Scrittura

Come preparare la scena

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Nelle ultime settimane ho finito con il parlare di tutto, fuorché di scrittura in senso stretto. Forse ci voleva! Ma per evitare la crisi da astinenza (a me stessa, non certo a voi), oggi vorrei raccontarvi come affronto la stesura della scena. Forse è troppo definirlo metodo, ma devo dire che mi ci trovo benissimo ed è diventato nel tempo un processo quasi istintivo, capace di funzionare senza bisogno di schematizzazioni e appunti.

Parto da qui: ho terminato un capitolo e mi accingo a iniziare il successivo.

Nel mio caso, il capitolo coincide quasi sempre con una singola scena. Ho l’impressione che questa scelta mi aiuti a rendere più incisivi l’inizio e il finale.

So cosa deve succedere nel capitolo che mi aspetta, più o meno. L’ho deciso prima di iniziare la stesura, e l’idea si è assestata – spesso con qualche variazione – nei capitoli che ho già scritto. “Più o meno”, perché c’è sempre una parte lasciata all’improvvisazione… ma l’improvvisazione è adesso! Per quanto si detesti la pianificazione, arriva il momento in cui è necessario sapere su quali tasti battere.


Nel decidere cosa succederà nella scena, ho tenuto presenti il grado di conoscenza e il legame affettivo che si è creato tra lettore e personaggio a quel punto della storia. Se i personaggi li sto presentando, oppure il lettore li conosce solo superficialmente, scelgo azioni o dialoghi che suscitino emozione e li mettano in luce. Una scena tranquilla (termine già pericoloso) richiede che il lettore si sia già affezionato ai personaggi per essere apprezzata.

Cosa devo sapere, prima di iniziare a “suonare” la tastiera?

Parecchie cose, e non perché la mia fantasia rischi di fare cilecca. Al contrario, ho scoperto negli anni che la mia mente ha sempre in serbo decine di scene precotte: inserisci un paio di dati, e via che parte. Ma dove va? Dove non dovrebbe andare: adotta le facce e le battute che ho pensato e imbocca il binario del trito e del già visto.

Male, malissimo!

Soluzione: mi sono abituata a elaborare alternative e mettere in discussione tutto. Non si tratta di snaturare la scrittura, che si vorrebbe sempre istintiva, ma di mettere meglio a fuoco la scena e strizzarla fino a tirarne fuori tutto il potenziale. Questo può avvenire anche nel corso della revisione, ma io, conoscendomi bene, so di dover fare il possibile per imboccare subito la strada giusta. Come ho detto spesso, ho una mente stolida, che tende a ripercorrere la stessa via in eterno; per di più, da brava pigra, sono una professionista del “minima spesa, massima resa”.

Siccome mentre scrivo voglio viaggiare leggera, mi preparo in anticipo il materiale per la gita.

– Cosa succede nella scena?

Serve un fulcro chiaro, che giustifichi l’esistenza della scena all’interno della storia, al quale possono intrecciarsi punti d’interesse minori. Una scena priva di importanza, per quanto carina e ben scritta, è solo un riempitivo – fuffa, in una parola, che può piacere a noi, ma difficilmente piacerà al lettore.

– Chi è presente in scena, come protagonista, personaggio secondario o comparsa?

Alcuni personaggi sono scontati; la scena l’abbiamo pensata per loro. Ma c’è qualcun altro presente, che magari compare a scena iniziata, oppure esce prima del termine? La presenza di un personaggio aggiuntivo può infastidire i protagonisti della scena, distrarli, affascinarli, suggerire possibilità, insomma aggiungere tensione; ma può invece essere l’assenza di presenze estranee a sortire lo stesso effetto.

– Cosa muove i personaggi nella scena?

Ognuno di loro avrà qualcosa in mente: sfogarsi dopo il litigio di pochi minuti prima, riappacificarsi con qualcuno, convincere, vantarsi, imporre il proprio volere. Tutto ciò che determina lo stato d’animo del personaggio crea motivazione.

– Dove si svolge la scena?

Mi è venuto in mente il bar, ma potrebbe essere un ufficio postale, una biblioteca, un ascensore? Potrebbe essere un luogo all’aperto? L’atmosfera cambierebbe di molto, anche in base a…

– Che ore sono?

