Vita da scrittori (e non)

Il fascino (breve) dello scrittore

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Meglio godersi la gloria finché dura…

Parlare di fascino dello scrittore forse è un po’ eccessivo… ma è meglio partire dall’inizio.

Lo spunto per questo post mi arriva da un’occasione sociale: ieri sera (notte, per i miei orari naturali) sono uscita a cena con alcuni compagni di taiji quan. Eravamo in otto, stretti intorno a un tavolo rotondo, in un takeaway cinese di quattro metri per tre.

La situazione era familiare: ognuno con la sua terrina di “spaghetti” larghi come pappardelle, un dispenser di tovagliolini e una bottiglia di aceto al centro del tavolo. Punto. Bè, quasi familiare; a casa almeno i bicchieri e l’acqua sono garantiti. Il mio maestro, però, è cinese, e qui è di casa. La vera attrazione era il piacere della compagnia, non certo il menù o il servizio.

Il rischio di accecarsi a vicenda con le code delle bacchette era reale, tanto che stavo per proporre un sistema brevettato alla cena con i compagni di yoga: chinarsi verso il cibo ‒ chinarsi molto verso il cibo, tipo cane con il muso nella ciotola, in questo caso ‒ in formazione alternata, uno-sì-uno-no, per intenderci, per poi raddrizzare il busto e permettere al secondo giro di fare altrettanto. Comodissimo.

Il fascino dello scrittore è un colosso dai piedi di argilla...

In otto seduti a un tavolo rotondo è una situazione piacevole per la conversazione: nessuno si sente messo in un angolo, perché… non ci sono angoli! Tutti possono ascoltare ciò che viene detto, ed essere ascoltati se intervengono nel discorso. Se ci fosse stato qualcuno intenzionato al chiacchiericcio isolazionista, il suo piano sarebbe stato sventato.

I commensali erano per la maggior parte semplici conoscenti. Seduto di fronte a me c’era un ragazzo simpatico e comunicativo. Durante il complicato procedimento per pescare le pappardelle dal brodo con le bacchette e inserirle in bocca, mentre si chiacchiera del più e del meno, questo ragazzo mi chiede a bruciapelo:

“Cosa stai scrivendo in questo periodo, Grazia?”

Stavo per dire: “chi, io?”, come il personaggio tonto di certi film. Per fortuna mi sono ripresa in tempo e ho risposto più o meno come una persona normale.

Guidando verso casa, ci pensavo su. La domanda era banale, semplice conversazione. Se avessi smesso di scrivere da decenni, forse allora il mio stupore sarebbe stato giustificato, ma così… perché?

La domanda era caduta in un certo vuoto. E ha fatto un tonfo.

Forse il ragazzo di cui parlo si era davvero incuriosito per il fatto che scrivo; oppure è una persona gentile, non solo ben disposta verso l’umanità in generale, ma capace di rivolgersi a ciascuno in modo personale. In ogni caso, quanto tempo è passato dall’ultima volta che qualcuno mi ha chiesto cosa stessi scrivendo?

Torniamo indietro. Nei primi tempi la scoperta che scrivi ti rende parecchio figo. “Ma come, tu… scrivi? E cosa scrivi? Come inventi le storie? I tuoi libri sono nelle librerie? Con il tuo romanzo ci faranno un film? Mi regali una copia con l’autografo?”, e così via. Insomma, scoprire di avere un amico scrittore fa luccicare gli occhi.

Però il tempo passa, e tu ti ostini a non diventare famoso. I tuoi libri in libreria non si trovano, nessuno parla di te in tivù. Hai ricevuto una proposta di contratto da parte di un editore serio, un buon anticipo? Almeno una recensione favorevole da parte di un critico quotato?

Macché.

Quando vieni interpellato, mugugni qualcosa di vago tipo “sto lavorando su una nuova storia” oppure “la revisione richiede tempo”. Il sorriso vacuo dell’interlocutore è facile da tradurre: “ho capito, ti è andata male”.

Bè, non stiamo zappando l’orto, ragazzi. Non è mica semplice spiegare in due parole a che punto è il lavoro. Sogniamo, catturiamo un’idea, buttiamo giù due appunti, cambiamo idea, ci lavoriamo su, sospendiamo per qualche giorno perché non abbiamo tempo, torniamo all’idea ma non ci convince più tanto, ne troviamo un’altra e iniziamo a esplorarla, partiamo a scrivere, poi ci viene in mente che forse la terza persona è più adatta, ricominciamo daccapo…

Fine del fascino dello scrittore.

Prima o poi ‒ ma è più prima che poi ‒ le persone intorno a noi ci lasciano cuocere nel nostro brodo, come si dice. Non siamo poi questo gran film d’avventura.

