Scrittura

I limiti della prima persona…

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…e come liberarsene

Prima di parlare di scrittura, una piccola digressione: che bell’inizio di settimana! Due recensioni a sorpresa a Due vite possono bastare (ora Cercando Goran), una su Connessioni Letterarie e l’altra sul neonato De Agostibus, blog italiano della nostra Lisa Agosti. Benvenute alle recensioni, e benvenuta a Lisa! Il blog è già navigabile e promette davvero bene.

Detto questo, eccomi nell’argomento di oggi. Per chi scrive la scelta della persona (prima, terza) e del tempo verbale è sempre delicata, e spesso decisiva per la riuscita della storia. Se vi viene voglia di verificarlo, prendete una pagina da alcuni dei vostri libri favoriti e provate a riscriverla modificando questi due elementi. Trovo l’effetto stupefacente, tanto da farmi domandare se tanti libri di successo sarebbero sopravvissuti a cambiamenti di questo tipo!

Ma a farmi venire voglia di scriverne non è soltanto l’importanza dell’argomento, già toccato di recente da Daniele Imperi qui. La prima persona è al centro dei miei pensieri anche per un motivo molto personale: sto lavorando all’idea di una nuova storia per Young Adults e la mia scelta cadrebbe proprio sulla prima persona, che però mi va un po’ stretta per due motivi.

– Limitazioni del mondo percepito dal personaggio
Sono abituata a usare tre-quattro punti di vista, cosa che mi permette di spostarmi tra le scene con facilità, senza inventare stratagemmi per rendere il personaggio presente in luoghi e momenti in cui in teoria dovrebbe essere altrove.

– Legame stretto con il personaggio narrante
Con la prima persona sei nella mente e nella sensibilità del personaggio di cui stai presentando il punto di vista. L’intera storia è soggetta a questo filtro, che non può essere del tutto neutro senza che il personaggio risulti privo di personalità.

Soltanto due obiezioni, ma non di poco conto. Eppure sono convinta che questa storia abbia bisogno dell’intensità della prima persona.

Così, pur essendo giunta alla conclusione che la soluzione vada cercata con le mani in pasta, cioè provando a scrivere un paio di capitoli di prova nelle diverse versioni, e non a tavolino, mi arrovello sui modi a mia disposizione per rendere le pastoie della prima persona meno pesanti.

Libreria a West Yellowstone, Montana

1 – Dare voce a più di un personaggio

Non è detto che a parlare in prima persona possa essere un personaggio soltanto. Due, secondo me, può essere la scelta ottimale, perché non avrebbe senso scegliere un punto di vista così intenso e coinvolgente per poi spargerlo su gran parte del cast.

2 – Usare il passato remoto anziché il presente

La prima persona usata al presente è pressante, ti prende per il bavero e ti trascina attraverso la storia come spettatore coinvolto, ma in qualche modo passivo nell’impossibilità di fermare l’attimo per assaporarlo e trovargli una collocazione. L’uso del passato remoto può permettere un minimo distacco dagli eventi, mantenendo l’intensità della prima persona.

2 – Moltiplicare i contatti del personaggio

Gli incontri del personaggio e i dialoghi che ne derivano sono i momenti in cui abbiamo più spazio per mostrare la realtà attraverso altri occhi. Se i contatti sono con persone sconosciute, il loro valore aumenta. Più il personaggio resta solo, ricorda e riflette, più ci troviamo chiusi nella sua testa.

3 – Creare al personaggio occasioni valide per essere presente nei momenti clou

Ecco una delle situazioni più fastidiose per chi ha scelto di scrivere in prima persona: avere in mente una scena speciale… e rendersi conto di non poterla raccontare perché il personaggio non deve essere presente, oppure non ha un buon motivo per esserlo. Naturalmente le informazioni contenute nella scena possono essere trasmesse al personaggio in altri modi, ma per il lettore l’esperienza è assai diversa.

Come rendere credibile la presenza del personaggio va deciso a monte, secondo me, in modo da costruire la trama in modo efficace e non forzato, e senza fare ricorso alle casualità fortunate che sanno tanto di deus ex machina. Se il personaggio odia le discoteche, inutile farlo partecipare alla festa che si tiene al Papagayo; se soffre di claustrofobia, difficilmente andrà a pranzo in cima a un grattacielo di Manhattan. Se però la partecipazione alla festa rientra in una scommessa importante, oppure il personaggio si allena a fare le scale per mesi, tutto può diventare plausibile.