L’ora del giorno influisce sull’ambiente e sulla luce, che a sua volta determina la percezione di colori e volumi, e crea atmosfere. Un’azione o un dialogo nella luce dell’alba o in quella del crepuscolo assumono connotazioni diverse, con possibili risvolti simbolici, e questo è importante per l’effetto che cerco di creare; ma devo averlo in mente, questo effetto, e per chiarirlo a me stessa mi domando…

– Con quale atmosfera inizia la scena, e con quale atmosfera termina?

La scena secondo me deve avere un sapore definito, non essere un miscuglio variabile di tristezza, rabbia, umorismo e chissà che altro. Ma sull’atmosfera, oltre alle motivazioni dei personaggi e al loro stato d’animo, influisce anche…

– Che tempo fa?

L’accoppiata lampo-tuono è un ottimo accompagnamento per le situazioni destabilizzanti. Il vento simboleggia bene i cambiamenti della vita, sgarbato nei momenti di difficoltà, dolce in quelli che sanciscono una maturazione.

– Quando inizia la scena, e come?

Vado a tentativi: se inizio quando lui legge la lettera? Troppo presto, la scena si allunga e ci sono tempi morti. Se inizio quando i due si incontrano? Meglio, così non c’è nemmeno bisogno di raccontare il tragitto in autobus. Devo per forza partire dalla lettera? Allora sull’autobus devo far succedere qualcosa che renda il tragitto meno noioso. E poi: parto con una riga di ambientazione, con un pensiero del personaggio, una battuta di dialogo?

– Quando termina la scena, e come?

Devo scegliere sia il momento migliore che il tipo di chiusura. Interrompo l’azione e rimando l’esito a un capitolo successivo (cliffhanger)? Vado di zoom su un oggetto simbolico? Un personaggio dice una frase solenne o ridicola?

I finali delle mie scene, diversamente dal finale del romanzo, hanno un’alta probabilità di finire modificati in corso d’opera. Di solito ipotizzo di chiudere la scena in un certo punto, ma scrivendola scopro che la scena si chiude da sola prima del previsto. Mi adeguo, anche perché di solito ha ragione lei.

– Quale impressione voglio lasciare nel lettore a fine scena?

Negativa o positiva, ma definita. Il capitolo che si conclude in modo tiepido non mi soddisfa molto. A parte l’indifferenza, mi va bene quasi tutto: preoccupazione per il personaggio, frustrazione per la sua inettitudine, rabbia per le svolte della trama, curiosità dopo un cliffhanger, divertimento per la situazione paradossale.

Ecco fatto. E adesso? Scrivo.

Lo faccio nel modo più fluido e naturale che mi riesce, soffermandomi sulle frasi il tempo minimo necessario a farle stare in piedi. Non rallento per scegliere un termine o l’altro, una struttura o l’altra, né mi pongo domande sulla scena o sulla storia in generale. Tutti i rovelli sono rimandati.

Rispetto le mie decisioni?

In gran parte sì. I dialoghi, invece, sono quasi sempre improvvisati. Conoscere le intenzioni dei personaggi e le loro motivazioni è il mio lavoro; esprimerle è il loro lavoro. Se si presenta una variazione, la valuto al momento.

A questo punto penserete che io mi metta a tavolino con carta e penna prima di ogni capitolo per compilare un bel questionario, ma non è così. Il mio è stato un tentativo di esporre processi mentali che all’atto pratico occupano pochi minuti, e somigliano molto più a un mio fantasticare che a un teorema di Pitagora. Gli ingredienti di questo fantasticare, però, sono proprio quelli che vi ho descritto.

Avete anche voi un metodo definito per affrontare la scena, oppure preferite improvvisare? Vi capita di iniziare a scrivere una scena senza sapere cosa ci metterete dentro?

30 commenti

  • Tenar

    Anch'io "covo" molto la scena prima di scriverla. Non inizio a buttar giù le frasi se non l'ho definita nel dettaglio e non ne conosco il ruolo nell'economia generale della storia. Poi, certo, può sempre capitare che qualche idea aggiuntiva venga mentre si sta scrivendo, ma è più facile che riguardi la scena successiva piuttosto che quella in lavorazione. Quando scrivo voglio pensare al come scrivere, non al cosa scrivere. faccio già abbastanza pasticci così!

