza pensare a sfruttare l’onda dei successi altrui. Se poi vogliamo ugualmente parlare di vampiri e di niente altro, ci conviene avere letto un po’ tutto quello che è stato scritto sull’argomento ed essere super- certi di avere qualcosa di speciale da dire.

4 – Una storia incoerente.

Le incoerenze possono riguardare diversi aspetti della narrazione. I personaggi, per esempio, possono avere nei diversi momenti della storia comportamenti poco compatibili tra loro, senza che esista una spiegazione valida; la trama può risultare forzata dalla mano dell’autore in direzioni improbabili rispetto ai personaggi e al contesto; la voce stessa dell’autore può essere insicura e oscillare tra diversi toni e registri di linguaggio all’interno della storia.

Nicola Morgan ci mette in guardia in particolare sulle frasi che adoriamo e su quelle che non riusciamo a far “suonare” nel modo giusto. Il loro evidenziarsi rispetto al testo ci dice che, per motivi diversi, probabilmente sono estranee alla storia nel suo insieme, perciò farle sparire è un’ottima idea.

5 – Una storia che appare poco vendibile.

Ipotizzando che la storia sia davvero ben scritta, possono comunque esserci problemi, per esempio quello della lunghezza. La narrativa per bambini e ragazzi ha sue regole abbastanza definite, ma anche la narrativa per adulti mostra una propensione verso romanzi di una certa stazza. Quale, dipende dal genere, ma possiamo farcene un’idea osservando i libri nella nostra biblioteca personale.

Cosa faremmo noi, in veste di lettori? Compreremmo il romanzo di uno sconosciuto che conta appena un centinaio di pagine e costa quasi come uno di trecento, o viceversa ne conta milleduecento e costa quanto due libri? (Attimo di meditazione.)

Altro problema può essere quando la storia si situa a cavallo tra due generi e contravviene alle tacite regole di entrambi. “Ma proprio lì sta la sua originalità!” Giustissimo, ma l’editore come proporrà questo libro al distributore, e quello come lo proporrà al libraio, e il libraio dove posizionerà il libro medesimo?

Sembra tutto abbastanza becero, ma il libro è un oggetto di commercio. Soltanto per noi autori è anima, sangue e sudore. Anche le tematiche affrontate possono essere inadatte per il pubblico di elezione, in se stesse oppure per il modo scelto per presentarle.

6 – Una storia che non ha quel quid.

Trama valida, personaggi ben tratteggiati, italiano corretto, stile discreto, però… cos’ha di davvero speciale? Quale aspetto della storia è abbastanza degno di nota da costituire un buon gancio per accalappiare il lettore? Non basta che all’editore il nostro romanzo piaccia in modo tiepido. Deve innamorarsene almeno un po’. In fondo per lui siamo un salto nel
buio, come autori sconosciuti.

7 – Un autore poco affidabile, o che appare tale.

Lo scrittore-personaggio, eccentrico quanto basta, può persino aiutare a vendere più copie del libro; ma l’editore ha bisogno di trovare una collaborazione agevole e proficua, dove l’editing non è una lotta e scadenze e impegni vengono rispettati, e magari si può ipotizzare che l’autore scriva altro in futuro.

“Ma l’editore non ci conosce!” Infatti; ma può leggere la nostra lettera di presentazione e farsi una prima opinione sia del nostro modo di scrivere, sia della persona-scrittore dietro il manoscritto. Credo quindi che Nicola Morgan abbia ragione nell’esortarci a dedicare a quella benedetta lettera una certa attenzione. Sempre che in Italia non sia normale cestinare le lettere di presentazione ancora prima dei manoscritti…

Cosa ne dite di questa lista?
Ci sono altre caratteristiche capaci di suonare il Requiem per il nostro romanzo?

 
 
 
 
 
 
  
   

34 commenti

  • Francesca

    Posso aggiungere: "non presentare affatto il proprio lavoro a un editore ma continuare a partecipare soltanto a concorsi letterari"?