4 – Creare un flusso di informazioni verso il mondo interiore del personaggio

Come? Facendo leggere al personaggio lettere e messaggi, ma anche quotidiani; facendolo sbirciare o origliare quando se ne presenta l’occasione; attribuendogli l’abitudine di ascoltare i notiziari in tivù, oppure una passione divorante che lo induce a documentarsi in ogni modo possibile. In questo modo gli forniamo informazioni e al tempo stesso rendiamo più stimolante la lettura.

5 – Non eccedere con le ambientazioni abituali

La casa, la scuola e tutti i luoghi che appartengono al quotidiano del personaggio tendono a chiudere il suo mondo, mentre ogni incursione oltre il suo confine invisibile lo amplia. Non per questo lo metteremo a praticare attività strane e diverse a ogni capitolo. La comfort zone, però, dovrebbe essere abbandonata almeno qualche volta nel corso della storia. Anche i dettagli all’apparenza più insignificanti, come luci e condizioni climatiche, possono contribuire a movimentare il mondo narrativo.

6 – Non eccedere con i luoghi chiusi

La natura tocca sempre le nostre corde, anche quando non ci sentiamo particolarmente ricettivi, e allo stesso modo toccherà le corde del personaggio e del lettore. Una prima persona raccontata nella propria stanza è molto diversa da una prima persona raccontata in una foresta o sugli scogli durante una tempesta.       Come avrete intuito, la soluzione che cercherò di applicare alla mia storia si basa sull’apertura verso l’esterno del mondo del personaggio, che può controbilanciare la relativa chiusura prodotta dall’uso della prima persona. Ma queste sono soltanto impressioni e riflessioni basate sui miei gusti, non certo universali.

Quali risvolti negativi trovate nell’uso della prima persona? La usate oppure no? E se sì, prendete qualche precauzione per sentirvi a vostro agio?

LO HA DETTO…  MILAN KUNDERA

Gli scrittori di romanzi insegnano al lettore a considerare il mondo come una domanda.

22 commenti

  • Chiara Solerio

    Ciao Grazia, io ho discusso a lungo con Maria Teresa a proposito dell'eventualità di usare la prima persona in uno dei due filoni narrativi del mio romanzo, tutto al flashback. Credo che lo scambio di email complessivo sia durato un mesetto circa. I miei dubbi, erano sostanzialmente due:
    1) tale scelta avrebbe portato all'epurazione di alcune scene secondo me fondamentali
    2) fra i tre personaggi principali, non avrei saputo a chi affidare il racconto. Questo avrebbe condizionato moltissimo il tono generale della storia.
    Alla fine, ho optato per una terza persona limitata anche nel flashback e per l'idea di inserire solo piccoli frammenti in prima, sotto forma di lettere, pagine di diario, canzoni e … immagini! Non ho ancora idea di cosa verrà fuori, ma staremo a vedere.
    In passato ho scritto una storia in prima persona. Avevo diciotto anni. L'ho stracciata perché stufa di sentirmi domandare se fosse un'autobiografia!

    • Grazia Gironella

      La terza limitata è ottima, io l'amo molto e la uso sempre. Stavolta però mi è venuta voglia di scrivere qualcosa di diverso, e in questo "diverso" includo sia la struttura che la persona narrante. Sono molto curiosa di sapere cosa uscirà, sia dalla mia storia che dalla tua!

  • Tenar

    Ah, come ti capisco!Il mio romanzo in uscita è, ovviamente, in prima persona. Oltre ai problemi che hai segnalato, i miei sono stati:
    – lessico e sintassi. Io racconterei questa cosa in questo modo, ma il mio personaggio? È lui che deve parlare, mica io!
    – piani temporali. La storia si ambienta nel 1881, ma è scritta nel 1897, sedici anni dopo. Sedici anni densi di avvenimenti che hanno cambiato la visione del mondo del personaggio. Quindi parla l'io del 1881 o quello del 1897?
    – Il suo mondo non è il nostro. La mia difficoltà aggiuntiva era l'ambientazione, 1881. Un personaggio di quel tempo da per scontato com'è fatta una carrozza, ma può rimanere incantato a guardare un lampione elettrico, Se deve descrivere un motore non ha la terminologia, perché è una cosa nuova, che paragonerà a cose per lui comuni e per noi più esotiche…

    Mi ci sono divertita tanto, però, ecco, tornare alla terza persona poi è stato rilassante…

    • Grazia Gironella

      Non mi ero resa conto delle complicazioni se la storia non è ambientata ai giorni nostri. Lo terrò ben presente nella lontana ipotesi che mi venisse in mente di scrivere qualcosa di storico.