L’attenzione, però, ci fa bene! Lo sapete, voi là fuori? Anche se a volte sembriamo persi nel nostro mondo, ci fa piacere sapere che qualcuno si ricorda della nostra passione per la scrittura e ne comprende l’importanza.

Tanto per ribadirlo: non avere “successo” nel senso comune del termine non sempre è sintomo di scarso impegno e basso livello qualitativo. Voi potete non crederci, quando cerchiamo ‒ raramente ‒ di spiegarvelo, ma ci siamo scelti un’attività difficile da trasformare in successo, come tutte le arti, del resto. Un’attività che non per questo è un semplice passatempo.

Però mi domando: chi ci frequenta e dimentica che scriviamo, ci conosce davvero?

Nel dubbio, grazie, compagno di taiji! Mi hai fatto venire voglia di scrivere subito, incastrata tra i vicini di tavolo. E grazie anche a voi, che leggete e commentate Scrivere Vivere! Parlare dei nostri progetti di scrittura conferma la loro importanza e ci infonde energia. Non ultimo, ci ricorda quanto sia bello scrivere, anche nei momenti in cui la vita minaccia di trascinarci via o i dubbi si fanno pesanti. Perché le parole ‒ noi lo sappiamo bene ‒ non sono aria.

19 commenti

  • Barbara

    Chi ci frequenta e dimentica che scriviamo, ci conosce davvero?
    Bella domanda. Non lo so. Chi mi frequenta, spesso non comprende i miei “no, non posso, devo studiare/scrivere per il blog” oppure “devo terminare il racconto entro domani sera” (se non avessi delle scadenze, non porterei a termine nulla). Pensano forse che i contenuti e le storie si scrivano da sole, schiocco le dita et voilà, pronto il post.
    Solo gli altri che scrivono o che si applicano in un’altra arte (penso agli amici chitarristi o ballerini o pittori) conoscono più o meno le stesse fatiche, per far convivere il lavoro paga-bollette con la passione creativa, non poter abbandonare né l’uno né l’altro.

    • Grazia

      Proprio così. Capisco che sia difficile immedesimarsi, per chi ha la vita divisa tra doveri (obbligatori) e piaceri (rinunciabili). Un’arte o uno sport, se praticati con passione, assumono un’importanza diversa.

  • Elena

    Prima di tutto (detto alla Giggino) adoro il cinese vero!
    Parlare di me scrittrice, ti sembrerà strano, mi mette in imbarazzo. Ma non perché non sono famosa e molto probabilmente non lo diventerò mai, ma perché le persone pensano davvero che chi scrive sia una specie di outsider. La maggior parte di loro ha difficoltà a mettere in fila un pensiero scritto, e guarda con una certa amministrazione chi con le parole ci sa fare. Non incontro spesso persone che fanno domande come il tuo amico con il retro pensiero fisso sul nostro anonimato, a meno che non sia qualcuno che sta tentando a sua volta di uscirne. Più spesso sento sincera amministrazione. A volte il fatto di non aver sfondato è solo nella nostra testa. Forse gli altri ci apprezzano per quello che siamo, dei (piacevoli) raccontastorie. Per questo continuo ad avere fiducia e con umiltà ad andare avanti

    • Grazia

      Piacevoli raccontastorie: mi piace come definizione. Certo che non risolve il problema di trovare a chi raccontarle, le storie… Anche a me imbarazza un po’ parlare di ciò che scrivo, ma mi fa piacere l’interessamento.

  • Giulia Mancini

    Io ho risolto il problema alla radice, nel senso che pochissimi sanno che scrivo, tranne le persone più vicine a me o quelle con cui ho voluto condividere questa passione. Tra questi alcuni mi seguono davvero (c’è una mia amica che ha letto tutti i miei romanzi e li ha recensiti, mi chiede sempre se sto scrivendo e compra l’ebook appena esce perché dice che le piace molto il mio stile); altri non gliene frega niente, ogni tanto fanno finta di interessarsi, ma non mi leggono, anche perchè non sono dei lettori. Ogni tanto però qualcuno (di quelli che non sanno che pubblico come self) ricordandosi della mia passione per la scrittura mi chiedono “scrivi ancora?” Io rispondo che ogni tanto scribacchio. La scrittura è una passione solitaria, anche piuttosto intima, che capisce solo chi scrive come te oppure ti ama molto. Questo è almeno il mio pensiero, dovessi diventare famosa renderò pubblica questa mia attività quasi segreta e sotterranea…

      • Giulia Mancini

        No, convincere un “non lettore” è impossibile, un non lettore se legge dieci pagine gli sembra di aver scalato l’everest. Ne conosco tanti, anche nella mia famiglia. Preferisco che non mi leggano, un loro parere ha valore pari a zero.
        Diventare famosa è un’utopia, ormai comincia ad esserlo anche continuare a scrivere…

  • Marco

    Se non scrivi per una casa editrice quotata e non passi in televisione NON sei uno scrittore: fine. Io da un pezzo non bado più a queste cose, le ignoro e sono sereno. Proseguo il mio cammino facendo del mio meglio.
    Le persone sono sempre a caccia di conferme (come noi). Quindi se non pubblichi per Mondadori sei uno scrittorucolo e perciò non vale la pena svelare che scrivi
    Penseranno sempre che non sei bravo/a.