    Un post molto utile, grazie. Ha risvegliato una riflessione, che non so se c'entri ma la espongo ugualmente: dovremmo anzitutto leggere noi per primi e in maniera non troppo selettiva, perché se non siamo interessati ad autori non notissimi e "di cui non ci fidiamo", non è logico pensare che altri siano interessati a noi. Ma forse è un'osservazione un po' moralistica.

    • Grazia Gironella

      Aggiunta approvata!
      La tua osservazione sarà anche moralistica, ma senza i valori morali non saremmo di molto superiori agli animali (poi non lo siamo lo stesso, ma non vorrei andare off-topic). E' proprio così: tendiamo a non leggere gli scrittori che riteniamo di medio-bassa levatura. Come siamo noi, in pratica, agli occhi di gran parte del mondo. Questo certo danneggia tutti coloro che tentano di farsi conoscere, ma è anche comprensibile. Chi legge molto di solito vorrebbe leggere moltissimo, ma ha già una megalista di opere in attesa. E' facile essere tentati di scegliere gli autori che attirano di più, guarda caso gli stessi che sono oggetto di una migliore promozione. Anche questo è il gatto che si morde la coda!

    • Francesca

      Allora andiamo controcorrente!
      Come lettrice – che, lo ammetto, è la mia occupazione principale dopo il lavoro, più che scrivere – cerco nei meandri delle biblioteche e delle librerie “minori” meno frequentate, navigo un po’ sul web e, quando riesco a metterci le mani sopra, divoro le antologie frutto di concorsi letterari.
      Ci sono altri metodi? Ma ora sono io che vado decisamente OT…

    • Grazia Gironella

      Ecco, io le antologie proprio non ce la faccio… suona assurdo, ma detesto cordialmente i racconti in quanto tali, cioè brevi. Mi sono divertita a scriverli e mi hanno dato molte soddisfazioni, ma devo ammettere di non avere mai letto una singola antologia in cui sia stato incluso un mio racconto. Sui romanzi, invece, mi limito ad acquistare quelli degli scrittori…sconosciuti che conosco, perché mi ispirano più fiducia. Purtroppo non ci si può affatto fidare delle recensioni che si trovano in rete, perché anche mobilitando gli amici degli amici molti autori riescono ad avere buone valutazioni, per niente obiettive. Però posso sicuramente migliorare il mio contributo alla causa.

  • Chiara Solerio

    A proposito dell'incipit, sicuramente è ciò che colpisce di primo acchito ma mi sembra di aver letto (forse su "ioscrittore" ma non vorrei sbagliarmi) un consiglio a "non dannarsi troppo": l'incipit, in fondo, si può riscrivere. Gli editori lo considerano e a volte può essere una discriminante per decidere di proseguire, ma altri errori, all'interno del manoscritti, sono più difficilmente rimediabili. Il punto di vista, ad esempio: per correggerlo si deve riscrivere l'intero romanzo!

    Fra cinque minuti esatti sarò in ferie. Come accennavo, continuerò a pubblicare (almeno nel periodo in cui rimarrò a Sanremo) ma non rispetterò alla lettera le due scadenze settimanali: se creo una routine identica a quella che ho quando lavoro, a cosa serve lo stacco?

    A presto

    • Grazia Gironella

      Giustissimo, lo stacco deve essere stacco, e serve!
      In effetti l'incipit si può riscrivere con relativa facilità. Ci sono altri problemi molto più complicati da correggere. Ma cosa fai se l'editore (o l'addetto alla prima scrematura) legge soltanto le prime pagine e ti cestina? Ovviamente non è giusto, ma non ci si può fare niente.

    • Chiara Solerio

      Questo è vero: bisogna affidarsi al buon cuore dell'editore!
      Il mio incipit, ad esempio, sarà da riscrivere completamente.
      Ho deciso che lo farò per ultimo

    • Giordana Gradara

      Chiara hai ragione, rimediare a un incipit sbagliato è facile! Però come dice Grazia è proprio dall'incipit che rischi di più di essere cestinata. Meglio riscriverlo, allora, ma prima di inviare in valutazione. Penso sia buona la tua idea di farlo come ultima cosa. Finire con l'inizio in qualche modo ha il suo fascino. E sempre per tornare a quanto dicevi… piuttosto che riscrivere un romanzo con il punto di vista sbagliato preferire scrivere interamente un libro nuovo.Quello in effetti è il classico 'erroraccio'.