  • Anonimo

    Solo un'opinione sui due limiti da te giustamente sottolineati della prima persona: questi limiti sono tali solo se ragiuni in termini di storia narrata in terza persona.
    Quando adotti la prima, cadono tutte le peculiarità della narrazione classica. Per intenderci, non stai più narrando una storia, ma la storia. La storia di quel personaggio vissuta con i suoi occhi. Sembra una banalità, ma non lo è. L'intreccio stesso cambia. Non importa più come si sviluppa la storia realmente, ma come essa è vissuta dal personaggio in questione. Quindi è ovvio, normale, che la sua personalità (cioè il suo punto di vista) sia più importante degli eventi stessi.
    Io sono partito a scrivere in terza persona. L'ho sempre preferita. Oggi scrivo in prima. La trovo più complicata perché bisogna immergersi totalmente nel personaggio. Un po' come recitare con il metodo stanislavskij. Difficile, ma offre – se riesce – grandi soddisfazioni.

    • Grazia Gironella

      Credo che tu abbia ragione su tutti i fronti. Mi domando quanto si adatti al mio modo di scrivere la prima persona, ma posso scoprirlo solo provandoci. Del resto scrivere sempre restando su terreno conosciuto è un peccato.

  • animadicarta

    Molti interessanti i tuoi punti e interessante anche il problema che poni.
    Devo dire che ogni volta che ho provato a usare la prima persona, ho sempre cambiato idea molto presto, tornando alla terza. In generale la trovo claustrofobica come approccio, che assimilo troppo a quello del diario personale. Però è innegabile che se ben usata può essere molto più efficace della terza persona.

    • Grazia Gironella

      Nel mio caso avrò la voce di due personaggi, perciò spero che l'approccio claustrofobico sia sventato… ma, come sempre, tutto è possibile.

  • Francesca

    Sì, l’ho usata in alternativa alla terza (voce narrante). Un paragafetto a testa…l’effetto è stato positivo. Si trattava di una storia molto intensa emotivamente e anche con dei risovolti inquietanti. La terza persona mi serviva a rendere un po’ più oggettivi dei fatti che altrimenti sarebbero stati percepiti come drammatici, mentre io volevo creare un registro leggermente ironico, un po’ più lieve, insomma, ma mi rendo conto che non si può sempre scrivere così, è un po’ uno stratagemma “una tantum”.
    Sì, il rischio è che la prima persona risulti un po’ saccente, sentenziosa. O, appunto, troppo drammatica, persino patetica.
    L'adoro nella poesia, dove infatti è usatissima, ma qui parliamo di prosa.
    Sto pensando ad alcuni scrittori che amo i quali la usano spesso…riesce bene quando i personaggi sono dei tipi strani, buffi, sopra le righe. Il problema è quando si tratta di persone abbastanza “normali”. Sì, hai ragione: l’unico rimedio è usare molte ambientazioni esterne e creare situazioni interessanti, altrimenti il personaggio che parla in prima persona rischia di essere presto congedato dal lettore.

    • Grazia Gironella

      Proprio così: alcuni personaggi si prestano a farsi analizzare al microscopio, altri risaltano meglio visti da una certa distanza. Finora anch'io ho usato la prima persona per "insaporire" la terza limitata.

  • Cristina M. Cavaliere

    Ottimo post, come sempre. La prima persona è affascinante, ma impegnativa sia per l'autore che per il lettore. A me piace moltissimo, ma bisogna essere bravi per condurre l'operazione in porto dall'inizio alla fine, specie se non c'è una vera e propria trama. Mi viene in mente il romanzo dello spagnolo Javier Marias "Domani nella battaglia pensa e me", tutto in prima e con trama pressoché inesistente. Bello ma tosto.

    Ho usato una doppia prima persona alternata in alcune sezioni del romanzo "La Terra del Tramonto", per dare voce a due personaggi diversissimi tra loro. Sono uno schiavo cristiano e un amir musulmano, e non ti dico la difficoltà: siamo nel 1104, sesso diverso dal mio, mentalità diverse, condizioni sociali diverse. In una parola, visioni del mondo agli antipodi. Il mio lavoro di immersione è stato ai limiti della schizofrenia…

    Paradossalmente, però, nel caso specifico ho avuto meno problemi di scrittura con la prima persona che con la terza, e l'ho constatato anche in fase di revisione: erano le parti meno corrette, tutto sommato. Essendo un romanzo storico, nella terza ci deve essere un minimo di descrizione e bisogna essere attenti a tanti aspetti pratici. Con l'uso della prima si può anche sorvolare se non si è sicuri di un dettaglio.