    • Grazia

      Invento il Premio Velocità di Commento per te, Antonella! Sì, anch'io ho l'impressione che non mi serva pasticciare più di quanto già faccio… A me la "cova" viene bene mentre porto fuori in cane. Ogni tanto ci sono scene stupende, in cui io mi pianto in mezzo al sentiero e sparo l'idea, interrompendo qualunque discorso, con Maya che mi guarda allibita.

  • Chiara Solerio

    Il mio metodo è ancora in evoluzione. Finora ho definito a priori soltanto gli elementi basilari (i personaggi coinvolti, il punto di vista, cosa accade e qual è l'ambientazione) per poi fare una prima stesura di getto, senza tornare indietro e cancellare, seguita da una seconda che mi consente di mettere meglio a fuoco determinati aspetti. In poche parole, prima la creatività, poi la tecnica. Quando il romanzo sarà concluso, dopo l'opportuna decantazione, rivedrò tutto.
    Mi trovo benissimo con questo metodo e non credo che lo cambierò, ma ultimamente sto valorizzando anche la fase di progettazione. In particolare mi sono imposta di definire a priori l'obiettivo della scena, in modo da avere le idee chiare anche quando faccio la prima stesura. Questo perché ho un difetto dannosissimo: tendo a divagare molto!

    P.S. Deve esserci qualcosa nell'aria, perché nemmeno io ultimamente ho voglia di scrivere post troppo tecnici. Ho scritto alcuni flussi di coscienza, o brani più soft e ironici, ho parlato del blog… ma ora voglio tornare in carreggiata!

    • Grazia

      Sarà la primavera che muove gli ormoni agli animali, alle piante e anche a noi! (Ma ce li hanno gli ormoni, le piante?) Scherzi a parte, variare un po' gli argomenti fa bene, o il blog diventa una forma di moderna schiavitù.

    • Chiara Solerio

      Quello di stasera è una via di mezzo. Anche se parla della post-modernità, ho cercato di non farlo "palloso". Spero di esserci riuscita!

  • Daniele

    L'ora dovrei tenerla a mente anche io.
    Non ho però capito la questione sul tempo atmosferico. Lo crei in base alla scena? Per me non è logico farlo, nel senso che così la scena è troppo costruita e non naturale.
    IO finora ho sempre improvvisato, tranne forse una volta che ho creato una specie di scaletta per la scena. Credo che vada pianificata solo se complicata, come può esserlo una battaglia.
    In quel caso il tempo atmosferico gioca un ruolo preciso, perché influisce sui movimenti.

    • Grazia

      Proprio così, scelgo le condizioni meteorologiche che secondo me fanno meglio risaltare la scena. Se ci pensi, è strano dire che la scena può diventare poco naturale: la stai inventando tu! Non esiste, al di fuori di te. L'effetto finale può cambiare di molto. In un mio racconto due fratelli hanno un litigio drammatico in pubblico, mentre si scatena un acquazzone che quasi copre le loro voci. Senza acquazzone, la scena avrebbe un'atmosfera completamente diversa.

    • Daniele

      Sì, da una parte è vero, sto inventando io la scena. Ma se la storia di svolge d'estate nel deserto del Sahara, non posso far piovere a dirotto solo perché accentua lo stato d'animo dei personaggi.
      In alcuni casi non vedo problemi a farlo, se l'ambientazione si presta a cambi repentini di tempo.

  • Salvatore

    Più o meno è la stessa idea che ho io (con la differenza che non riesco a concretizzarla), quella cioè di sapere tutto della scena prima di iniziare a scriverla, tranne il come la scriverai. Dici bene: ogni scena deve essere composta da una parte di progettazione e una di scrittura istintiva. Bisogna sviscerarla per bene prima di scriverla, ma poi va scritta di getto. Mi piace, bel post.