  • Elizabeth Sunday

    Bellissimo articolo. Però mi chiedo: come fai a usare le bacchette? Ammetto di non esserci ancora riuscita. Ma forse perché non mi impegno.
    Bella la descrizione della tavola rotonda in cui nessuno si sente esso in un angolo: non ci avevo mai pensato.

    • Grazia

      Se ti ci metti, non è difficile usare le bacchette, ma certi cibi restano complicati, soprattutto quando non si mangia spesso cinese o giapponese. Bocconi troppo grossi o cose scivolose diventano una gara di pazienza.

  • Ferruccio Gianola

    La prima cosa che deve fare uno scrittore è scrivere. Io scrivo e quindi sono uno scrittore, nel vero senso della parola. In tempi diversi c’è chi ha riso di me per questo fatto e forse ci sono persone che ridono ancora di me, ma non mi importa assolutamente nulla. Mi da fastidio quando mi chiedono qualcosa riguardo ai computer perché una volta li vendevo o quando mi parlano di insegnamento. Quelli sono hobby per me, semplicemente hobby praticati per necessità. Io sono uno scrittore e più uno sa di esserlo più fascino trasmette.

    • Grazia

      Questo tuo modo di essere scrittore mi piace molto. Tutto in effetti dipende dalla gerarchia delle proprie occupazioni, e dal fatto che si scriva davvero. Questo lo prendo anche come un’esortazione: scrivere non è pensare a scrivere, né parlare di scrivere. Se si scrive, resta meno spazio per questi vagheggiamenti.

  • Lisa Agosti

    È davvero difficile spiegare cosa si sta scrivendo, a meno che si sia lì lì per finire un progetto. Se ci pensi però anche noi non chiediamo mai “cosa stai facendo al lavoro?” a un amico che fa lo stesso mestiere da quando ha finito la scuola… forse è normale che sia così.
    Non mi aspetto che i miei amici condividano la mia passione per i libri, forse perché in casa sono l’unica appassionata e solo quando ho trovato i blogger ho scoperto quanto sia bello poter parlare di scrittura senza annoiare l’interlocutore.

    • Grazia

      Non considero la scrittura un lavoro come gli altri, quanto piuttosto una passione. Che qualcuno mi chieda “come va con la scrittura?” corrisponde più o meno a chiedere a un appassionato di giardinaggio come va con il suo giardino. Mi sembra normale, proprio perché so quanto sia importante per lui, ma naturalmente non è un atto dovuto.
      Sono d’accordo con te: parlare tra noi di questo argomento così poco condivisibile è una gran cosa.

  • Cristina

    Premetto che io ho davvero la cerchia dei famosi venticinque lettori di Alessandro Manzoni. Per quanto strano possa sembrare, però, questi venticinque mi chiedono spesso “Quando esce il prossimo romanzo?” “A che cosa stai lavorando?” perché non vedono l’ora di leggerlo. Insomma, l’interesse è genuino, ed è palpabile. Naturalmente è un incoraggiamento non da poco! Quelli che mi irritano sul serio sono coloro che spergiurano che, prima o poi, compreranno e leggeranno, e poi passano gli anni e nulla accade; ma penso che riuscirò a farmene una ragione. Altra categoria sono quelli che scrivono e si lamentano che nessuno li legge, però loro non leggono nulla degli altri.
    Per il resto, scrivere è una passione solitaria che molto spesso prosciuga le forze, soprattutto mentali. Diverso è dipingere o disegnare, che considero attività assai più sane. Misurare il proprio valore come autore sulla base della quantità di copie vendute è molto pericoloso, del resto, perché in realtà non c’è un vero limite, e la mancanza di interesse per ciò che scrivi va a ripercuotersi su te come persona…

    • Grazia

      È esattamente come dici, Cristina: l’intrecciarsi del piacere di scrivere con la ricerca di un pubblico per le proprie storie porta a distorsioni non solo nell’ambito della scrittura, ma anche in quello dell’autostima e dell’equilibrio personale. Credo anch’io che dipingere o disegnare sia più sano, perché la gioia della creazione ce l’hai già facendo e osservando cosa nasce dal tuo fare. Nel caso della scrittura, in fondo sono soltanto segnetti neri sulla pagina… è difficile trovarli meravigliosi in sé.

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