  • Daniele

    Bella lista, sono d'accordo. Credo tu abbia riassunto tutti i problemi che potrebbe avere un manoscritto, non me ne vengono in mente altri. Certo, resta da vedere cosa quali sono i canoni dei vari editori. Appena ho tempo mi leggo il racconto.

  • SamB.

    Il "poco commerciabile", purtroppo, è una delle cose che fregano di più – visto che risente tantissimo delle mode editoriali. È più facile che un buon romanzo venga rifiutato perché non collocabile in una di queste, piuttosto che per il fatto di mescolare due generi. Tanto, per quel che ho modo di vedere, il problema della classificazione del libro e della sua distribuzione non si pone certo per la drammaticità del dover distinguere un Horror da un Gothic da un Fantasy. A nessun livello della "catena del libro". Ho visto copie di "Pan", di Francesco Dimitri, accanto a "Heidi"!
    Anche la lunghezza non è questo gran problema: il tuo libro è piaciuto, comincia il lavoro di editing… e l'editor ti butta lì un pacifico "devi tagliarmi tot mila battute. Ah, e in ogni caso il tuo romanzo lo divideremo in tre parti".
    Tutti gli altri punti posso capirli, ma questa cosa del "non è commerciabile" mi sta sullo stomaco come una palla da cannone. Sei un editore, no? Se un romanzo è buono, se ti convince, investici su, invece di aspettare la prossima porcheria firmata da qualcuno che imiterà E. L. James e la sua trilogia. Quello che sborserai in diritti per un'opera mediocre e in pubblicità per promuoverla, investilo in un romanzo che ti è piaciuto, e nel suo autore, invece di affossarli con un "bello, molto interessante, complimenti, ma al momento non è collocabile in alcuna delle nostre collane".
    Va bene, le case editrici sono imprese e, come tali, devono guadagnare se vogliono restare a galla. Ma questa cosa del "non è al momento in linea con la nostra strategia editoriale" mi sembra sempre più un alibi. I soldi per i diritti di autori stranieri non mancano mai, alla faccia dei bilanci in rosso.

    Ultima osservazione: le lettere di presentazione sono importantissime, ma ho idea che molti scrittori le sottovalutino. Se la scrivi come fosse una pagina del diario personale o come un certificato anagrafico… Anche la sinossi, mi sa, è una sconosciuta. Molti si fermano al concetto: sinossi = riassunto del romanzo. Anche no. Puoi aver scritto un libro avvincente, bello, interessante, ma se lo presenti con frasette che non dicono nulla – a parte il già letto e straletto millemila volte in altre millemila sinossi – ti stai dando la zappa sui piedi da solo.

    • Grazia Gironella

      Per me il binomio lettera-sinossi è una discreta maledizione; le riscrivo cento volte e non sono mai soddisfatta, così alla fine spedisco per disperazione. Certi casi citati dalla Morgan però sono vere chicche: quello che apostrofa l'editore con un "ehilà, è il tuo giorno fortunato!", quello che mette nella busta caramelle o foto di se stesso senza vestiti, quello che scrive la sinossi in colori diversi e font psichedelici… beh, mi sono fatta due sane risate. Ma esisteranno davvero autori così? Bah.

    • Grazia Gironella

      Che gli editori osino poco credo sia verissimo. Però a sentire quanto leggono/comprano gli italiani viene da piangere, per diversi motivi.

    • SamB.

      Oh mio Cthulhu! Questi scrittori esistono eccome
      Devi assolutamente leggere l'eBook di Aldo Moscatelli: "Le invio un manoscritto. Attendo contratto". Tutta la parte dedicata agli autori è esilarante!

  • Sandra

    La mia editor mi dice spesso che riceve troppi manoscritti che in realtà non sono una storia finita. Tipo le cronache del militare, un insieme di vicende di ragazzi in vacanza, Un romanzo deve avere un inizio e una giusta conclusione, anche con un finale magari aperto (che io detesto ma non è questo il punto) ma comunque il cerchio deve necessariamente chiudersi.