    P.S. il come procede, sulla progettazione, invece credo che dipensa più dall'indole dell'autore e dalla storia, che da un metodo preconfezionato…

    • Grazia

      Niente di quello che è preconfezionato è perfetto per il singolo, proprio come un abito di produzione industriale non può essere come un abito di sartoria. L'indole però non ti crea un metodo, si limita a spingerti in una direzione piuttosto che nell'altra. E' la tua volontà di sperimentare a farti sviluppare il metodo nel tempo. Se ti limiti semplicemente a fare le cose come sei abituato a farle, usi comunque un metodo, ma se sia il migliore per te non potrai mai saperlo, perché non puoi fare raffronti. Del resto ognuno verifica nei fatti l'efficacia del proprio metodo, perciò contento lui, contenti tutti. (Non parlo di efficacia come pubblicazione, ma come minore o maggiore difficoltà nello scrivere.)

  • Marina

    In genere, mi faccio un'idea della scena che voglio descrivere, ma non la progetto prima, preferisco scrivere di getto e vedere dove mi porta. Poi, quando quello che volevo dire è tutto scritto, allora comincio a limare, mettere in evidenza, sottolineare aspetti. Il perfezionamento avviene dopo la stesura che è istintiva ed immediata. A me piace il suono onomatopeico delle cose: descrivere una passeggiata in un parco con il dialogo accompagnato dallo scricchiolio delle foglie secche sotto i piedi o, come nell'esempio che hai fatto tu, provare a "fare sentire" al lettore lo scroscio della pioggia battente da sfondo ad un litigio. Bellissimo effetto!

  • Cristina M. Cavaliere

    Ho un'idea grossolana della scena nella fase della prima stesura, poi mi concentro sui punti che hai citato, modificandoli se necessario.Questo non mi salva dal dover buttar via un sacco di scene, e scriverne di nuove.

    Le ore e il tempo atmosferico sono importantissimi! Voglio saperli anch'io, ad esempio in quale ora liturgica del giorno si trovano i personaggi (ore che devo continuamente controllare, perché non mi ricordo mai a che cosa corrisponde l'ora terza o l'ora nona, ad esempio), o se hanno fame ed è giunto il momento di entrare una bella locanda dove servono cinghiale e vino della Borgogna… magari con una bella rissa incorporata, perché uno dei personaggi è nervosetto.

    Nelle mie scene è molto importante la presenza della luce, l'ambiente e lo stato d'animo dei personaggi cambia se si trovano ad agire all'alba, o al tramonto.

    • Grazia

      I nostri metodi si somigliano, anche se i miei personaggi non pasteggiano mai a cinghiale e Borgogna. Semmai li obbligherei a un bello spezzatino di seitan con fagioli! Scherzo. Altra differenza, mi capita di rado di buttare delle scene, forse anche perché rischio di essere troppo stringata, non viceversa. Sono una riciclatrice folle, salvo poi accorgermi di avere perso ore dietro una scena irrecuperabile, con l'ira funesta che ne consegue.

    • Cristina M. Cavaliere

      Lo stesso succede anche a me con alcune scene particolari, neanche fossero collegate con il cordone ombelicale. Però poi quando taglio, mi sento più leggera!

      Ultimamente sto integrando moltissimo con scene nuove di zecca, e alle volte mi chiedo: "Ma che cosa sta diventando? Un altro libro o cosa?". Mi consolo perché nell'ultimo post di Maria Teresa si diceva che Tolstoj aveva riscritto "Anna Karenina" diciassette volte… e non aveva nemmeno il computer o una macchina per scrivere.

    • Grazia

      Il taglio fa sempre quell'effetto! Mi secca solo non accettare prima la separazione.
      Mi sento davvero una dilettante quando sento il tipo di impegno che hanno profuso autori del passato. Anche i tredici anni di gestazione de "Il Signore degli Anelli"…

  • Lisa Agosti

    Che bel metodo! Mi segno subito le domande e proverò a rispondere prima di revisionare le prossime scene, per vedere se mi aiuta a focalizzare la situazione nella mia mente. Di solito le mie immagini sono molto più nebulose, e così rischio errori madornali come la settimana scorsa, in cui mi sono accorta che la protagonista accendeva la luce… durante un blackout

    • Grazia

      Ah ah, sembra me! "Toh, manca la corrente… mentre aspetto che si riaccenda il computer mi faccio un frullato… ah già, niente corrente… vorrà dire che metto in carica il cellulare…", e così via.