    • Grazia Gironella

      E' interessante sentire le esperienze di chi scrive generi diversi dai propri; si scoprono problemi mai immaginati. Mi ri-confermo che l'ambito storico esige molto dallo scrittore – troppo per me!
      Le tue ultime considerazioni, poi, me le annoto. Forse dentro di me erano già presenti, ma non le avevo mai messe a fuoco.

    • Cristina M. Cavaliere

      Sì, in effetti sarebbe ridicolo un personaggio storico, ad esempio un guerriero, che, in prima persona, dice: "Ecco, sto per andare in battaglia, e afferro il mio elmo con la punta conica… perché siamo nel 1104, e gli elmi erano così… non quelli con le feritoie che sembrano tante pentole, ma proprio con la punta. Se non mi credete, o gente di poca fede, guardate l'arazzo di Bayeux, e poi ne riparliamo. Il nemico contro cui combatterò non riuscirà a vedere le mie fluenti chiome bionde, purtroppo, perché sotto l'elmo avrò la mia cotta di maglia."

      Il "facite ammuina", come dicono a Napoli, non si può con la prima persona!

  • Lisa Agosti

    Che bella sorpresa Grazie. Scrivere in terza persona è più semplice per me, per evitare l'effetto diario, per lasciare più mistero sul finale (il protagonista potrebbe finire male, mentre se sta raccontando la storia per forza gli è andata bene) e per la descrizione del protagonista. Ho letto mesi fa un blog post che diceva: "Basta ai romanzi in prima persona che cominciano col protagonista che si sveglia, si lava i denti e nel mentre descrive la sua immagine riflessa nello specchio". Devo ammettere che a me sembrava una buona idea, forse è stata usata un po' troppe volte.

    • Grazia Gironella

      Capita di fare scelte che sembrano azzeccatissime e originali, e poi tutti ti tirano i pomodori perché sono il massimo della banalità! Quanto al finale meno drammatico con la prima persona, il problema si presenta soltanto in caso di minaccia alla sopravvivenza del protagonista, perciò in un numero limitato di casi. Credo comunque che l'uso della prima persona, per chi è abituato a scrivere in terza (come me), sia una lunga serie di "oh, questo non posso farlo", anche se alla fine può valerne la pena.

    • Francesca

      Mi è capitato di fruire (come spettatrice o lettrice…forse spettatrice, credo fossero film) di alcune storie in cui la prima persona che narrava era in realtà un defunto…ah, sì! Anche una famosa serie televisiva americana, di evasione. Ma anche cose più intellettuali. Non ricordo quali. In ogni caso non mi era sembrata una buona idea. Mi ero sentita ingannata da uno stratagemma un po' meschino.

    • Grazia Gironella

      Se si racconta al presente e la narrazione termina un istante prima della morte del personaggio, secondo me non c'è inganno: mi viene raccontata passo passo la sua storia, poi essa si interrompe. Negli altri casi il narratore morto funziona solo quando nella storia c'è una vena paranormal, perciò il lettore è in qualche modo avvisato fin dall'inizio.

    • Francesca

      No, io parlo dei casi in cui viene raccontata tutta la storia e alla fine il narratore dice: "Ah, ecco, in quel momento sono morto!" Era un film, mi sono ricordata anche il titolo, ma non so se posso citarlo (a parte che sarei un po' OT, visto che parliamo di racconti e romanzi).
      Beh, sarà questione di gusti: io con la prima persona che alla fine muore ci rimango sempre malissimo! A parte quando si tratta in modo evidente di paranormal, su questo ti do ragione.

    • Grazia Gironella

      Oh sì, che ci si resta malissimo! Io rischio di non leggere più niente dello stesso autore. Non faccio testo, però, vista la mia tendenza al lieto fine sempre e comunque.

  • Lisa Agosti

    Girovagando tra blog di scrittura mi è capitato di leggere una classifica dei temi più cari ai lettori, ciò che vende di più. Al primo posto c'era "MORTE". Che allegria.. però sicuramente lasciare al lettore il sospetto che il protagonista possa finir male aumenta la suspence. A me piace molto il libro "The lovely bones" che mi sembra sia stato tradotto con "Amabili resti" e ci han fatto pure il film. Non dico altro perché odio chi mi rovina i libri dicendo il fulcro della trama. Ma per chi lo ha letto o visto.. secondo me è una buona idea sviluppata bene.

    • Grazia Gironella

      Avevo pensato anch'io ad "Amabili resti", un romanzo che mi è piaciuto molto. Si dice che le poste in gioco devono essere alte perché si crei tensione, e quale posta migliore della vita stessa?

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