    • Grazia Gironella

      Credo che in fondo il problema sia solo uno: si è creata la convinzione che "yes, we can" a prescindere da tutto. Io a questo motto credo molto, ma penso vada interpretato in modo diverso. Tutti abbiamo qualcosa di importante da dire, ma non per questo abbiamo il diritto di vedere divulgati tutti i nostri scritti. Dipende dalla nostra formazione, dalla nostra sensibilità, dal carattere che abbiamo, da quanto ci diamo da fare per acquisire gli strumenti adatti. Insomma "yes, we can, but…". Se togliamo il "ma" si crea una situazione un po' assurda, per cui chiunque pensa di poter eccellere in qualunque cosa, soltanto perché lo desidera. Credo che sia una cosa tipicamente moderna, poca spesa, molta resa. Come se facessimo un disegno carino su un foglio e subito pensassimo di organizzare una mostra.

    • Chiara Solerio

      Credo che questo dipenda da una sorta di mancanza di obiettività dello scrittore nei confronti delle proprie opere. Ho scritto tante cose, in passato, di cui quasi mi vergogno. E ne ho scritte altre che sono anche migliori rispetto a quelle di cui mi sto occupando ora. Meno precise tecnicamente, ma più passionali e sincere. Eppure non le ho mandate avanti e, in qualche caso, nemmeno concluse. Non erano pronte, secondo me, per il grande salto.

      è vero che a volte ci si sente la reincarnazione di Dante, così come è vero che spesso tendiamo a deprimerci eccessivamente. Ho visto molte persone mollare con la scrittura perchè, dopo aver riletto le proprie incasinatissime bozze, si sono rese conto che non erano granchè. Io non credo che questo sia importante. Sono la prima a riconoscere che il mio romanzo abbia delle pecche ed una persona è quasi riuscita a farmelo mollare. Ma io, anche incoraggiata da Maria Teresa, che ha avuto modo di leggere qualche brano, ho operato alcune modifiche decidendo di andare avanti. Credo che non importa quanto tempo ci metterò. Rispetto la mia inesperienza. E credo che ogni singolo brano mi serva da esercizio. Ciò che per me conta, è che alla fine possa venir fuori un buon lavoro.

  • Cristina M. Cavaliere

    Bello il tuo nuovo post! Ottimi tutti i punti che hai elencato, per quanto mi riguarda aggiungerei: "Arrivare sempre con il manoscritto sbagliato nel momento e nel luogo sbagliati." Non ti è mai capitato? A me di continuo. Aver pronto un romanzo di fantascienza quando la richiesta di mercato è il docu-romanzo alla Saviano, ad esempio. Scrivere un romanzo voluminoso quando il mercato richiede testi snelli massimo di cento pagine con interlinea 2 per non affaticare la mente del lettore. Avere all'attivo un romanzo inedito quando il tal concorso richiede l'opera edita, ma anche viceversa. Tutto questo a me drena molte energie, per cui sono giunta alla conclusione che scriverò quello che mi pare e come mi pare secondo i miei (discutibilissimi) criteri.

    • Grazia Gironella

      Capita, eccome! I miei primi due romanzi erano fantasy classico. Naturalmente il fantasy classico è defunto, nessuno lo vuole più leggere, va abolito… salvo che poi sugli scaffali del fantasy trovi sempre nuovi titoli di quel genere, molti dei quali stranieri. Potrei provare a firmarmi Grace Turnaround… Scherzi a parte, la mia conclusione è più o meno uguale alla tua. In generale potrebbe avvantaggiarmi il fatto che mi piaccia scrivere generi diversi; nei fatti, è da vedersi.

    • Cristina M. Cavaliere

      Ahahah, Grace Turnaround mi piace tantissimo… e mi ricorda un personaggio di Agatha Christie, non so perché. Per fare un altro esempio, arrivare con il manoscritto sbagliato nel momento e nel luogo sbagliati è come scegliere sempre la fila più lenta, e arrivare finalmente allo sportello quando abbassano la veneziana..