  • animadicarta

    Scrivo una scena in varie fasi, prima butto giù lo scheletro, poi ritorno e vado più a fondo, infine aggiungo dettagli e descrizioni. Solo una volta ho pianificato il contenuto prima su carta, era una scena d'azione e mi è sembrato meglio non affidarla all'improvvisazione.
    Delle cose che hai elencato, quella per me fondamentale è "che impressione voglio lasciare al lettore?". Ormai ho capito che se non riesco a dare una risposta precisa a questa domanda è meglio che non inizio neppure a scrivere o rischio di perdere solo tempo.

  • Marco Freccero

    Scaravento sul foglio (digitale) quello che vedo, e poi ci rimugino su. A parte gli errori ortografici più grossolani, evito di rimetterci le mani (cerco di farlo dopo 2 mesi, ma sarà dura!). Dopo dovrei "rimpolpare" le scene, aggiungere i dettagli del tempo, rifinire e rivedere, dargli più spessore e calore.
    Il tuo sistema mi pare interessante, me lo studierò per bene…

    • Grazia

      Come credo tutti gli scrittori, anch'io "vedo" la scena, ma ho scoperto che non mi posso fidare al cento per cento di ciò che vedo. Se non ci penso su in anticipo, infarcisco tutto di banalità, e dopo mi ci affeziono pure.

  • Rosalia Pucci

    Prima di leggere la tua ultima risposta, cara Grazia, ho pensato al metodo. Mi rendo conto che è
    scontato, anch'io visualizzo la scena in ogni particolare. Mi ritrovo molto nell'affermazione che hai fatto a proposito di affezionarsi alle banalità. Penso che nella scrittura sia il mio più grande limite.
    Farò attenzione, come consigli tu, di essere più accurata da subito e di non aspettare la revisione per tagliare in modo impietoso.

    • Grazia

      Soprattutto è utile conoscersi bene. Se io fossi capace di stravolgere la storia durante la revisione, tagliando e riscrivendo senza risparmiarmi, potrei essere più indulgente con le mie idee prima. Siccome so che tendo a irrigidirmi sulle idee già assestate, devo tenerne conto nei lavori di preparazione.

  • Gloria Vanni

    "Per quanto si detesti la pianificazione, arriva il momento in cui è necessario sapere su quali tasti battere". Estrapolo da questo contesto la tua frase, Grazia e la trasferisco al mio quotidiano, fatto di scene che non scrivo ma vivo. Dove scelgo di avere pochi metodi e seguire quello che mi dice la pancia: spesso ha più metodo ed esperienza di me! Ma organizzazione e pianificazione sono zattere di salvataggio cui per me è impossibile fare a meno. E chiedo scusa se sono andata fuori tema

    • Grazia

      Non sei fuori tema! Il blog si chiama Scrivere E' Vivere – vivere, appunto. Mi piace pensare che qualcosa detto sulla scrittura abbia valore nel quotidiano.

  • Francesca

    Bel post. In particolare, mi ha colpito e mi è stata utile la tua osservazione sull'atmosfera della scena. Dici che non dovrebbe essere "un miscuglio variabile di tristezza, rabbia, umorismo e chissà che altro".
    La tentazione del "realismo" invece mi spinge a inventare scene così, in quanto la vita spesso è così.
    La scena però non deve esserlo, perché un eccesso di realismo la fa sembrare fasulla, secondo un paradosso noto.
    La scena…per quanto mi riguarda è la prima cosa che mi viene in mente quando scrivo, spesso ci costruisco attorno il resto (un certo numero di scene da collegare tra loro). Mi hai fatto riflettere sulla necessità di programmarla.
    Io però non riuscirei a elaborare in pochi minuti i processi mentali di cui parli…o forse sì, poi però ne dovrei scrivere il risultato prima di scrivere la scena, non riuscirei a tenerli a mente.

    • Grazia

      Credo che il mix possa esserci, in realtà, ma mi piace che la scena lasci un'impressione definita nel lettore. Alla fine le due cose sono molto legate: cerco di ricreare ciò che più apprezzo quando leggo. Forse è così per tutti.
      Non ho una gran memoria, però le modifiche che penso al filmetto che mi scorre in testa gli restano appiccicate. C'è da dire che questo lavoro fino lo faccio poco prima di scrivere la scena. Se devo aspettare, anch'io prendo appunti.

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