    • Chiara Solerio

      Scusate l'ignoranza, ma io non sono una fan del fantasy. Ho letto il mio primo romanzo di genere la settimana scorsa, solo perchè mi ero incuriosita visitando il blog dell'autrice… quali sono i canoni del fantasy classico? E quali sottogeneri vanno adesso?
      P.S.Grace Turnaround è bellissimo! ahahahah! Io potrei essere Claire Sunriver!

    • Grazia Gironella

      Urca, che domandINA! Magari ci faccio un post, così mi documento per bene.
      Bello anche Claire Sunriver! Mi sembra che stiamo fondando il club delle sorelle March… (Piccole Donne, per chi è meno stagionato…)

    • Chiara Solerio

      Conosco piccole donne, ho letto il libro visto il film e c'era anche il cartone animato!
      Il mio english-nick fa molto telefilm stile Beverly Hills 90210

    • Cristina M. Cavaliere

      Grazia, se stiamo fondando il club delle sorelle March, poi litighiamo perché ognuna di noi vuole essere Jo. Come facciamo, ce la giochiamo ai dadi?

  • Cristina M. Cavaliere

    … E io Christine Mary Knight o, rinunciando allo pseudonimo, Christine Mary Reds… (quest'ultimo mi fa venire in mente un'avvelenatrice londinese del 1800…)…

  • Renato Mite

    Mi è capitata la stessa cosa di Cristina. Ho finito il mio romanzo ed è di un genere – fantascienza – che ha poco mercato. Ho una piccola consolazione, se possiamo chiamarla così, ovvero uno degli editori a cui l'ho spedito mi ha chiamato dicendo di averlo letto tutto in due/tre giorni (non ricordo nemmeno più quanto velocemente) e di averlo trovato molto bello, non originale ma bello, l'avrebbe pubblicato con una formula per me molto conveniente… vi lascio immaginare cosa può la EAP. Ho autopubblicato, che è meglio.

    • Grazia Gironella

      Eh sì, pagare per pagare, tanto vale essere autonomi e non ingrassare nessuno.
      Davvero imbroccare il testo giusto, del genere giusto, al momento giusto e con l'editore giusto può essere complicato.

  • Giordana Gradara

    Trovo questo post interessante e approfondito, complimenti!
    Hai riassunto egregiamente tutto quello che fa propendere la nostra redazione a continuare la lettura di un manoscritto.
    Per lo scrittore è essenziale capire che leggere un intero manoscritto comporta dei costi che in caso di non pubblicazione non verranno ripagati. Ecco perché molti manoscritti vengono cestinati dalla sinossi o dai primi capitoli. Si procede solo con quanto concretamente ha una possibilità di stampa.
    Fondamentali in quest’ottica, quindi, sinossi e incipit, del quale non avrei saputo spiegar meglio la portata incisiva.
    Poi è logico che l’editore fa i suoi conti e sarà tanto più contento quanto meno l’investimento su un certo libro rappresenti un rischio, per cui molto probabilmente (almeno nei casi di piccola editoria), preferirà:
    – Libri autoconclusivi
    – Libri brevi (dove la brevità è da valutare in base al genere. Per quanto riguarda il fantastico, dove i tomi ingombranti spopolano, direi da un minimo di 300.000 battute fino a un massimo di 700.000).
    In ultimo, poi, la persona dell’autore.
    Ovvio che a venir messo sotto contratto è il libro, ma l’autore da quel momento in avanti rappresenterà la voce dell’editore con tutti i suoi contatti e sarà per lui una sorta di biglietto da visita. Alla fine si sta parlando di affari commerciali, e più nello specifico di investimenti. Sfido chiunque a firmare un contratto senza conoscere l’altra parte. Attenzione quindi a tutto quello che viene scritto suoi social.
    Direi di aver detto più o meno tutto, scusate il papiro. Vorrei sottolineare che questa è solo la mia esperienza ‘dall’altra parte’. Non ho la certezza che tutti gli altri piccoli editori lavorino in questo modo, ma credo che siano comunque consigli utili.

    Un saluto

    • Grazia Gironella

      Mi fa piacere conoscere il tuo parere non solo umano, ma anche professionale, e come tale molto utile. E' facile sentirsi dalla propria parte della barricata e immaginare nemici, ma l'editore, di fatto, è dalla stessa nostra parte, quando è corretto e professionale.

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